Passi lenti e cadenzati risuonano nella penombra della stanza vuota.
Senza fretta e con aria di profonda tristezza avanza verso me, che rimango immobile e inerme. Si ferma poco distante.
Mi scruta con cipiglio severo mentre protendo le braccia verso lui, nel tentativo mio di proteggerlo. Con riso sardonico rifiuta il mio aiuto come se fossi veleno per il suo essere.
Con una spinta mi scaraventa a terra, provo a rialzarmi ma non ci riesco. Sono inginocchiata, bloccata da corde invisibili, non posso far altro che guardare lo scempio che fa di se stesso. Lo osservo mentre con amarezza e disperazione strappa le proprie ali, che Euterpe e Calliope gli han donato.
Squarcio risonante nella semioscurità.
Tormento dell’animo di quel che è stato, di quel che non sarà, di quello che sarebbe potuto essere. Le mie urla s’infrangono in gola, incapaci di risalire, rimangono lì come le cose non dette, taciute, che con il tempo han formato un muro di orgoglio, paura e ragione.
Un altro squarcio provoca una tale energia da infrangere l’armatura di speranze e fiducia che indosso, mi scuote come se fossi una bambola di pezza, scombina ogni mia molecola per trasformarla in fiele.
È sanguinante, ma continua imperterrito nella sua follia straziante a spezzare, lacerare, dilaniare ed io non riesco a sopportarlo. Assisto alla sua caduta, mi divincolo per liberarmi, ma le catene si avvolgono al mio corpo come le spire di un boa, tanto da rendere difficoltoso il respirare, tanto da annebbiare i pensieri.
Se solo si fosse guardato con altri occhi, avrebbe compreso l’uomo di valore che è divenuto, non avrebbe rinunciato ai suoi desideri, per paura di fallire e privarsi del talento che gli è stato offerto.
Rischiare e tentare per non vivere di rimpianti, non c’è cosa peggiore delle occasioni mancate e del tempo irrecuperabile che non ritornerà mai più. Alimentare il fuoco dell’anima avendo premura di non farlo estinguere, illusorio è stato l’atto; tenacia, costanza e coraggio assenza deleteria. Figura presente, invisibile allo sguardo di chi ha scelto l’incuranza e il biasimo, ossigeno per le braci ancora calde, pronte ad ardere nuovamente. Sostegno non accolto e fiamme soffocate, triste inaspettato seguito, persa la strada che giunge a se stesso, persa è la meta, la condanna è l’inferno.
Terminato è il supplizio. Ansante e disilluso angelo divenuto demone della propria inquietudine, osserva confuso e sconfitto i resti della punizione autoinflitta, allontanandosi dalla scena del crimine che lo ha reso carnefice di se stesso. Le catene che mi avvinghiavano si sono dissolte. Ora sono libera ma prigioniera di un qualcosa che non si può più recuperare. Annichilita, vuoto a perdere, questo ora sono, smarrita tra i pensieri nella stanza già buia. Consapevolezza di essere stata il nulla soltanto.
Rumore confuso. Scalpiccio di passi in lontananza...