Capitolo sette - Cross your heart and hope to die

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"Children waiting for the day they feel good."
-Gary Jules, Mad World.

***

«Passa per Webster Avenue. Ci metti di meno, ma è pericoloso. Fai in fretta e non fermarti per nessun motivo.»

La testa le stava urlando di seguire il consiglio di Allan, risalendo in macchina il più velocemente possibile e allontanandosi di lì prima che accadesse qualcos'altro; un'altra parte di lei, però, chissà quanto grande e di quale importanza, sapeva bene che non se ne sarebbe mai andata senza prima provare a fare qualcosa.

Dei gemiti di dolore e dei respiri soffocati e irregolari le riempivano le orecchie. Accasciato sul cemento freddo e umido di un sottopasso, rannicchiato in mezzo a dei ciottoli e alla polvere che gli sporcava di grigio la pelle scura, un ragazzino di al massimo dodici anni se ne stava lì, ad aspettare che il dolore divenisse così acuto da spegnersi, magari una volta per tutte.

Era stato lasciato lì come si fa con la spazzatura, nell'attesa che qualcuno se lo portasse via; che questo qualcuno fosse una persona desiderosa di prendersene cura o la morte poco importava.

Roxanne percepì una sensazione strana accrescerle nel petto, che sembrava intenzionata a farla affondare. Si sentiva spaesata, totalmente presa alla sprovvista; non riusciva più a capire come controllare il suo corpo, il quale si sarebbe voluto scindere per correre in tutte le direzioni pur di non star fermo in quella macchina. Era quasi totalmente certa di riuscire a sentire il sangue accarezzarle le pareti interne delle arterie e di percepire il rumore prepotente di ogni singolo battito cardiaco sfondarle il petto. Le accelerò il respiro e le mani smisero di essere ferme come al loro solito. Si contraevano, nervose, per poi tornare normali. Adrenalina.

Gli andò in contro quasi correndo e lui reagì subito, sopraffatto dalla paura che qualcuno potesse fargli ancora del male. In quella condizione non avrebbe potuto sopportare altro. Mirò al suo petto con una Barretta 84 FS, procurata chissà dove, mentre la squadrava con gli occhi neri pieni di lacrime e di rabbia.

I lineamenti un po' paffuti, non ancora sfiorati dalla pubertà, erano sporchi di sangue incrostato, ma la ragazza non aveva idea se fosse suo o di qualcun altro.

Una grande nuvola di capelli ricci e incredibilmente sporchi gli copriva in buona parte il volto che teneva abbassato, ma Roxanne riuscì comunque a scorgere la sua espressione dilaniata dal dolore.

L'altra mano era stretta all'addome, dove si stava allargando pian piano una macchia di sangue scuro. Non sembrava essersi già espansa fino ad un punto di non ritorno, ma era solo questione di tempo: doveva essere operato subito.

Roxanne mise le mani bene in vista davanti a sé, preoccupata che lui potesse spararle. Non poteva sapere come avrebbe reagito. «Non voglio farti del male. Metti giù la pistola.» Cercò di mantenere un tono di voce il più pacato possibile.

«Chi ti ha mandato?» ringhiò lui con il fiato corto. Non sembrava intenzionato a schiodarsi dalla sua postazione.

«Nessuno. Stavo passando di qui e ti ho visto a terra. Non puoi restartene lì: devo portarti in ospedale.» Questo era ovvio persino per lui, ma non sembrava importargli un granché.

Il tempo scivola via dalle dita come poche altre cose riescono a fare e non è mai il caso di sfidare ciò che non si può controllare, non quando si rischia così tanto.

«Che cosa hai visto?» Il suo sguardo fermo le faceva quasi paura. Era sopraffatto dal dolore, ma non voleva dare segni di cedimento. A tradirlo c'erano solo la giugulare e un'altra vena sulla tempia destra, incredibilmente gonfie per lo sforzo che gli costava stare semplicemente seduto.

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