Non so nemmeno cosa mi abbia portato qui.
Il vento mi muove i capelli e minaccia di spintonarmi via.
Riguardo la mia figura e le vedo: quelle cicatrici procurate dai tagli che occupano ormai maggior parte del mio corpo.
Una lacrima amara mi scende sulla guancia fino ad arrivare alle labbra.
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Mi disprezzano tutti.
Per quello che sono.
Per il mostro che sono diventata.
I miei amici mi odiano e mi hanno lasciata al mio destino. Stessa cosa per la mia famiglia.
La famiglia deve sempre stare unita, mi dicono sempre.
Osservo quello che ho davanti e, per colpa della mia vista offuscata dalle lacrime, vedo solo delle luci bianche. Nient'altro.
Non voglio vedere nient'altro.
Ormai quella vita non mi appartiene più.
Il cielo è diventato niente di meno che un alone, una macchia blu scuro.
Poi guardo la distesa d'acqua, sotto ai miei piedi.
È dello stesso colore del cielo e sembra molto profonda.
Poi guardo i miei piedi, coperti da delle misere scarpe da due soldi, che mi tengono in equilibrio sulla trave del ponte.
Mi asciugo gli occhi e la situazione intorno a me si fa più nitida: la gente cammina avanti e indietro dietro di me come se nulla stesse accadendo.
Adulti, coppie felici, famiglie con bambini, che si godono la bella vista, tutto quello che io non avrò mai.
Ormai è già stato deciso.
A quelle persone non importa niente degli altri, di me.
A nessuno importa di me.
Quando sono andata da una psicologa per raccontare la mia situazione; questa, ha preso un tiro dalla sigaretta già accesa, ha sbuffato e mi ha detto 'Passerà'.
Dopo quell'esperienza ho capito che il genere umano non fa per me.
I miei genitori sono sempre stati sul punto di gettarmi fuori di casa.
Non vogliono avere tra i piedi un adolescente bipolare, tossica, alcolista e autolesionista.
Queste sono state le loro parole durante la nostra ultima discussione.
Più o meno un'ora fa.
Che mi ha portata qui al ponte.
Quelle parole mi riecheggiano nella mente e le lacrime ritornarono.
Ero patetica.
Una ragazzina depressa che non sapeva apprezzare il dono della vita.
Così mi chiamavano, e chiamano ancora.
Come se avessero mai contribuito a farmi apprezzare 'sto schifo di vita.
Sono stupida.
Sono così stupida.
Sono troppo stupida.
Perché non potevo essere felice come tutte le altre ragazze della mia età che, dette dai miei, avevano una vita sociale, erano forti e coraggiose, non si vestivano da prostitute e andavano bene a scuola.
In certe situazione, un amico ti farebbe comodo.
Invece io non ne ho manco uno.
Manco uno.
Tutti sono sempre scappati da me e io dagli altri.
È sempre andato bene.
Probabilmente ho bisogno di parlare con qualcuno che la pensi come me o che comunque mi capisca.
A trovarmene uno.
Mi hanno sempre tutti disprezzata.
Vengo picchiata, la maggior parte dei casi. E non solo da loro.
Le lacrime continuavano ad uscire fuori senza sosta.
Ma mi merio davvero tutto questo?
La società fa davvero schifo.
Voglio finirla qua.
Le voci nella mia testa non si fermano, non si fermeranno mai.
Buttati.
Non ti meriti nulla.
Fallita.
Ma guardati, non ti vergogni?
Saresti meglio da morta.
Ucciditi, fai un favore all'umanità.
Metti fine a tutto questo.
Fallo.
Fallo.
Fallo.
Chiudo gli occhi.
Spalanco le braccia.
Salto giù.Ehm ciao.
Non so quanto sia leggibile questa cosa.
L'ho scritta durante una serata/notte passata da sola a piangere.
Non so se la pubblicherò mai.
Voglio dire solo che, se qualcuno si sente nel modo che ha appena letto, non esitasse a scrivermi o a parlarne con qualcuno.
Ho appena scritto qualcosa che non dovrebbe mai accadere, non ho nemmeno idea del perché io l'abbia fatto.
Il suicidio è una cosa orribile e egoista, ricordatevi che potete cambiare sempre le cose in vita, ma non nella morte.
Per favore se vi sentite male, non tenetevi tutto dentro, se volete io sono disponibile per ascoltarvi. Se volete posso pure darvi il numero di telefono.
Non lasciate che qualcun altro influenzi la vostra vita facendovi agire in modi che manco voi volete.
Vi voglio bene, baci.
Jyada