I libri e le leggende raccontano di me come un'eroina, la salvezza del popolo, vedono in me un barlume di speranza nel buio, molti mi considerano una liberatrice. La gente mi chiama ormai da tempo "Shanyra, l'angelo della morte", sempre dalla parte del bene e della giustizia, ma spesso i racconti sono distorti, ritoccati e nascondono oscure verità, verità che pochi conoscono. Parlano di me facendo solo vaghi accenni al mio passato e narrano delle mie eroiche gesta esaltando le mie doti d'arciera e la mia grande saggezza quasi come fossi una dea. Chissà come mi guarderebbero se sapessero che non ero altro che una ladra senza passato né futuro, un' assassina dedita al rancore. Che cosa direbbero di me se venissero a conoscenza del periodo in cui ero famosa per essere un'ombra anonima e criminale anziché un esempio di dedizione, coraggio e lealtà? Che cosa penserebbero se sapessero che un tempo le mie azioni erano guidate dall'odio e dal disprezzo? Adesso invece mi acclamano lungo le vie come fossi una regina, fingo tuttora di aver sedato la mia sete di vendetta e di aver cambiato i miei obiettivi. Non lotto più per me stessa ma per gli altri, o almeno cerco di convincermi di tutto ciò. Durante i miei viaggi, quando la quiete mi avvolge, vagabondo con la mente nei sentieri della mia vita, chiedendomi cosa sarei diventata se quella notte i miei genitori si fossero salvati, se non fossi venuta in contatto col mondo degli uomini. I miei sogni sono spesso turbati da immagini, suoni, tormenti che porterò con me nella tomba.
La storia che voglio raccontarvi inizia col ritrovamento di una lettera giallognola di fronte la mia porta. Mi trovavo nelle stanze di una taverna in un villaggio di un mondo lontano. Mi trovavo lì perchè girava voce su una taglia, quella di un uomo di grossa stazza che andava in giro di notte in cerca di donne da possedere, consenzienti o meno, sposate o nubili non faceva differenza. Così mi finsi una serva disagiata, una perfetta esca pensai, e così fu. Provai immenso piacere guardando il suo volto mentre lo eviravo e ricevetti una buona somma di denaro portando il membro al capovilaggio. Le mie mani non rimasero pulite più di un minuto quando raccolsi la missiva.
Fiutavo già l'acre odore di una nuova missione. La casata Bèlewyn, il cui simbolo della luna crescente era impresso in ceralacca, richiedeva nuovamente i miei servigi. Aprendola non fui stupita d'aver ragione: un certo mago mi chiedeva di raggiungerlo sulla sua isola per affidarmi un compito sotto pagamento in un altro mondo, niente di più appetibile per me. La lettera era priva di dettagli: probabilmente il mittente li aveva considerati inutili, ma ero abituata a missive di tutti i tipi, bizzarre o mezze vuote, quindi non fui sorpresa dalla scarsità di particolari. M'imbardai di un completo di cuoio laminato, poi presi il mio arco e due daghe. Erano dei cimeli elfici, la qualità del legno dell'arco gli donava un'ottima flessibilità, tale da non richiedere una forza particolare nel tenderlo; le daghe avevano delle rune incise nel metallo, un incantesimo che sigillava i peccati all'anima di chi era stato trafitto. Grazie a queste rune, anche se i nemici avessero purificato il corpo col fuoco, i peccati sarebbero pronti a far pesare la bilancia del giudizio come degli sfregi indelebili sul malcapitato spirito.
La pratica del teletrasporto era assai sfruttata a quei tempi, dovevo nominare il nome di una delle pietre runiche ancestrali (sparse nei vari mondi) per trovarmi di fronte ad esse, oltre a chiudere gli occhi ed immaginare il simbolo disegnato nel papiro. Ogni volta che una runa veniva utilizzata, perdeva i propri poteri per sette soli e sette lune ed il simbolo che si formava cambiava ad ogni utilizzo. Usai questa magia solamente una sola volta nella mia vita e non fu il migliore dei miei viaggi, avvenne tutto in un istante e la sensazione fu quella di uno sciame di formiche che mi eviscerò morso dopo morso. Decisi di andare sebbene l'idea di rivivere quell'incubo non mi allettasse, avevo giurato i miei servigi a quella casata elfica e non potevo rifiutare. Così chiusi gli occhi, focalizzando nella mia mente il simbolo composto da tre anelli intersecati tra loro e sussurrai la parola Deceptio.
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Le cronache di Shanyra
Fantasía" I libri e le leggende raccontano di me come un'eroina, la salvezza del popolo, vedono in me un barlume di speranza nel buio, molti mi considerano una liberatrice. La gente mi chiama ormai da tempo "Shanyra, l'angelo della morte", sempre dalla part...