capitolo 57

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Emily
Il mio sguardo cade subito sulla cartella che ha in mano, ma la devono aver portata mentre dormivo.

Un grande vuoto mi assale, vorrei vedere il risultato ma allo stesso tempo non so che fare con la persona che mi sta davanti, con quei occhi che mi fissano e quelle lacrime che sento scendere sul mio viso.

"Jace.." sussurro.
"Che vuoldire? E non mentirmi Emily so quale sono le visite che dovevi fare e questa non le comprende" scatta lui.

"Amore io giur.."

"Non chiamarmi amore" urla lui scattando in piedi "mi hai mentito Emily questa visita l'hai fatta ieri, ieri capisci? Quando mi hai mandato a casa e io che credevo di potermi fidare."

"Ti prego non fare così, volevo dirtelo è solo.." lascio la frase a metà.

"Solo che cosa? Hai idea di come mi sento?"

"Non volevo farti soffrire, se la risposta fosse positiva non sarebbe più il caso stare insieme" dico con freddezza.

"Perfetto direi anche questo ora? Stai scherzando spero" dice lui.

Cerco di alzarmi ma lui mi fulmina con gli occhi prima di dire "non provare ad alzarti"

Rimango ferma come sto, con le gambe che penzolano dal grande letto bianco e le mani che cercano la felpa troppo lontana dal mio letto.

Dopo circa 10 minuti lo vedo alzarsi dalla sedia lontana da me, raccogliere i fogli, prendere la mia felpa e appoggiarli accanto a me.

Continuo a guardare il pavimento sotto di me mentre sento la sua mano sfiorare il mio collo e le sua labbra posarsi sulla mia fronte.

Scatto in avanti e abbraccio il suo torace caldo.
"Non andare ti prego" sussurro mentre mi lascio andare in un pianto.

Dopo qualche secondo che sembrano ore interminabile sento le sue mani toccare le mie per sciogliere il mio abbraccio.

Lo lascio fare e continuo a guardare il pavimento sotto di me.

"Infermiera la ragazza si è svegliata tardi posso avere una tazza di latte e caffè per favore" sento dire in lontananza.

"Si certo, ecco a lei" pronuncia la gentile infermiera.

Intanto mi infila la felpa e mi rimetto sotto le coperte.

Sulle mie gambe viene posato un vassoio con sopra il latte e i biscotti.

Comincio a mangiare piano e, una volta finito, guardo il ragazzo che è seduto alla fine del mio letto.

"Non volevo mentirti" sussurro piano.

"Dove si trova, se c'è" chiede lui guardando fuori la finestra.

"Sul cervelletto, la nuca" sussurro spaventata.

"Chiamo i tuoi e li faccio entrare" dice lui mentre esce dalla stanza.

Poco dopo i miei mi raggiungono in camera e insieme a loro il mio dottore.

"Jace?" chiedo subito non vedendolo.

"Ha detto che entrerà più tardi" risponde mia madre provata mentre si siede accanto a me.

"Dai apri" dice mio padre.

Apro la cartella clinica e..

Jace

La mia mano sanguina contro il muro di cemento sporco del mio sangue.

I genitori sono molto arrabbiati con Emily perché non mi ha detto niente, ma d'altronde è una sua scelta dirmelo o no.

La mano comincia a farmi male e a qualche passo da me c'è una bimba che mi guarda spaventata; nascondo la mano dietro la schiena e gli chiedo:
"Dov'è la tua mamma?"

Alza le spalle e continua a guardare il suo bambolotto che tiene stretta a se.

Mi avvicino piano mentre cerco il più possibile di pulire la mano con la maglietta:
"Andiamo a cercarla insieme?"
Fa si con la testa e mi affianca.

Entro dentro la sala d'attesa e chiedo ad una infermiera di chiamare con il microfono la signora Margot, il nome della mamma della bimba.

Da quella piccolissima bocca è uscito solo quel nome.

"Io mi chiamo jace tu?" provo a presentarmi.

"Matilde piacere"  sussurra

"Come mai sei qui?" chiedo.

"Papà sta male ma io non posso entrare, tu?"
"La mia ragazza sta male" rispondo.

"E perché non sei vicino a lei?"

"Non mi vuole"

"Matildee" sento urlare da lontano "quante volte ti ho detto che non ti devi allontanare? Ti ho cercato dappertutto"

"Mamma saluta Jace" dice lei indicando me.

"La ringrazio" dice la signora allontanandosi con la bimba in braccio.

Entro nel bagno dell'ospedale e mi lavo le mani e il viso; credo sia ora di entrare.

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