Capitolo quattro - Lost once, lost forever

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Roxanne era sfinita

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Roxanne era sfinita. Le bruciavano gli occhi e il suo corpo era inerme. Aveva appena concluso diciotto ore di viaggio nelle quali non aveva riposato nemmeno per cinque minuti. Era rimasta ad osservare il temporale, a seguire la danza delle saette con sguardo assente. Poi la notte aveva avvelenato il cielo, e quel paesaggio buio, a lungo andare, le aveva radicato dentro un senso di solitudine.

A metà del viaggio aveva provato a distrarsi un po', recuperando dalla borsa le sue cuffie. Non aveva portato con sé il cellulare, ma il suo mp3 non glielo avrebbe mai potuto togliere nessuno. Summertime di Janis Joplin era stata la prima canzone di una lunga serie, e la voce roca e graffiante di una delle sue cantanti preferite aveva subito iniziato a trasmetterle una grande calma. Il Blues degli anni Sessanta riusciva a portarla altrove come nessun altro genere riusciva a fare, sebbene non fosse quello che ascoltava di più. Lo riservava per le "occasioni speciali", se così si può dire.

Di tanto in tanto aveva ripensato alla lettera di Chris, chiedendosi se un giorno si sarebbe ritrovata a voler tornare indietro sul serio per tentare di sistemare le cose; poi aveva scosso la testa, tentando di non pensarci più.

Tutto ciò che aveva fatto era stato accumulare stanchezza alle ore di sonno perso della notte precedente, e il risultato non era stato dei migliori. Quasi non aveva le forze necessarie per alzarsi dal sedile. Quasi. Non aveva fatto tutta quella strada per niente. 

Si stropicciò energicamente gli occhi, prese con sé la sua roba e si avviò all'uscita. Una volta all'esterno si fece largo tra i passeggeri ed entrò nell'atrio della stazione, la famosa Central Station. Quando alzò lo sguardo per guardarsi attorno rimase a bocca aperta. Era abituata agli spazi grandi e maestosi, ma quello era pur sempre il Grand Central.

Sembrava costruito appositamente per far sentire la gente minuscola ed impotente: a Roxanne sembrava di stare nel bel mezzo di un'enorme agorà dell'antica Grecia. Tutt'attorno a lei, sulle alti pareti, c'erano delle vetrate enormi. Di giorno sarebbero sicuramente riuscite ad illuminare l'intera stazione senza l'aiuto di alcuna luce artificiale, ma ora, nel bel mezzo della notte, una miriade di lampadine dalla luce calda illuminavano l'ambiente. Sul soffitto vi erano raffigurate delle galassie, con le stelle e le costellazioni che brillavano sulla volta. Poi, all'interno della sala, c'era il famosissimo orologio in opale a quattro facce. 

Seppur una volta sola, Roxanne c'era già stata a New York, ma in quel posto mai. Forse era proprio per quel motivo che era rimasta incantata di fronte ad ogni minimo dettaglio. Le sembrava di essere in un film: quell'atrio alla televisione lo aveva visto centinaia di volte, ma trovarsi lì di persona era tutta un'altra storia.

Avrebbe voluto restare a gironzolare ancora un po', ma allo stesso tempo credeva che sarebbe potuta crollare da un momento all'altro. Era quasi mezzanotte e avrebbe fatto meglio a trovare una camera d'albergo al più presto. L'indomani mattina se ne sarebbe andata subito per cercare qualcos'altro, un posto che più s'addicesse a ciò per cui era venuta; ora però non c'era tempo: aveva assolutamente bisogno di un letto su cui stendersi.

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