Capitolo 48

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Riccardo

Non ci si può dimenticare di come muore un padre, e io non potevo dimenticare di come il mio era morto con i suoi ultimi occhi corrugati puntati su di me, come se volessero scrutarmi dentro un peccato. Mio padre era morto, ma il suo odore era ancora vivo, e sentivo una pestilenziale puzza di zolfo e di carne avariata, ma forse era solo suggestione. Non era poi morto da molto, e per qualche giorno le attenzioni che colmano i cadaveri li fanno sentire ancora un po' vivi.
Nessuno, in realtà, ronzava attorno al suo corpo. Ci avrebbero pensato le mosche tra qualche tempo, ma che schifo le mosche, pensai. Quell'inevitabile epilogo umano mi faceva pensare a quanto la natura fosse subdola a creare i propri figli e a risucchiarli nel suo concime quando questi fossero diventati sterpaglie.
Il medico legale richiese l'autopsia diagnostica. Non era certo della causa del decesso. Gli dicemmo come si era svolto l'episodio, e senza alcun dubbio si era trattato di infarto, ma forse era il pacemaker, disse. Era triste anche farsi regolare la vita da un orologetto che ti tradiva e si guastava quando ti guastavi tu.
Non ci furono complicanze né per me né per Maddalena. Eravamo entrambi fisicamente feriti e su di me c'erano segni di percosse; oltretutto mia madre poteva essere considerata un testimone e ci lasciarono in pace e ci medicarono. I medici dissero che il mio era un profondo ematoma e il fatto che fosse situato sulla tempia lo rendeva ancora più severo, ma ero per grazia divina ancora vivo. Pensai che la grazia divina agisce per giustizia, quindi avevo tutto il diritto di essere vivo, ma tacqui. La ferita non mi faceva male, ma il livido molto. A Maddalena fu applicato qualche punto. Non parlai mai quella sera, se non per quelle volte in cui le carezzavo il viso e le ripetevo: <<povero amore mio, povero amore mio>>, e lei mi guardava attonita e smarrita e mi chiedeva che cosa stessi dicendo, ma la verità era che non mi ero veramente avveduto della faccenda. Un po' di coscienza c'è sempre nei primi momenti, poi non c'è più, e poi forse ritorna, come quando ci si risveglia da un pianto e ci si chiede perché si abbia pianto.
Alle due e mezza del mattino arrivarono i nostri amici. Ero seduto davanti alla statua del papa e, quando mi alzai, Alessandro fu il primo ad abbracciarmi. Mi strinse molto forte. Io non ricambiai veramente, ma lo apprezzai molto. Vidi che Carla reggeva in mano un mazzo di fiori. Erano rose bianche e gerbere e me le porse con titubanza. Emanuele, al suo fianco, si tolse il cappello.
<<Grazie>> dissi. Le presi e le diedi a Maddalena. <<Tieni.>> Lei mi guardò allibita. <<Prendile tu.>>
<<Perché?>> chiese Alessandro.
<<Io lo so perché le deve prendere lei.>>

Sembravano molto spossati, come se non dormissero da giorni, perché avevano gli occhi sgranati di chi ha sonno ma non riesce a riposare. Forse erano stati svegli tutta la notte per venirmi a dare le condoglianze, e vederli così era davvero una visione funebre. Li portai alla caffetteria dell'ospedale che lavorava anche di notte e ci sedemmo sotto le luci sfrigolanti del neon. Sopra il tavolo ronzava una luce bluastra.
<<Come va?>> domandò Emanuele. Era tutto denti, come se temesse di parlare.
<<Bene. Adesso direi che hanno ottenuto il divorzio. Stiamo cercando di farci finanziare il funerale da un centro di recupero per alcolizzati.>>
<<Non dire assurdità.>>

<<Poi però dovrebbero pagare anche quello di mia madre, e non credo accetterebbero.>> Bevvi il mio caffè. <<Ci vorrebbe un mucchio di quattrini per soddisfare questa mania che l'uomo ha per le morti.>>

Alessandro e Maddalena si guardarono molto a lungo. La faccia di lui era assai interrogativa. Mi tolse la tazza dalle mani e disse: <<Io scommetto che ti è dispiaciuto.>>

Maddalena comprovò. <<Gli è molto dispiaciuto.>>

<<Ti prendo uno champagne>> dissi ad Alessandro.
<<No.>>

<<Non devi fare complimenti. Ecco, apri la bottiglia.>>
<<Ma che stai facendo?>> si intromise Carla.

<<Razionalizzazione>> osservò Alessandro. <<Si chiama così. E' un processo psicologico di difesa.>> Voleva dirlo sussurrando, ma io lo sentii.
Alla fine tutti assieme finimmo la bottiglia di champagne e ordinai anche qualche panino con alcune fette di prosciutto stese sopra, e ingoiai senza sentire il sapore e guardavo il mio piatto. Pagai e uscimmo di nuovo fuori. Era quasi mattino e il cielo era oro e albeggiante. Filari di nuvole si erano affusolati e affastellati sopra i tetti dell'ospedale, ma tanta altra gente moriva quando il giorno nasceva. Ci sedemmo sotto la statua del papa tutti e cinque questa volta, in silenzio.

I cinque nomi di Roma Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora