Capitolo 1 - The Boy and the King

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• Luna nuova •

Il ragazzo continua a camminare lungo i deserti corridoi senza prestare attenzione alle numerose porte che si stagliano ai suoi fianchi, la sua direzione è ben precisa, non si sarebbe fatto distrarre. Il ticchettio delle scarpe riecheggia nel profondo silenzio, scandendo ogni singolo passo fino alla meta. La punta dei mocassini è usurata dal tempo, dalle intemperie e dal duro lavoro. Le mani sono serrate, avvolte sulla fragile pergamena, legata da un semplice nastrino di tessuto rosso.

Il portone non è grande come se lo era immaginato nei suoi sogni più remoti, ma abbastanza da soddisfare in parte le sue aspettative. Le assi di legno si incastrano perfettamente l'una all'altra. Il pomello di ottone riflette la sua figura. Delle voci provengono dall'interno della stanza. Una è facilmente riconoscibile, Paul l'aveva ascoltata molte volte, quando impartiva ordini alle sue truppe: il generale Arnold Cooper. Sembra discorrere con un uomo di mezza età, data la voce profonda e intensa. Non è difficile immaginare chi sia, d'altronde si tratta dello studio di Re Vildar III. Paul non lo aveva mai visto di persona, ma se lo era sempre immaginato come un uomo dall'aspetto austero, possente, proprio come la sua voce. Era stato per lui un onore ricevere il compito di occuparsi del censimento tra gli inservienti, per poi consegnare personalmente il suo lavoro. In realtà non si trattava di un suo compito, ma di quello del suo collega Tom Roberts, purtroppo affetto da una grave indigestione. Forse spingere il giovane a bere vino fino a stare male non era stata una mossa tanto leale, ma lui aveva bisogno di essere notato. La sua famiglia viveva in pessime condizioni da quando sua madre era morta e con un aumento sarebbe riuscito forse a colmare la mancanza di cose fondamentali, quali medicinali e cibo.

La conversazione si fa sempre più intensa, sarebbe bastato avvicinare solo un po' l'orecchio alla porta, per scorgere qualche frammento. Si avvicina appena al legno, ma non prima di aver controllato di essere solo, poi può ascoltare.

«Credi che quella donna fosse la strega, Cooper?»

«Non lo so, sire. Dopotutto la magia oscura ci perseguita ancora, anche dopo la sua morte. Forse non è lei. A questo punto credo di poter giungere alla conclusione che si è trattato di un equivoco, vostra maestà.»

«Può darsi, ma come le spieghi le sue incredibili doti da guaritrice?»

«Forse questa aveva solo preso in prestito il suo corpo.»

«Cosa stai cercando di dirmi?»

«Forse lei era solo una pedina, chi ci dice che la strega non muti forma, d'altronde è lei la magia oscura stessa, quella che forse farà crollare il suo regno.»

L'uomo batte un pugno sulla scrivania di legno, facendo cadere qualcosa di metallico.

«Ti ho detto mille volte di non pronunciare questa affermazione. Nulla potrà mai distruggere il mio regno, nessuno è più intelligente di me!»

«Mi dispiace, vostra altezza, non si ripeterà più.»

«Lo spero. Dunque tu credi che la strega possa tornare ad impossessarsi di qualche altro corpo?»

«Spero di no.»

«Ama controllare donne giovani, a quanto pare.»

«Credo sia necessario perquisire le abitazioni dove risiedono ragazze, forse riusciremo a scovarla.»

«Lo spero per te.»

Il tono delle loro voci diventa ancora più lieve. Paul accosta ancora di più l'orecchio, ma non raggiunge i risultati sperati. Si accascia sulla porta, producendo un clangore tale da risuonare in tutto il corridoio.

«Cosa è stato, Cooper?»

Il ragazzo fa appena in tempo a rialzarsi, prima che il generale spalanchi la porta, rivelandosi a figura intera. Ha una statura maggiore rispetto alla media, indossa una divisa blu notte, coperta da tasche e medaglie di ogni genere. I baffi neri gli ornano il volto. La testa calva è coperta da un elegante cappello a bombetta.

«Le sembra questo il modo di bussare soldato? Si stava tenendo una conversazione privata in questa stanza!»

«Mi dispiace, signore. Sono qui per recapitare il censimento degli inservienti a sua maestà Re Vildar III.»

«Come ti chiami, soldato?»

Paul immagina che il generale abbia intuito stesse origliando. Decide dunque di non rivelare il suo vero nome.

«Roberts, Tom Roberts, signore. Soldato numero 124.»

«Bene, soldato 124, a suo beneficio avrà la possibilità di ricevere un pagamento extra dalla ''città dell'oro''. Ora consegni a me il recapito.»

«Fallo entrare Cooper, poi lasciaci da soli, devo discutere di alcune questioni con il signor Roberts.»

La stessa voce profonda che in precedenza Paul aveva sentito, l'unica differenza è che ora è possibile identificare la sua provenienza. Un uomo di mezza età siede comodamente dietro la scrivania. La barba bruna ricopre parte del volto, ricongiungendosi poi ai capelli spettinati. È stranamente esile, ma nonostante la sua forma fisica, incute terrore.

«Agli ordini, vostra maestà.»

Cooper esce dalla stanza. Guarda in modo torvo il giovane, per poi richiudersi la porta alle spalle. Il Re inizia a giocherellare con quella che sembra essere una matita. Impossibile dirlo, Paul non ne aveva mai vista una prima d'ora.

«Bene, signor Roberts, mi dia pure il censimento.»

Il ragazzo consegna la pergamena all'uomo. Questo la srotola completamente. Numerose impronte digitali sono riportate sul foglio, affiancate dal numero che contrassegna ogni soldato. La legge non fa eccezioni per nessuno. Il metodo di numerazione non è efficace come quello di scrittura, ma quest'ultima cosa è vietata ai sudditi, solo il Re può farlo. Ovviamente non conoscere i nomi dei soldati non è un bene, se lo avesse fatto avrebbero sicuramente riconosciuto Paul. In questo caso ciò giova a suo favore. Al Re sono sempre importati solo e soltanto i numeri. Non gli interessa chi siano i suoi seguaci, li numera come i pacchi, come oggetti. Più il suo esercito è numeroso, più le possibilità di conquistare altri regni sono vicine.

«Quanti soldati conta?»

«Duemilanovecentodue, vostra maestà.»

«Bene, può...»

La presunta matita cade ai piedi del re. Questi si china per raccoglierla. Paul nota sulla scrivania uno stranooggetto, la copertina è rovinata, ha l'aria di essere qualcosa di importante. All'improvviso sente il braccio muoversi da solo. Una strana sensazione di potere lo pervade. In men che non si dica lo raccoglie, infilandolo all'interno del giubbotto. Qualunque cosa sia, sarebbe stata sua.

«Vada pure, la congedo.»

Paul esce dall'ufficio a gran velocità. Corre fino all'uscita del castello, giungendo all'interno di una stalla. Estrae lo strano oggetto. Lo avrebbe distrutto a causa della rabbia, ma si deve trattenere. Non può tenerlo. Qualcosa lo ha spinto a prenderlo e allo stesso modo gli impartisce di inviarlo alla sua famiglia. Qualunque cosa sia, lo avrebbe mandato a sua sorella, in un modo o nell'altro.

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