Prologo

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Appoggiò la lettera sul comodino e si afflosciò per terra senza forze. Le sembrava che il cuore avesse smesso di battere per un millesimo di secondo, provocandole quasi un sollievo, poi aveva ripreso a funzionare in un modo troppo doloroso, come se battere fosse qualcosa di innaturale e sgradevole. Le lacrime iniziarono a scenderle e, anche se lei provava a soffocarle, le rigarono le guance fino a giungere all'incavo della gola.

All'improvviso si sentì attraversare da un brivido e quella strana sensazione le diede la forza di alzarsi e di prendere in mano il telefono. Sfiorò con le dita ossute le cifre, le era venuto automatico da digitare quel numero, non importava se loro due avessero litigato, lei doveva saperlo.

"Pronto?"

Voce allegra. Spensierata. Probabilmente era a lezione, a scattare qualche fotografia di coloro che stavano davanti a lei.

Cercò di non pensarci più, ma la voce non voleva uscire. Le parole si erano trasformate in silenzio ma d'altronde era quel silenzio che aveva messo fine alla loro farsa.

"Tesoro, sei tu?"

Si morse la guancia, avvertendo il sapore amaro della ruggine diffondersi nella sua bocca. Asciugò le lacrime e appoggiò giù la cornetta, non voleva che lei soffrisse per colpa sua. Non aveva nessun diritto di privarla della felicità .

Sentiva il freddo gelido sfiorarla delicatamente, lasciandole addosso una spiacevole sensazione. Vertigini. Alzò lo sguardo dal telefono e osservò la parete.

Lo specchio sfregiato le rimandava l'immagine sciupata di una ragazza sulla ventina. Occhi rossi scrutavano con orrore il riflesso pallido che la perseguitava negli incubi. Era la rappresentazione esatta della donna-ombra dei suoi sogni. L'urlo, covato in profondità , le uscì repentino e liberatorio, per poi trasformarsi in un singhiozzo di disperazione.

Scivolò, appoggiandosi al muro e chiuse gli occhi. Stava precipitando. E la cosa peggiore era che non sapeva a che cosa aggrapparsi.

Mark si sedette sul gradino, appoggiando la bottiglia per terra.

Il rumore ovattato del treno raggiunse il suo orecchio, procurandogli un leggero brivido. La stazione era un posto perfetto per fare un pisolino indisturbato, nessuno lo avrebbe cercato in quel posto dimenticato da tutti.

Osservò lo schermo del cellulare, il volto di una ragazza lo osservava, sorridendo.

"Fottiti, Kath" biascicò, sdraiandosi per terra.

Contemplò la tettoia grigia, prima di addormentarsi con il suo solito sorriso sfrontato e sicuro dipinto sulle labbra.

Mark socchiuse gli occhi, osservando di sottecchi un paio di occhi limpidi che lo fissavano dolcemente. Fece per alzarsi, ma i muscoli non rispondevano ai suoi comandi, così rimase sdraiato a contemplare il volto pallido della ragazza.

"Sono morto e tu sei un angelo" sussurrò.

Lei scosse la testa, guardandosi intorno prima di sfilare dal collo una sciarpa nera. Si inginocchiò accanto a lui e gli alzò la testa, appoggiando la sciarpa sotto essa.

Mark studiò attentamente i suoi zigomi accentuati, il modo in cui i suoi capelli lunghi e castani avvolgevano il viso sofferente e come le sue mani piccole tiravano dalla borsa un portafoglio. Si soffermò ad osservare la valigia accanto alla ragazza, aspettandosi di vederla svanire come un'apparizione. Sbatté le palpebre mentre lei si allontanava da lui, avrebbe voluto dirle di rimanere, ma aveva la bocca impastata e secca. La vide fermarsi un attimo indecisa, passarsi la mano tra i capelli e osservare la punta delle sue scarpe.

"Sto morendo" mormorò, facendo un lieve sorriso che non le arrivò agli occhi.

Afferrò la valigia e si allontanò, senza aggiungere altro.

Mark osservò a lungo il punto in cui il suo lungo cappotto era scomparso dalla sua visuale, prima di cadere nuovamente in un sonno profondo, tormentato dalla ragazza dagli occhi color ghiaccio.



L'inferno degli innamoratiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora