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Mi avvio verso l'uscita non appena, anche, l'ultima campanella segna la fine delle lezioni.
Seguo annoiata la fila di studenti che si dirige verso le porte. Nel momento in cui varco l'uscita un'aria gelida si scontra con la mia faccia e rabbrividisco a quel contatto e come se non bastasse, il vento si fa più forte trascinando con se una fitta nebbia di sabbia e foglie secche. Prontamente mi riparo con un braccio per coprire gli occhi, ma perdo l'equilibrio e il tipo che mi passa velocemente di fianco, sbattendomi addosso, mi fa cadere a terra. Probabilmente, chiunque fosse, non si è nemmeno accorto di avermi fatta cadere, infatti, non ricevo nessuna mano d'aiuto o qualsiasi altra cosa.
I miei jeans si sono strappati all'altezza del ginocchio e ora la mia pelle bianca è stata sostituita da un piccolo rivolo di sangue.
"Cassie!" una voce allarmata si affretta alle mie spalle.
"Che cos'è successo? Perché sei sdraiata a terra?" ormai Jenna si è spostata davanti a me e ora il suo corpo copre quel poco di luce che filtrava dalle nuvole. I suoi occhi scrutano curiosi tutta la mia interezza, soffermandosi sul ginocchio.
Senza dire una parola mi porge un fazzoletto, che utilizzo per pulirmi il sangue che continua a colare.
"No! Non strofinare. Potrebbe esserci qualche granello di sabbia e peggioreresti solo la situazione!"
"Si, va bene"
"Dai ti do una mano ad alzarti, ti accompagno io a casa, per oggi.." mi solleva di peso mettendomi le braccia sotto le ascelle.
"Grazie Jenna, riesco a camminare" le dico mentre mi rialzo. "È solo un graffio, tranquilla." Lei annuisce e poco convinta mi lascia andare, ma dopo solo pochi passi riafferra il mio braccio.
Il tragitto fino alla sua auto è imbarazzante. Nessuna delle due apre bocca. Io continuo a torturarmi il labbro con i denti perché, so quanto Jenna sia offesa dal mio comportamento e so di doverle delle spiegazioni per tutto questo. Arrivati davanti alla sua Ford grigia, Jenna, molla la presa su di me e tira fuori le chiavi dal suo cappottino verde. Con un clic l'auto si apre e entrambe ci avviciniamo alle portiere. Io prendo posto sul sedile e metto lo zaino fra le gambe.
Appena anche lei sale in macchina, dopo aver messo in moto, accende la radio. È un modo per farmi capire che non vuole parlare.
Gli interni della Ford di Jenna sono in pelle, attaccato allo specchietto tiene il solito profumatore per auto a forma di albero mentre, sul cruscotto sono sparse carte di ogni tipo, ma principalmente di caramelle.
Nonostante tutti i suoi tentativi di tenermi il broncio, usciti dal parcheggio della scuola, è lei a rompere il ghiaccio che si era creato.
"Allora che è successo?"
"Sono caduta. O meglio, qualcuno mi ha buttata a terra. Non si sarà accorto di nulla, infatti, mi ha lasciata lì a t..."
"Cassie.." mi interrompe.
Jenna è una di quelle persone da capire a fondo. Una sua domanda può voler dire molte cose, ma soprattutto può richiedere più di una semplice risposta. Avevo capito a cosa o meglio chi si riferisse, ma avevo giocato la carta della ragazza che finge di non capire bene cosa volesse sapere.
"Non fare la finta tonta, sai bene cosa voglio che tu mi racconti" dice, infatti, con una punta di rimprovero.
"Però, se ci tieni tanto, riformulo la domanda" continua. "Cosa è successo con William Davis?" conclude alla fine.
Nel sentire quel nome un brivido si fa strada lungo la mia schiena. Abbasso involontariamente lo sguardo, ma poi lo riporto frettolosamente sulla strada e inizio a parlare in modo quasi meccanico, pronunciando semplicemente due parole: " una scommessa."Jenna inchioda la macchina in modo brusco.
Il contatto della cintura che stringe sul petto mi toglie quasi il respiro. Trovo molto eccessiva questa sua reazione. Mi massaggio il petto con una mano e dopo aver tirato un gran respiro la macchina riparte. Jenna guida per altri due o tre metri per poi fermarsi nuovamente, questa volta davanti casa sua.
"Chiama Emily, tu oggi passerai il pomeriggio con me!"
"Non sopporto che chiami mia madre come fosse una tua amica.." ribatto tirando il cellulare fuori dalla tasca.
Compongo il numero facendo scivolare velocemente le dita sullo schermo. Dopo un paio di squilli, però, scatta la segreteria.
"Mamma, appena senti il messaggio richiamami" dico al suono del bip. "Sto bene, sono con Jenna. Mi ha invitata a stare da lei." Detto questo chiudo la chiamata e ripongo il cellulare nella tasca posteriore dei miei jeans.
"Io vado dritta al punto!" annuncia in modo serio la mia amica catturando la mia attenzione.
"William Davis è uno stronzo! William Davis ottiene ciò che vuole, sempre! William Davis è una tale testa di cazzo che riesce a rigirare le persone quando e come vuole! William Davis non ha mai perso una scommessa perché, William Davis non gioca in maniera corretta!" asserisce con rabbia, ma anche nel momento in cui mi volta le spalle continua a parlare.
"Non so per quale assurdo motivo tu abbia scommesso con un soggetto del genere. Cassie, non voglio che tu ti faccia male." Le sto dietro seguendo ogni suo movimento e ogni sua parola, poi finalmente si ferma prendendo posto sul dondolo.
Mi accomodo di fianco a lei e mi perdo con lo sguardo nel vuoto, facendolo scorrere per tutto il grande giardino che circonda la casa. L'erba è un po' gialla, alcune foglie di acero coprono gran parte del prato e il percorso per raggiungere la porta lascia intravedere alcuni dei fiori che sbocceranno in primavera.
I nostri piedi prendono a muoversi all'unisono facendo muovere il dondolo in modo lento e dolce.
"Will ha costretto una ragazza a fa..."
"Ho capito, ho capito" dico interrompendo le sue parole.
"Non voglio dettagli di nessun genere Jenna, ti prego! È già abbastanza sconfortante in questo modo." È vero, non so come comportarmi in questa situazione. Tutti, finora, descrivono Will come una persona orribile, ma il diavolo non è sempre brutto come lo si dipinge.
In fondo Jenna non può dire di conoscerlo. Adam non può dire di conoscerlo. Io non posso dirlo. Non ci si può sempre basare solo su storie passeggere, formulate e riformulate. Su parole lanciate al vento o scritte sull'acqua.
"Non sapevo si trattasse di lui..." asserisco dopo qualche attimo di silenzio. "Era solo l'ennesimo ragazzo che mi stava infastidendo, provocandomi. Quando ha lanciato la scommessa l'ho colta, ma c'è stato anche lo zampino di Adam. Nel senso che mi ha incitato ad accettarla. Ho cinque giorni di tempo per raccogliere il maggior numero di firme."
"Di che firme si tratta?" chiede soltanto, dopo aver ascoltato ciò che ho detto.
"Una lamentela per la gestione dei servizi scolastici. Una petizione" chiarisco, infine, i suoi dubbi.
Vedo la mia amica piegarsi in avanti, verso il suo zaino. Estrae, poi, un quaderno a righe e aprendolo esattamente al centro, strappa un foglio protocollo. Tira fuori una penna dal suo astuccio rosa.
Inizia a scrivere e appena finisce mi porge il foglio sul quale, con dell'inchiostro nero, c'è scritto il suo nome.
"Almeno è una giusta causa! Dovresti far firmare anche Adam" dice facendomi l'occhiolino. "In fondo è stato lui a cacciarti nei casini."
"Si" pronuncio in un sussurro.
La nostra conversazione va scemando sempre di più. Nessuno delle due ha più intenzione di riaprire il discorso.
Decido così di mettere una canzone. Scorro la playlist sul cellulare e scelgo Flashed Junk Mind.
"Ancora milky chance?" chiede stupita Jenna.
"Whenwe were young souls, on the junk yard." Le rispondo io intonando le prime parole dellacanzone.
"Ma dai! Sul serio Cassie?! Sarà un mesetto ormai,che sei fissata con questo gruppo..."
"È musica rilassante e poi questa canzone è bella" rispondo mettendo il broncio e incrociando le braccia sotto al petto.
Jenna afferra il mio telefono e fa scorrere un dito sullo schermo. La guardo di sottecchi e vedo che si è fermata sulla lettera E.
Clicca su Edward Sharpe & the Magnetic Zeros.
"Ha parlato lei, che non fa altro che sentire questa canzone..''ribatto.
"Quanti giorni è che ascolti Home a ripetizione?"
Mi fa una linguaccia e inizia a fischiare, non appena la canzone parte. Poggia il cellulare sul dondolo e tirandomi dalla mano mi invita ad alzarmi.
Mi trascina fino al vialetto e calpestando il prato si fa spazio nel giardino. Inizia a muoversi in modo lento sulle note della canzone e a ritmo di musica la seguo anche io.
"La la la la, take me Home. Baby, I'm coming Home"intona Jenna mentre la raggiungo.
Prendendo le sue mani intono il resto della testo,come al solito, io facendo la parte di Alexander e lei di Jade. Ripetendo così le parole della canzone.
"Jade?"
"Alexander?"
"Do you remember that day you fell out of my window?" intono stonando un po'.
"I sure do, you came jumping out afterme."
"Well, you fell on the concrete and nearly broke your ass and you were bleeding all over the place and I rushed you off to the hospital. Do you remember that?"
"Yes, I do." Risponde Jenna, cercando di fare una voce bassa e sensuale.
"Well, there's something I never told you about that night." Continuo io, adottando lo stesso tono di voce della mia amica.
"What didn't you tell me?"
"While you were sitting in the backseat smoking a cigarette you thought was going to be your last,
I was falling deep, deeply in love with you and I never told you 'til just now."
"Now I know." Conclude lei,alzando di un'ottava il tono di voce, ma risultando comunque stridula e stonata.Mi butto sull'erba ridendo e dopo alcune giravolte anche Jenna mi raggiunge senza fiato, ma continuando a ridere.
"Beh, mia cara amica. Casa è dovunque io sia con te." Mi dice tra un respiro e l'altro,cercando di placare la sua risata.
"La la la la. Portami a casa!" cantileno io, invece,senza smettere di ridere.
"Ecco come rovinare un momento di serenità e dolcezza tra amiche" mi riprende, lei, mettendosi nuovamente in piedi.
"Dai ragazzaccia, alzati che ti riaccompagno."
Quando mi alzo, ormai, Jenna è lontana e ne approfitto. Prendo la rincorsa e facendo congiungere le mie mani con le sue spalle faccio un salto a piedi uniti, abbracciandola poi da dietro.
"Tu sei pazza!"
"Mai quanto te!" asserisco afferrando il mio zaino e prendendo il cellulare.
Prendo anche il foglio firmato e lo ripiego mettendoloin una delle tasche della mia giacca di pelle.
Noto una messaggio da parte di mia madre e lo apro per leggerlo.
"Emily dice che ti saluta" mi rivolgo alla mia amica, schernendola per come aveva chiamato mia madre qualche ora fa.
"A proposito, i signori Watson dove sono?" chiedo senza mollare il mio tono di scherno.
"Mio padre è a New York per lavoro. Mia madre sarà in giro con le amiche per qualche aperitivo." risponde gesticolando e soppesando molto le sue parole.
"Allora! Vogliamo andare?!" annuisco alla sua richiesta e insieme ci incamminiamo verso la sua auto.
"Cassie aspetta... Il tuo ginocchi" mi ricorda indicando la mia gamba. Si vede solo una piccola crosta, ma niente di grave.
''Tranquilla, non era nulla" la rassicuro.
"Se poi sono riuscita a saltare e ballare con te.." Sorride e capisco che l'ho convinta, ma poi le sento aggiungere: "disinfettalo in ogni caso e poi mettici un cerotto." Annuisco d'accordo con lei e poi mi accomodo sul sedile allacciando la cintura.
Ci vorranno almeno dieci minuti per arrivare a casa mia, ma questa volta il silenzio durante il tragitto non è per nulla imbarazzante. Canticchiamo qualche canzone che passa alla radio.
"Jenna, hai mai letto libri di Edgar Allan Poe?" le chiedo, ricordandomi improvvisamente del volume che dovrò procurarmi per la prossima settimana.
"Si ne ho uno che ci avevano assegnato al corso discrittura creativa" risponde pensandoci su. "Le storie del terrore o qualcosa del genere" annuisce fra se e se.
"Si, racconti del terrore!"
confermo io.
"Mrs Evans ha ordinato a tutta la classe di prendere questo libro" le spiego.
"Quella vipera! Non la sopporto. La chiamano Cerbero." Dice stringendo le labbra in una smorfia.
"Tiene sempre d'occhio la porta della sua aula e in più abbaia come fosse un cane. Pensa, Cerbero aveva addirittura tre teste!" Scoppio a ridere per il nomignolo attribuito all'insegnate, ma immaginare tre volte la signorina Evans mette i brividi, infatti, ad alta voce pronuncio: " ne basta e avanza già una!" Jenna si aggiunge al mio coro di risate e non appena il mio respiro si regolarizza siamo parcheggiate davanti casa mia.
"Se me lo ricordi, domani ti porto il libro che tiserve."
"Grazie Jenna" le schiocco un bacio sulla guancia e scendo giù dall'auto. Metto lo zaino in spalla e mi avvio verso la porta di casa. Attraverso il vialetto e, prima di entrare, mi pulisco le scarpe sul tappeto. Giro la chiave ed entro in casa.
Una leggera aria calda mi accoglie riscaldando la mia faccia.
Mi trascino stancamente in cucina con lo stomaco che brontola. L'orologio in salotto segna ancora le cinque del pomeriggio questo vuol dire che fra meno di un'ora mia madre dovrebbe tornare dalla sua corsa pomeridiana.
Apro lo sportello della dispensa e prendo la busta dei biscotti. Prendo un biscotto da latte, uno di quelli enormi e rotondi e riempiendo un bicchiere d'acqua mi accomodo su una delle sedie accostate al tavolo. Inizio a mangiare.
Sento il mio cellulare vibrarmi in tasca e cerco di masticare più velocemente per poter rispondere prima che chiunque sia all'altro capo del telefono chiuda la chiamata. Nel tentativo di ingoiare più bocconi in una volta mi strozzo e inizio a tossire sputacchiando qualche briciola del mio biscotto. Per rimediare bevo dell'acqua e appena afferro il cellulare lo schermo ,prima illuminato, ora si è fatto buio. Lo sblocco e scorro tra le chiamate perse. Leggendo il nome automaticamente alzo gli occhi al cielo e sussurrando impreco contro il mittente, anche se so che non potrà sentirmi.
"Fottiti Johnson. Ti strozzassi tu con un biscotto la prossima volta..." con un sorriso amaro lascio quel che rimane in un piatto, briciole comprese, e sposto tutto sul piano cottura. Con una spugna pulisco il tavolo.
Decido, alla fine, di andare a fare una doccia. Mentre salgo le scale per raggiungere il bagno faccio partire una playlist, ma non facendo caso più di tanto alle canzoni che passano.
Una volta in bagno apro l'acqua della doccia e mentre aspetto che scorra quella calda inizio a togliermi i vestiti. Quando sfilo i jeans sento un bruciore all'altezza del ginocchio e mi accorgo che il piccolo taglio ha ricominciato a sanguinare in modo lento e quasi impercettibile. Non ricordandomene ho fatto sfregare bruscamente la stoffa contro la pelle.
Afferro il mio accappatoio e mi dirigo verso la doccia. Appena apro lo sportello una nuvola di vapore caldo invade gran parte della stanza. Mi tolgo anche i calzini e insieme all'intimo li lascio cadere nel cesto dei panni sporchi.
Una volta sotto il getto lascio che l'acqua scivoli sul mio corpo. Chiudo gli occhi non appena i miei capelli si bagnano provocandomi quel senso di leggerezza e relax allo stesso tempo.
Mentre mi lavo non posso non cantare e ogni tanto un po' di schiuma mi finisce negli occhi e inizio a dimenarmi per il bruciore.
"California rest in peace simultaneous release. California show me your teeth. She's my priestess; i'm your priest" canto il ritornello di Dani California dei Red Hot, quando il cellulare inizia di nuovo a squillare.
Ormai ho quasi finito, quindi sciacquo la schiuma rimasta e uscita mi avvolgo nell'accappatoio. Allungo un braccio per accettare la chiamata e senza pensarci né guardare il nome sullo schermo rispondo:"Johnson, che vuoi?"
"Cassandra?! Sono mamma."
"Oh Mamma. Scusami non sapevo fossi tu."
"Va bene, sto tornando a casa. Volevo sapere solo se Jenna ti avesse riaccompagnata o fossi rimasta da lei" mi avverte con un cenno di premura nella voce.
"No, sono a casa. Sono appena uscita dalla doccia."
"Io sto passando dal supermercato per comprare il caffè. Vuoi che compri qualcosa per colazione?" ci penso un po' prima di rispondere, ma poi decido che non mi serve nulla.
"Nulla mamma."
"Va bene. Per questa sera va bene pollo con le patate?" mi chiede e abbassando gli occhi sui miei piedi mi accorgo di star sgocciolando tutta l'acqua sul pavimento, mentre il tappeto è ormai zuppo.
"Si si."
Subito dopo chiude la chiamata e la canzone, prima interrotta, torna a risuonare dal mio cellulare.
Metto in pausa la musica e inizio a strofinare i capelli con l'asciugamano, mettendomi a testa in giù, poi li fermo in un turbante.
Dopo aver messo il deodorante, spalmato la crema e indossato l'intimo, decido di disinfettare il taglio sul ginocchio. Ci applico, poi, un piccolo cerotto rosa.
Sempre a testa in giù inizio ad asciugare i miei lunghi capelli. In una mano tengo il fhon nell'altra la spazzola e dopo circa quindici minuti sono asciutti.
Indosso una maglietta pulita, infilo un paio di pantaloni della tuta e anche una felpa e scendo in cucina.
"Cassie, sono tornata.." sento urlare mia madre dalla porta di casa.
"Ah sei qui! Bene, inizia con le patate,tagliale a cubi non troppo grandi. Io vado a sciacquarmi un attimo."
"Si"
"Va bene." Poggia l'unica busta che aveva in mano di fianco al tavolo e poi sparisce dietro di me.
Appena finisco di pelare e tagliare le patate mi avvicino al tavolo. Svuoto la spesa e mi accorgo che ha comprato anche delle fette biscottate. Metto tutto nella dispensa e ripiego la busta.
Il mio cellulare segna una notifica sullo schermo. È da parte di Jenna. Apro il messaggio e leggo che voleva solo informarmi del fatto che avesse trovato il libro di Poe.
Lascio il telefono sul tavolo e io mi lancio sul divano.
In tv danno Modern Family, ma non seguo il programma con interesse. Infatti, non appena sento mia madre smanettare con il forno, mi alzo per andare a preparare la tavola.
Recupero il mio cellulare e noto due chiamate perse. Una è da parte di mio padre, l'altra porta il nome di Adam.
Neanche il tempo di richiamarlo che sento mio padre entrare in casa e raggiungerci in cucina.
"Ciao Cass"
"Papà"
"John, sei tornato prima questa sera" interviene la mamma.
"Si, hanno chiuso prima in fabbrica oggi."
Io in religioso silenzio continuo a preparare la tavola finche, appunto, la cena non viene servita e tutti prendiamo posto.
La cosa strana è che nessuno fa domande, nessuno parla. Si sente solo in rumore delle posate nei piatti e delle bocche che masticano. La televisione è rimasta accesa in salotto, ma il volume è così basso che non si avverte neanche.
Nemmeno papà sembra aver voglia di parlare. È strano perché spesso è lui ad intrattenere tutti, ma questa sera è di un umore pessimo, sembra amareggiato.
"Scusate, ma non sto molto bene. Vado a dormire." Pronuncia mio padre e poi si alza dal suo posto.
Niente carezze o baci questa sera, solo i suoi passi stanchi e l'amarezza in volto che si dirigono su per le scale.
"Ma che diavolo succede in questa casa?" dice in modo un po' disperato mia madre.
Io faccio spallucce perché, per quanto mi riguarda, ne so quanto lei.
"Tu sei sempre su tutte le furie e tuo padre invece è più lunatico del solito"
"Mamma avrà avuto una brutta giornata a lavoro, non penso sia il caso di prendersela"
"Ma tu proprio non vuoi aprirli gli occhi Cassie?! Tuo padre non riesce nemmeno a tenersi in piedi alcune sere, ma non perde mai occasione per parlare o fare qualcuna delle sue stupide battute. Non mi sembra che questa sera abbia fatto una sola considerazione, neanche sul cibo.."
"Mamma sei paranoica e asfissiante anche"
"Certo perché ovviamente sono io a sbagliare. Sbaglio perché mi prendo cura di tutto e tutti. Sbaglio se voglio sapere cos'ha mio marito e magari sbaglio anche se chiedessi a mia figlia che tipo di gente frequenta." Ha iniziato ad alzare un po' la voce.
"Ma cosa c'entra ora. A chi ti stai riferendo?"
"Cassie con chi sei stata questo pomeriggio? Perché sai se frequentassi un ragazzo non ne farei un dramma, ma almeno vorrei saperlo. Non ti impedirei alcunché..."
"Mamma tu deliri, ma di che parli?" le rispondo abbastanza confusa e spiazzata dal suo comportamento.
"Quando oggi ti ho chiamata hai risposto pensando che fosse un certo Johnson, ma appena hai sentito la mia voce ti sei agitata leggermente" mi spiega con voce tremante.
"Io seriamente non so cosa dovrei risponderti. Come puoi pretendere che ci lasciamo i problemi alle spalle se non ti fidi di tua figlia? Hai bisogno di certezze? Sono pronta a chiamare Jenna, anzi, perché non lo fai tu direttamente?" Mi alzo per afferrare il mio cellulare e comporre il numero della mia amica e lancio uno sguardo di sfida alla donna che mi sta di fronte. Vedo che non fa nulla per fermarmi, dandomi la certezza del fatto che non mi creda su una simile sciocchezza.
Scuotendo la testa e con la stessa espressione amareggiata di mio padre, giro i tacchi, afferro il mio giubbotto di pelle ed esco di casa il più velocemente possibile.
Mi sento una stupida per essermi illusa che le cose tra me e mia madre sarebbero potute cambiare. E con la delusione stampata in viso mi incammino verso il mio rifugio sperando in un nuovo giorno al più presto.
La rabbia mi ribolle nel sangue e, mentre prendo a calci un sassolino, mi chiedo come mai ancora le mie guance non sono rigate dalle lacrime.
La corsa del sassolino si ferma non appena sbaglio la mira, ma il mio piede va a colpire lo stesso qualcosa. Mi accorgo che si tratta di un accendino azzurro. Mi piego per prenderlo e nel momento in cui mi rialzo mi accorgo di essere quasi arrivata, devo solo svoltare per raggiungere il parco giochi. Il mio nervosismo non si è comunque placato e quindi mi metto a giocherellare con l'accendino, ancora funzionante. Faccio comparire e scomparire la fiamma.
Un leggero rumore mi distrae e alzando il viso mi accorgo che qualcuno che riconosco è seduto su una delle altalene. Mi avvicino ad Adam e prendo posto al suo fianco, ma lui sembra non accorgersene.
Continua a tastare le tasche della sua giacca di pelle in cerca di qualcosa. Le sue labbra trattengono una sigaretta spenta e solo allora mi rendo conto che, probabilmente, l'accendino azzurro appartiene a lui.
Accendo ancora una volta la fiamma e lo vedo girarsi lentamente con un'aria un po' terrorizzata.
"Cercavi questo?" chiedo mentre avvicino la mia mano per fargli accendere la sigaretta.
"Ciao anche a te, mi hai fatto morire."
Sogghigno complice per ciò che ha detto.
"Credo mi stia venendo un infarto. I piedi e il braccio formicolano, un chiaro segno no?!"
"Si, il prossimo passo sarà l'arresto del sistema respiratorio.." replico per poi aggiungere: "ma quanto sei idiota Johnson!"
Lui continua a fumare in silenzio. Io continuo a giocare ancora con il suo accendino.
"Lo puoi tenere se lo vuoi"
"È un modo per chiedermi scusa?"
"Jackson io davvero volevo, anzi, voglio chiederti scusa. Non ti avrei tartassato di chiamate altrimenti."
"Ho litigato con mia madre.."
"Sai che novità!" esclama con una nota di sarcasmo che mi ha colta di sorpresa.
"Ci ho litigato per causa tua e delle tue insistenti chiamate, stronzo"
"E io cosa c'entro in tutto ciò?" domanda ignaro di tutto.
"Crede che le abbia mentito per poter trascorrere il pomeriggio insieme ad un ragazzo."
"Oh oh"
"E pensa che quel ragazzo sia tu, Johnson. Ma lo vedi quanto sei idiota?!"
Il silenzio cala tra di noi e il freddo si insinua sempre di più nei vestiti. Metto le mani in tasca per scaldarle un po' e le mie dita sfiorano qualcosa di ruvido.
Tiro fuori un biglietto stropicciato e aprendolo noto il nome di Jenna. La mia faccia si contrae in una smorfia divertita, ma poi mi ricordo delle parole della mia amica.
"Johnson hai una penna?"
"Io ho sempre una penna con me." Dice con un tono saccente che mi fa innervosire.
"Allora dammela no?!"
Mentre prende la penna bofonchia un "acida" pensando che non l'abbia sentito e io mi limito a scuotere la testa.
"La vuoi o no?!"
"In realtà serve più a te che a me" affermo sicura.
"Ho trovato il modo in cui puoi farti perdonare"
"E quale sarebbe?!" chiede con voce incerta.
"Una semplice firma. Un bell'autografo, proprio qua" spiego mentre gli porgo il foglio.
Mi guarda accigliato per un momento, ma poi il suo volto si illumina:"Ah giusto la petizione.."
"Si, una petizione alla quale tu parteciperai con la tua firma!"
"D'accordo girati." Mi incita strappandomi quel pezzo di carta dalle mani.
Gli do le spalle, come mi ha chiesto, e sento il peso della sua mano mentre traccia il suo nome sul foglio.
"Mi dispiace Cassie, per Will e per tua madre" mi sussurra da dietro.
"Dimentichi il biscotto" dico voltandomi verso di lui.
"Che biscotto?"
"Mi sono anche strozzata per colpa tua"
"E per tutto il resto" conclude con questa frase disconnessa per poi alzarsi e andare via a passo svelto.
"Johnson aspetta" lo rincorro nella speranza che si fermi.
Lo raggiungo al di fuori del parco giochi e i suoi passi si arrestano a pochi centimetri da me.
"Dimentichi l'accendino."
Si volta e mentre afferra quell'oggetto azzurro delle parole sfuggono dalla mia bocca, quasi in un sussurro: " grazie a te per le scuse.. E per tutto il resto.''

un patto di eterna amiciziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora