A chi conta le stelle,
a chi afferra la luna,
a chi accetta l'amore
che crede di meritare.Min Yoongi aveva sette anni quando ricevette il suo primo paio di scarpe. Air Max, bianche con il logo della Nike blu e le bolle d'aria sotto al tallone. Le indossava sempre, non se ne separava mai. Ogni sera prima di andare a dormire le puliva con un strofinaccio umido e poi le riponeva accuratamente nella scatola ai piedi del suo letto.
E ogni volta che saltava gli pareva di poter toccare il cielo e cogliere le stelle.
Stelle brillanti da poter regalare a sua madre, al posto di tutti quei gioielli che la donna si soffermava a guardare ogni volta che passava davanti a una gioielleria e che non si poteva permettere.
Stelle luminose con le quali poter illuminare la strada di casa a suo padre, ogni volta che tornava ubriaco dal pub dove aveva sperperato tutti i suoi guadagni giocando con le slot machines o scommettendo tutto quel che aveva con i suoi stupidi amici.
Stelle preziose che gli sarebbero servite per poter pagare gli studi di sua sorella Yoonji, che ogni sera piangeva perchè tutte le sue amiche avrebbero continuato a studiare mentre lei sarebbe stata costretta a lavorare per poter mantenere la sua famiglia.
E ventitré anni dopo Yoongi era seduto su di una pietra a contare le stelle mentre aspettava che qualcuno passasse di lì e gli dicesse che non si può volare senza lasciare il suolo.Cavallo in H3
scacco matto al cieloQuesta che sto per raccontarvi è la storia di come imparai a giocare a scacchi una mattina di primavera, seduto su una panchina verde all'ombra di un salice piangente che all'epoca piangeva ancora.
Questa che sto per scrivere è la storia di una torta al cioccolato (che io non avrei mangiato per ovvi motivi) con trenta candeline sopra e di come una folata di vento estivo, una telefonata e mille lacrime le abbiano spente.
Questa che sto per dimenticare è la storia di come io abbia trovato l'amore per perderlo solo qualche mese dopoHo conosciuto Taehyung circa vent'anni fa, nell'ormai lontano 2014. All'epoca ero un ventinovenne spaesato e alla ricerca di avventure (erotiche e non). Mi ero tinto i capelli di rosa almeno sette volte, ero allergico al cacao (e sarei finito in Paradiso senza passare per il Purgatorio solo per questo), giocavo a poker online e collezionavo francobolli, monete straniere e nel tempo libero costruivo navi in bottiglia e progettavo la casa sull'albero dei miei sogni. Ah, e ho dimenticato di dire che a ventitré anni, durante un viaggio in Giappone, rischiai di restarci secco a causa di un'intossicazione alimentare avuta dopo aver mangiato del sushi. Avevo battuto mio cugino nella gara fai – rimbalzare – i sassi – piatti – sull'acqua battendo il record familiare di diciassette salti con un lancio da ventidue (come la canzone di Taylor Swift, ma giuro che non lo feci di proposito). E ho comprato una nuova casa a mia madre, pagato l'università a mia sorella e la riabilitazione a mio padre. Sarebbe inutile dire che non funzionò, quindi mi limiterò a scrivere che quattro mesi dopo il suo ingresso nella clinica morì e io dovetti pagare anche il funerale. Alla domanda "dove vivi?", che nei siti d'incontro per omosessuali mi ponevano in continuazione, anziché rispondere "in Corea del Sud", rispondevo con un banalissimo "nell'attimo". Ero un tipo alquanto strano, forse un po' stupido ma almeno ottimista.
Quando mi trasferii a Liverpool per lavoro (ero un reporter ma mi occupavo di notizie inutili, quelle che di solito non legge nessuno e che si scrivono solo per riempire uno spazio bianco) pensai che almeno i miei problemi di solitudine sarebbero finiti. Ero nella città dei Beatles e andavo in giro con gli occhiali da hipster alla John Lennon e per i quali venivo costantemente osservato solo ed esclusivamente da donne. E soprattutto, vivevo a pochi minuti dallo stadio del Liverpool, una squadra che non avevo mai tifato (non me ne vogliate, ma all'epoca ero un accanito tifoso del Manchester City) ma della quale ammiravo lo stadio. You'll never walk alone, non camminerai mai da solo. E allora avrebbero dovuto spiegarmi perchè mi ritrovavo sempre solo in qualsiasi luogo andassi. Liverpool mi aveva ingannato e i miei problemi di solitudine persistevano. Fu così che mi licenziai e m'iscrissi a un corso di barman. Il barista non era mai stato il lavoro dei miei sogni ma almeno avrei potuto prendermi una sbronza gratuitamente, mangiare stuzzichini e conoscere qualcuno. Mi assunsero in un night club per gay e... Wow, finalmente qualcosa iniziava ad andare per il verso giusto. L'unico problema era che circa l'80% dei clienti abituali era impegnato e l'altro 20% era vergine. Diamine, era troppo chiedere un uomo il cui lato B fosse già stato usato? Desiderio insolito il mio, ma preferivo di gran lunga un ragazzo con una vita sessuale movimentata piuttosto che un verginello timido e impaurito.
Fu allora che lo incontrai. Era alto, magrolino, aveva due semafori castani come bulbi oculari e una cascata di capelli color del cioccolato. Pensai che Dio mi avesse finalmente dato l'opportunità di tornare a usufruire del cacao, ma in realtà mi aveva donato molto di più.
Decisi di offrirgli da bere e se fosse andata male, avrei scoperto che era astemio.
-Delirio al caffè, offre la casa.- e gli offrii uno shortino di mia invenzione: crema di whisky al caffè, whisky al caffè e il tutto spolverato di cacao.
Sorrise timidamente e allontanò il bicchierino.
-Sono astemio.- mormorò.
Sospirai affranto. Dovevo aggiungere questa alla mia lista di figure di merda. Era ormai palese che avevo cercato di rimorchiarlo e soprattutto... Quanti anni aveva? Forse venti, con un po' di fortuna, ma l'assenza di barba mi lasciava intendere che fosse ancora nel pieno della pubertà.
Ero un pedofilo.
-E io sono Yoongi.-
Che battuta pessima, il mio senso dell'umorismo era ancora fermo alle battutine scadenti di Facebook.
-Taehyung.-
-Ti hanno mai detto che hai dei bellissimi occhi?-.
-Sono etero.-
Il colore della mia pelle in quel momento era più o meno simile al colore delle camicie dei mille soldati di Garibaldi.
-E che ci fai qui?- la mia era una domanda lecita, dato che ci trovavamo in un locale esclusivamente per persone omosessuali.
-Ho accompagnato un amico.- rispose schietto -Aveva un appuntamento con un ragazzo.-
Parlammo per tutta la sera e gli raccontai un po' della mia vita. Del lavoro che avevo rifiutato, dei sogni che ormai non inseguivo più, della speranza perduta e del mio lavoro lì al night. Lui mi parlò del romanzo che cercava di scrivere da anni e che era fermo sempre allo stesso punto ormai da tre settimane. Mi parlò della ragazza che lo aveva lasciato e della soffitta in cui viveva. Alle tre del mattino (o della notte, per alcuni) mi disse che il suo amico se n'era andato e che gli serviva un passaggio a casa. Lo riaccompagnai io e lui mi lasciò il suo numero, in caso avessi avuto bisogno di un consiglio, di una guida che mi illustrasse Liverpool o più semplicemente, di un amico. Fu in quel momento che capii che non aveva accompagnato proprio nessuno e che era venuto lì solo per parlare con qualcuno e sentirsi meno solo. Era solo anche lui, come me. E adesso che ci eravamo trovati, la scritta You'll never walk alone iniziava ad assumere un senso.
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Cavallo In H3 +taegi
Fanfiction«Giocare a scacchi è un po' come innamorarsi, non è vero Yoongi?» amavo la sua insicurezza che lo costringeva a chiedermi anche se poteva andare in bagno. O respirare. «Cavallo in H3.» risposi. «Sei bellissimo anche tu.» e mi stampò un umido bacio s...