La storia del più grande giocatore di basket e atleta di tutti i tempi si può riassumere in una sola parola: Determinazione. Il voler raggiungere qualcosa a tutti i costi, non curandosi degli altri e dei limiti imposti dalla natura. Eppure da piccolo non era così, aveva bisogno di essere sfidato e messo alle strette da qualcuno per dimostrare il meglio di se. Frequentava il corso di economia domestica perché pensava di non riuscire a trovare una ragazza il povero Michael, era il fratello più scarso dei 3 ed era stato escluso dalla squadra titolare del suo liceo. Tutti questi fattori potevano uccidere totalmente le aspirazione del giovane Jordan e farlo avvicinare allo sport di famiglia che era il baseball. No, Michael passò un anno ad allenarsi e a giocare nella squadra riserve, dove allenava il coach che lo aveva escluso, Clifton "Pop"" Herring. Coach Pop non lo aveva escluso per demeriti, ma soltanto perché Michael faceva il terzo e di solito nella squadra titolare ci giocano i ragazzi del 4° e 5° anno. Jordan non volle mai capire questa decisione e si intestardì per battere, si segnò il nome del ragazzo che lo aveva scalzato, tale Leroy Smith e tuttora Jordan usa il suo nome per firmarsi alle reception degli hotel dove alloggia.
Diventato titolare e ottimo prospetto liceale, finì al college a North Carolina dove giocavano Sam Perkins e James Worthy, futuri All Star NBA. Loro erano più grandi e Jordan era un rookie, inutile dire che Jordan sentì il bisogno di affrontarli in un 2 vs 1 dove naturalmente perse, ma a fine stagione il tiro decisivo lo prese Michael.
Determinato come non mai a prendersi l'NBA, fu scelto "soltanto" alla terza scelta nel draft del 1984, dietro il più grande centro di tutti i tempi, Hakeem Olajuwon e Sam Bowie, bust clamoroso di Portland. Jordan segnò sulla sua lista nera Portland e ogni volta che ci giocherà contro si ricorderà di quando loro preferirono Bowie a lui. Alla fine della sua prima stagione, Jordan era: All Star, giocatore franchigia dei Chicago Bulls e Rookie Of The Year; bussò alla dirigenza dei Bulls, dopo averli portati ai Playoff, e si fece inserire la clausola "Love of the game" ovvero decide Jordan se giocare tutta la partita o no.
Arrogante o no fu Jordan a mandare avanti la baracca Bulls, anche perché i suoi compagni non erano al suo livello. Lo possiamo notare nella serie di playoff contro i Celtics del 1986, dove Jordan tiene testa per gran parte della partita ai futuri campioni NBA e gioca realmente da Dio, come dichiarato da Larry Bird, suo avversario in quella partita.
Perse fino al 1990, quando arrivò Coach Phil Jackson con l'attacco a triangolo sviluppato dal suo assistente Tex Winter. Jordan non amò inizialmente questo schema, ma era l'unica soluzione per vincere un anello NBA e scrollarsi l'etichetta di perdente. Per vincere il suo primo titolo, voluto con tanta voglia e determinazione, dovette fare una cosa che non aveva mai fatto prima, ovvero fidarsi di un compagno; quindi passò il pallone decisivo a John Paxson. Dopo aver battuto i Lakers e conquistato il suo primo titolo NBA, Jordan tornò alle Finals l'anno successivo e trovò i tanto odiati Portland Trail Blazers: in quel tempo la stampa pensava che Clyde Draxler fosse al livello di Jordan, anche se lui non accettò mai questo paragone. Infatti fu demolito da Jordan che si vendicò ancora una volta su Portland. Nel 1992 c'erano anche le Olimpiadi di Barcellona e l'America veniva da una figuraccia a Seoul. Schierò il meglio della sua pallacanestro a eccezione di Isiah Thomas: Thomas, nel 1985, aveva osato oscurare Jordan nel suo primo All Star Game e quando nel 1992 fu chiesto a Jordan, divenuto IL giocatore dominante della NBA, un parere sulla possibile presenza della guardia dei Pistons, MJ fu categorico col suo no.
Ma il Dream Team, così era chiamata la squadra statunitense di basket, non era ancora suo, doveva dividerlo con Bird e Magic Johnson, appena tornato dopo la sieropositività;
In un allenamento a Montecarlo, dopo aver sbeffeggiato Bird per la sua schiena umiliò il team di Magic Johnson nella partita più bella mai giocata che non è neanche una partita ufficiale, ma soltanto un allenamento a porte chiuse. A fine partita Magic capì che l'NBA ormai era di Jordan, che stravinse l'oro con l'USA e fece il three-peat l'anno successivo contro i Suns di Barkley, MVP della stagione.
Quando tutto stava andando per il meglio, tranne per le scommesse perse da Jordan a golf contro i membri del cartello colombiano di Cali, fu assassinato il padre di Michael, mentre riposava nella sua auto, da due nativi americani.Jordan prima si ritirò dichiarando di non avere più motivazioni per continuare, poi ritornò al baseball, sport preferito del padre e indossò la numero 45, maglia di famiglia.
Ma nel baseball non andò bene giocando nelle minors, anche se degli esperti riferirono che la dedizione nel migliorarsi di Michael fu tale da permettergli di giocare nella Major League, infatti stava per essere aggregato ai Chicago White Sox quando Sports Illustrated pubblicò la copertina con scritto "Bag It, Michael" ovvero "Smettila Michael". Jordan si sentì ferito nell'orgoglio, lui era Jordan era abituato a dominare. Così annunciò una conferenza stampa dove disse solo due parole "I'm Back". Nel frattempo non rilasciò più nessuna intervista a Sports Illustrated.
Tornò sempre col numero 45 anziché col numero 23, ma si vedevano i due anni di stop.
Il giocatore dei Magic Nick Anderson , in un'intervista, parlò del numero 45 dei Bulls come di un giocatore forte, ma non quanto il 23, che era paragonabile a Superman. Stuzzicato dal rivale e dal coach , MJ dalla partita successiva in poi tornerà ad indossare la maglia numero 23 (che non abbandonerà più per il resto della carriera) pagando una multa per ogni partita di play-off giocata con quel numero (nella NBA infatti è proibito cambiare numero di maglia a stagione in corso senza richiederne preventivamente l'autorizzazione).
Ma i Magic eliminarono i Chicago Bulls con pesanti colpe di Michael Jordan, che nell'estate del 1995 non andò in vacanza: passò l'estate a girare Space Jam la mattina e il pomeriggio ad allenarsi fino a tarda serata per raggiungere la condizione perfetta, perché lui poteva ambire soltanto alla perfezione, pur avendo 33 anni.
Fatto sta che si presentò ai nastri della stagione 1995-1996 con il 4% di grasso corporeo e una carica di adrenalina immensa che lo porta addirittura a sferrare un pugno a Steve Kerr in allenamento. I suoi Bulls hanno preso anche il controverso Dennis Rodman, mai particolarmente incisivo in carriera, ma che legge il triangolo meglio di chiunque altro.
Altro three peat con Jordan che si eleva a Dio dopo questi 3 anni: Nel 1996 i Bulls hanno il record di 72-9 e demoliscono i Supersonics, nel 1997 Jordan vince da solo le finals contro i Jazz, tra cui Gara 5 dove Jordan supera i propri limiti: in ritiro a Park City, Jordan viene avvelenato da una pizza e viene ritrovato in una pozza di vomito semi cosciente. Jordan non dice una parola per un intero pomeriggio e viene addirittura trascinato al palazzetto. Non muove un muscolo, ma al momento di chiamare i quintetti, Jordan fa un segno a Coach Phil Jackson che lo mette in campo; segnerà 38 punti e vincerà da solo quella partita, crollando a fine partita.
Dirà anni dopo che per tutto il pomeriggio, mentre era al letto aveva immaginato ogni singola azione di quella partita e di come vincerla. La sua mente era andata oltre i limiti del suo corpo influenzato. E infine nel 1998, vince il sesto titolo con il tiro allo scadere dopo aver recuperato 4 punti in 30 secondi, con un tiro di un'eleganza unica preceduto da una finta che mette quasi a sedere Byron Russell, che aveva dichiarato di poter essere l'unico di poter marcare Jordan.
Si ritira, ma ritorna da proprietario e da giocatore con i Washington Wizards dove dimostra di dettare legge anche a 40 anni, pur dovendo accettare che la lega sta passando nella mani del suo erede Kobe Bryant. Gioca una partita meravigliosa al Madison Square Garden nel 2003, segna 39 punti in 40 minuti e tutto l'MSG si inchina a lui, anche se i Wizards avevano effettivamente perso.
Dopo aver messo a segno solo 8 punti contro i Nets nel 2003, viene definito finito dalla stampa.
Lui ne mette 51 la sera successiva contro gli Hornets dimostrando che la stoffa non va mai via.
I numeri fatti registrare lo offendono, ora passa le sue giornate a giocare a golf e amministrare i suoi Charlotte Hornets: ogni tanto spaventa l'NBA dicendo che potrebbe tornare, ma non lo farà mai, ha battuto prima Michael Kidd Gilchrist e Frank Kaminsky, due tra più atletici giocatori NBA.
Insomma Michael ha sempre bisogno di affrontare nuove sfide e la prossima potrebbe essere sfidare l'ex giocatore di football Lavar Ball, che da mesi lo sta provocando.
Per ora la risposta di Jordan è: " posso batterti anche con una sola mano".
Competitivo e non poco!
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Characters
Short StoryDove si vede la differenza tra un campione e un talento Dove si fermano gli umani e dove i superuomini lasciano il segno Dove il 99,9% si conferma e arriva, però, quel 0,1% a cambiare il mondo, quella percentuale che ci separa dalle macchine