10. (23 agosto)

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Una folata di vento - più forte di quelle che agitavano da ore, incostanti, le fronde degli alberi che circondavano il prato davanti alla facoltà di Scienze Sociali e Storiche dell'University College – sollevò da terra le poche foglie secche radunate attorno alle panchine in marmo chiaro poste sotto le finestre del dipartimento di Antropologia.

Seduto in una delle zone più isolate del campo, protetto da un manto di chiome burrascose e frementi, un uomo dalla corporatura esile osservò il fogliame alzarsi e vibrare nell'aria per qualche secondo, prima di tornare a terra con movimenti dolci.

Sorrise appena, seguendo quel morbido planare con la testa. Per un attimo, gli sembrò che le foglie danzassero al ritmo del brano di musica classica che si liberava, al massimo volume, dalle cuffie che gli avvolgevano le orecchie.

Tamburellò con le dita sul grosso volume - copertina in pelle scura rischiarata da sottili filamenti dorati lungo i bordi - appoggiato sulle sue gambe, seguendo l'andamento degli archi nella sinfonia.

Chiuse gli occhi, oscillando il capo da una parte all'altra, i capelli castani mossi dal vento. Nei punti dove il passante delle cuffie ne ostacolava il movimento i ciuffi rimasero fermi, gonfiandosi appena in prossimità della fascetta imbottita.

Si accorse dell'ombra immobile ai propri piedi solo quando – più di un minuto dopo – la musica si interruppe e, adagio, schiuse le palpebre.

Rimase a fissarla per qualche secondo, indeciso se seguirne il profilo fino a scoprire da dove nascesse, o ignorarla. Alla fine, molto lentamente, girò la testa verso sinistra, risalendo poco a poco il terreno sino a vedere il velo che scuriva l'erba sparire sotto un paio di scarpe eleganti.

Socchiuse le labbra, sorpreso. Poi, rapido, serrò gli occhi con una forza tale che le lievi rughe di espressione presenti ai loro angoli divennero avvallamenti profondi.

«Sono davvero qui.» La voce gli giunse ovattata attraverso lo schermo degli auricolari e, per un istante, gli sembrò che far ripartire la musica fosse l'unica cosa saggia da fare.

Si portò una mano nella tasca dei pantaloni di cotone bruno, estraendo il cellulare al quale le cuffie erano collegate. Riaprì gli occhi quel tanto da poter vedere sullo schermo la sequenza dei brani salvati, ma una mano si posò sulla sua, bloccandolo.

La sensazione di calore del palmo che premeva contro il suo dorso sembrò rincuorarlo. Si fermò, prendendo un respiro profondo.

«Sei davvero qui» ripeté come a convincersene, annuendo appena. Con un certo sforzo alzò lo sguardo verso il viso della persona che, in silenzio, si era accovacciata di fronte a lui, davanti alla panchina.

Lasciò che le sue iridi scure mettessero a fuoco ogni efelide, scoprendo di ricordare ogni singolo, piccolo ciuffo ramato attorno alle labbra dell'uomo che aveva dinanzi.

«Perché sei qui?» domandò dopo qualche secondo, facendo uscire l'aria trattenuta troppo a lungo nel petto assieme alle parole. «Ne abbiamo già parlato.»

«Lo so» rispose l'altro, abbassando lo sguardo ed annuendo. «Lo so. Ma ho bisogno del tuo aiuto.»


* * *


Lee era rimasto a guardarlo - la testa inclinata da un lato ed il tremore leggero delle mani nascosto nelle tasche dei pantaloni - per quasi un'ora.

Aveva deciso di avvicinarsi solo quando le dita dell'altro - seduto dal lato opposto del piccolo giardino - avevano smesso di muoversi veloci sulla copertina rigida di quello che doveva essere, quasi certamente, uno dei tanti libri di testo che amava raccontare ai propri studenti durante le lezioni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 11, 2017 ⏰

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