"Emrys."
Aprii gli occhi lentamente, distaccandomi con riluttanza da un sonno senza sogni. Era trascorso molto tempo da quando la sua voce non tornava a tormentarmi anche di notte, pensai, mentre il mio sguardo assonnato si perdeva oltre la finestra. Decisi di ignorare quel richiamo convincendomi fosse la cosa migliore, quindi, mi strinsi nel tepore delle coperte cullandomi nel buio delle mie palpebre chiuse.
Svegliati, Emrys. Io sono qui.
Prima ancora di realizzare il significato di quelle parole i miei occhi si sgranarono, il corpo che si stava già districando tra le lenzuola. Lui è qui, gridai nella mente, spalancando la porta scontrandomi con il buio pesto della stanza. Quando finalmente mi abituai all’assenza di luce vidi una sagoma ingobbita riversa sul tavolo; dovetti avvicinarmi per capire che si trattasse del cerusico.
-“Gaius!”, lo scossi per le spalle con il cuore istantaneamente schizzato in gola, -“Gaius, che cosa vi hanno fatto?”.
-“Sta solo dormendo profondamente, non c’è bisogno di agitarsi.”.
Trasalii, intrappolato in una rigida immobilità.
-“Che ci fai qui, Mordred?”, riuscii ad articolare, domandandomi dove fosse finita la mia salivazione.
-“Sapevamo che non sarebbe stata una buona idea quella di allontanarci”, sussurrò e ad ogni parola sembrava farsi sempre più vicino, -“perché voglio capire l’origine del tuo improvviso distacco. Mi stai facendo impazzire”, aggiunse tra i denti e sentii il suo fiato sul collo mentre pronunciava il mio nome in una sorta di preghiera e lamento, -“Emrys.”.
Fu in quell’istante che mi voltai, scosso da mille e più brividi in ogni singola parte del corpo. Non ci impiegai molto tempo ad individuarlo nascosto nell’ombra, una parte del suo essere imprigionato nell’oscurità l’altro, invece, rischiarato da quei pochi strascichi di luna che filtravano dalla finestra. Mi lasciai coinvolgere da un sorriso amaro, perché, vedete, quell’immagine di Mordred mi faceva pensare a quanto fosse diviso tra la luce del bene e le tenebre del male. Solo che io non avevo ancora capito le sue intenzioni, se la sua presenza significasse disfatta per Camelot o solamente rovina per il sottoscritto. -“Avevamo stabilito che era stato tutto un errore.”. La veemenza con cui volevo pronunciare quelle parole lasciò spazio ad un tono di voce arrendevole, pietosamente basso, tanto che faticai ad udirmi io stesso. La mandibola di Mordred si contrasse e con un gesto fulmineo azzerò quella minima distanza che aveva posto tra noi. -“Tu avevi osato dire una menzogna simile”, ribatté ferendo il buio con una mano per stringere la mia, fredda e tremante, -“siamo uguali, Emrys. Siamo uno la forza dell’altro e ci desideriamo come abbiamo scoperto. Sarebbe un peccato sprecare altre notti l’uno lontano dall’altro, non trovi?”. Deglutii a fatica mentre il suo respiro caldo m’investiva il viso, alimentando il fuoco che, lo sentivo, mi stava consumando. -“Sei qui per cercare di convincermi che quello che abbiamo iniziato è giusto. Come se già non avessimo il peso di quello che siamo sulle spalle.”, lo attaccai, con un ghigno sulle labbra. Lui rimase impassibile, mentre io fissavo intensamente i suoi occhi di ghiaccio, avvertendo una sottile vertigine impadronirsi nella mia testa; come quando da piccoli io e Will guardavamo il confine del lago di Ealdor e pensavamo che oltre si potesse cadere e morire. Addentrarsi negli occhi di Mordred, equivaleva quella terrificante sensazione. -“Sono qui per lo stesso motivo per cui tu, adesso, stai stringendo la mia mano.”, mi fece notare, compiaciuto. In effetti, non avevo semplicemente accolto la sua calda mano ma addirittura avevo ricambiato la stretta, mettendoci fin troppa forza. Cercai immediatamente di liberarmene ma, all’improvviso, fui invaso da un calore allarmante da capo a piedi; tornai a guardare Mordred e vidi il bagliore giallo della magia nei suoi occhi.