Bianca

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Erano le sette e trenta e Bianca attorniata dalla fredda acqua cristallina  fissava catatonica il soffitto in cerca di un motivo, una ragione per lasciare la vasca da bagno e infilarsi L'accappatoio.
L'acqua sfiorava leggera la pelle e brividi percorrevano le braccia la schiena e il costato scivolando
fino alla mano.
Bianca era Bianca, si proprio così. Era pallida, vuota, leggera e pura. Era tempestosa e silenziosa. Lo sguardo malinconico disegnava cerchi nell'aria mentre si guardava attorno, sfiorava il suo piccolo mondo che pareva sul orlo della fine.
Bianca uscì dalla vasca, evitò lo specchio disegnò con le goccioline d'acqua tanti piccoli cerchi sul pavimento e si infilò l'accappatoio raggomitolandocisi dentro. Aveva il corpo sottile segnato dai pasti saltati e dalle troppe corse contro il tempo, contro se stessa, contro i suoi genitori. E questo che doveva essere un nuovo capitolo iniziava già barcollando, arrancando. I minuti correvano e lei cercava di fermarli, afferrandoli con le dita, afferrando il suo costato e sfregandolo con l'accappatoio,  ma non riusciva a muoversi a continuare, a continuare a vivere.
Era nella steppa, nella steppa della sua anima vagante, dove tutto sembrava fermo instabile. La lotta contro se stessa continuava dentro, la lotta contro se se stessa continuava, fuori. Ovunque, in lei e fuori di lei, su ogni centimetro di pelle e poi giù fino alle ossa.
Inforcò gli occhiali e finalmente il suo viso incontrò lo specchio per qualche secondo ma senza lasciare traccia. Attraversò il corridoio lasciando che il vento le accarezzasse la pelle bagnata per poi tornare sulla soglia della finestra e gettarsi nuovamente in strada.
Eccola, era nuda di fronte allo specchio ora tutto sembrava essersi fermato per quanto già non fosse lento e scandito dal ritmo dell'anima inquieta. Ora avrebbe dovuto cercare dei vestiti decenti e infilarseli addosso eppure non sembrava convita. Mancava qualcosa in lei. Inesorabilmente, profondamente. Optò per una gonna a vita alta con le farfalle e una maglietta azzurra. Andò in cucina prese una mela, la posò, la prese di nuovo e se la cacciò nello zaino.
Ora doveva solo partire, lasciare dietro di se il passato ancora sanguinante, il suo non essere mai abbastanza per se stessa e per gli altri. In casa non c'era nessuno, strano solitamente c'era sempre qualche fastidiosa parola di raccomandazione per ogni inizio, vi era sempre il pesante sostegno di qualcuno ad opprimere ogni singola e casuale scelta di Bianca, ma oggi pareva essere il contrario. Non sapeva dove i suoi genitori fossero e nemmeno le importava. Prese qualche foglio e una penna e li mise nella borsa, si guardò per l'ultima volta allo specchio socchiudendo gli occhi e cercando di controllare solamente i capelli senza soffermarsi troppo sul viso bianco sciupato già di prima mattina.
Prese la borsa rapidamente e sbattendola chiuse la porta. Le due più veloci azioni della giornata, forse dell'intero mese.
Scese in strada dove il profumo di pane appena cotto danzava un lento insieme all'aria rarefatta, la signora del terzo piano stava tagliando le rose e lei sembrava sentirsi già più piena.
Più piena di vita.
Se il silenzio catatonico l'aveva lasciato nella vasca ora camminava con lei una leggera danza di suoni e movimenti cittadini. Dalle biciclette che sfrecciavano per le vie parallele, al profumo di benzina fino alla melodia dei clacson in lontananza.
Lasciare andare è la cosa più semplice da fare ma più difficile da imparare a fare. Una volta che sai lasciare andare tutto scorre leggero, felice, ma prima di allora ogni dolore è un masso. Un pesante masso grigio e malinconico, un inutile peso sul cuore che trascini con  catene ardenti. Attraversava le vie velocemente bianca, se sapeva essere lenta, ferma e catatonica poteva anche scivolare agevolmente fra le strade della città. Senza pensare. O meglio, pensava pensava eccome, ma a furia di farlo anche il pensiero era l'eterna copia di uno stesso stampo ripetuto all'infinito. L'eterna incommensurabile copia del dolore. Bianca salí sul bus, una signora vicino a lei lavorava a maglia mentre il signore con il cappello leggeva un quotidiano. Lei fissava fuori dal finestrino, la banca, poi il palazzo di giustizia, la piazza principale, la via attorniata da luci che illuminavano le prime ore dell'alba. Arrivata, era finalmente arrivata, era lì davanti all'università, dopo anni di lotte contro se stessa questo poteva essere un nuovo inizio, lì dentro nessuno la conosceva, nessuno conosceva i suoi punti deboli o quelli di forza poteva essere chiunque, chiunque volesse essere.
Si guardò intorno, strinse a se la borsa e fissò l'orologio per qualche secondo. E
ra pronta, no, non pronta a lasciare andare, non sarebbe mai stata pronta a farlo. Era pronta a ricominciare, ricominciare pur rimando barricata fra le sponde della sua anima, pur senza lasciare andare voleva ricominciare. Ecco, era lì, con un caffè d'asporto alla mano e la sua borsa rossa tutta sfilacciata.

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