Achille, dopo i funerali della dolce amata era salito sulla cima della scogliera che dava su Tenedo, e da cui si poteva tranquillamente vedere il campo Acheo e la distruzione causata dal Radioso Apollo proprio dallo stesso luogo. Rifletteva sul senso della vita, della guerra, della morte, soprattutto com'è facile immaginare, della morte dell'amata, che neanche il Dio, stando alle sue parole, avrebbe voluto. La pioggia dirompente veniva giù a fiumi mentre tuoni e lampi squarciavano il cielo. Più volte Achille in un impeto di rabbia, quasi sfidando la potenza della natura e in proiezione del Destino, che con lui era stato crudele, aveva lanciato i suoi attacchi contrastando i fulmini che dal cielo si propagavano nell'aria, e quelli che cadevano sia sulla terra, sia sull'acqua. Dopo qualche Lightning Bolt si calmò e si risedette. La sua mente tornava agli insegnamenti del maestro Fenice, quando stava ancora imparando a controllare le sue capacità elettriche.
La splendida Ftia ritornava nei pensieri del Pelìde, in uno dei tanti giorni splendenti trascorsi al palazzo, allenato da Fenice e Chirone.
«Il fulmine è potere assolutamente raro!» – Gli spiegava Fenice – «Sai anche Zeus stesso ha quel potere, e pochi altri lo possiedono. È il potere più malleabile in natura, si può utilizzare per tantissime cose... ma è anche il più pericoloso degli elementi... Ora che hai imparato un po' ad utilizzarlo, sapresti dire cos'è un fulmine, Achille?» – chiese l'affettuoso Fenice al giovane principe di Ftia.
«Il fulmine è una connessione... una connessione di due punti! Per esistere un punto deve essere in grado di cedere energia... e un altro deve essere in grado di accettarla! Il fulmine va dal punto a maggiore energia a quello con minore energia!»
«Sì... è corretto... ma non solo!»
«Come non solo?» – chiese il giovane Achille con espressione contrariata dall'aver sbagliato, almeno in parte.
«Quando si crea un fulmine, s'instaura una connessione tra due punti finché non sono in equilibrio, finché non risuonano insieme allo stesso modo! Il fulmine è soprattutto distruttore ma può anche essere usato in altra maniera!»
«Per che cosa? Non capisco!»
«Mi spiego meglio! Affinché il fulmine esista, deve esistere un legame tra quei punti che il fulmine sugella. È la più grande allegoria dell'amore. L'amore è la più forte delle connessioni umane. Come il fulmine è intenso più di ogni altra cosa in natura. Ci innamoriamo quando meno ce lo aspettiamo, improvvisamente, senza che la mente possa fermarsi a riflettere sull'eventuale possibilità. È istantaneo quasi come un colpo di fulmine. È quel fulmine che sugella i legami»
Quel legame che il potere del Pelìde aveva suggellato tempo prima, adesso non c'era più.
Come poteva il suo cuore, privato della sua metà, battere ancora quando parte della sua vita si era spenta con la giovane fanciulla? Quella parte che nella notte più bella della sua vita aveva donato a Briseide, usando i legami che meglio conoscesse! I fulmini! Solo la morte avrebbe potuto spezzare il loro legame e così fu...
«Finché morte non ci separi!» – pensò Achille ad alta voce con voce profondamente cupa.
«Ma la morte non è la fine, amor mio!» – la voce di una ragazza sembrava provenire da dietro al Pelìde.
Achille subito si girò e la vide. Come poteva essere lei? Era morta quello stesso giorno! Eppure era lì, difronte all'eroe, bagnata come lui, dalla pioggia interminabile.
"Com'è possibile?" si chiedeva, paralizzato solo per un istante dallo stupore. Poi corse ad abbracciarla con tutte le sue forze.
«Non fare più una cosa del genere!» – disse sottovoce mentre l'abbracciava.
«Tranquillo adesso sono qui!»
I due si baciarono e abbracciarono a lungo sotto la pioggia incessante, scambiandosi dolci parole d'amore, quando d'un tratto, la fanciulla divenne evanescente. L'abbraccio del Pelìde le passò attraverso come se fosse di solo spirito.
«Che succede? Che artificio è mai questo?» – chiese confuso Achille.
«Salvami!» – lo implorò la fanciulla mentre una forza l'allontanava, per poi scomparire nel nulla.
Improvvisamente percepì un Cosmo oscuro e imponente che gli sembrava molto familiare.
«Non è un artificio!» – una voce a distanza rimbombava in tutta l'altura – «La tua amata adesso è solo un'anima in mio possesso. Posso disporne come più mi aggrada e volendo non vedo perché una così bella fanciulla, debba finire i suoi giorni su questa terra!»
«Tu! Mi ricordo di te, sei apparso quando ho sconfitto Cicno. Rivelati!» – urlò Achille.
Non ebbe alcuni risposta ed dopo qualche secondo essendo ignorato chiese:
«Chi sei? Che cosa vuoi?»
«Non importa chi sono. Ma poni attenzione alle mie parole, se tieni alla vita della tua amata che ancora non è persa!»
«Che vuol dire "non è persa"? Chi sei?»
Achille urlò ancora contro quella voce, fin quando un bagliore non gli appannò la vista. Il Cosmo che aveva percepito più di una volta era scomparso. Riacquisita la vista si ritrovò a terra come se fosse stato svenuto, eppure, era in piedi fino a qualche secondo prima e non si ricordava di essere caduto. Era già mattina e la pioggia sembrava aver smesso da un po' visto che sia la terra sia il giovane eroe erano asciutti.
"Che fosse un sogno? No, non può essere! Un'illusione? Ma chi? Chi osa farmi illudere l'amata che appena ieri ho perduto?"
«Chi di cotanta crudeltà s'appaga?» – pensò ad alta voce.
Si girò per guardare il campo Acheo e vide i soldati prepararsi alla grande battaglia che di lì a poco sarebbe scoppiata. Aveva deciso di non scendere più in battaglia, e ora sapeva cosa fare. Doveva cercare quel Cosmo che più volte aveva percepito. Scese quindi alle sue tende richiamando Eudoro e Fenice.
«Si, mio Re!» – dissero entrambi i generali inginocchiandosi al cospetto del Pelìde.
«I Mirmidoni non scenderanno in battaglia! Né quest'oggi né nei giorni a venire!»
«Ma mio Re!» – esclamò Eudoro venendo interrotto dal braccio teso del parigrado Fenice
«Come desiderate!» – parlò poi il generale che aveva addestrato il piè veloce.
I due generali uscirono dalla tenda di Achille e annunciarono alle truppe che non avrebbero combattuto.
Ulisse assistendo al raduno dei Mirmidoni intorno ai due generali, si era avvicinato abbastanza da sentire e capendo i sentimenti dell'amico, decise di raggiungerlo nelle sue tende, per cercare di convincerlo.
«Perciò non combatterete!» – esclamò il Re di Itaca appena entrato nella tenda, mentre Achille disteso rimuginava su quanto accaduto.
«No! Non combatterò più questa guerra!»
«Amico mio, comprendo il tuo dolore, ma non punire l'intera Grecia per un solo Acheo, seppur colui che l'intera Grecia comanda. Lascia uscire il tuo dolore altrimenti distruggerà te e coloro che più ti sono vicini!»
«Non né voglio parlare! Ora lasciami da solo, hai una battaglia da combattere, dovresti concentrarti su di essa, altrimenti potresti perirne!»
«Ah!» – ghignò Ulisse – «Come se la morte non mi circondasse in ogni istante! Le anime dei morti mi seguono, in forma di fuoco ovunque vada. Spero solo che la tua anima non mi seguirà mai!» – disse infine congedandosi dall'amico.
Achille, dopo che Ulisse uscì dalla stanza, guardò il braccialetto di fiori che anni prima la Dea gli aveva regalato in segno di amicizia.
"Se dovessi vedermi ora, saresti infuriata con me!" – pensò il Pelìde, sorridendo. Si alzò e uscì anch'egli dalle tende.
Salì sul suo carro, trainato dai suoi fedeli destrieri, con l'intento di cercare quell'oscuro Cosmo e capire una volta per tutte chi erano quei feroci guerrieri che avevano attaccato Lirnesso ed il Tempio di Apollo.
Stava per partire ma Patroclo gli sbarrò la strada.
«Impedisci al tuo esercito di scendere in battaglia e te ne vai subito dopo?»
«Fatti da parte Patroclo! Ho intenzione di vederci chiaro in questa faccenda! Quel qualcuno che mi apparve dopo lo scontro con Cicno, sta giocando con noi, come il gatto gioca con il topo! Non escludo che possa essere lui la causa della peste!»
«Se è così, vengo con te!» – disse salendo sul carro dell'amico.
«Non posso proprio farti cambiare idea?»
«No!»
Achille quindi frustando i suoi destrieri, gli ordinò di riprendere la marcia.
«Da dove iniziamo?» – chiese Patroclo
«Faremo il percorso inverso che abbiamo fatto quel giorno!»
In dieci minuti circa raggiunsero i dintorni di Lirnesso e Pedaso e già in lontananza s'intravedeva il Tempio di Apollo. Appena arrivati, scesero dal carro e videro solo desolazione. Ormai dopo l'assedio prima di quelle creature, poi dei Greci, il luogo sacro al Dio era abbandonato al suo destino.
«Che cerchiamo?» – domandò Patroclo mentre il Pelìde già sui gradini davanti all'entrata del Tempio, stava per entrare.
«Qualunque indizio che ci possa far capire contro chi in realtà stiamo combattendo!»
«Perché lo stiamo facendo adesso?»
«Che vuoi dire?» – chiese Achille
«Era da tempo che non ripensavi a quella persona, un po' per l'intensificarsi della guerra, un po' perché preso da Briseide.... Ma oggi il giorno dopo la sua morte, la seconda cosa che fai, dopo l'ordinare ai Mirmidoni di non scendere in battaglia, è indagare sui quegli eventi che fino a ieri non ti preoccupavano più di tanto...e adesso pensi addirittura che dietro la peste ci sia lui... anche se per volere forse di Apollo il Radioso... che dovrebbe significare? Vuoi dirmi che succede?»
Achille si fermò giunto ormai all'entrata del Tempio, mentre Patroclo dietro di lui era ancora sugli ultimi gradini.
«Allora? Vuoi dirmelo oppure no?»
«Non fin quando non né sono sicuro!»
«Odio quando fai così!» – esclamò Patroclo entrando nel Tempio superando l'amico che stette ancora fermo.
I due quindi perlustrarono tutte le sale del Tempio, non trovando nessuna traccia se non i cadaveri di alcuni sacerdoti in putrefazione.
«Sono i Sacerdoti di Apollo trucidati da quelle creature! Nessuno ha dato loro un degno luogo di riposo! Che gli Dei possano perdonare questo sacrilegio!» – esclamò Patroclo guardando quei poveri resti putrefatti.
«Non distrarti! Dobbiamo trovare qualcosa che ci permette di capire chi è quell'uomo!»
Nonostante le intenzioni del Pelìde, non trovarono nessun indizio utile, così spazientito Achille uscì dal Tempio.
«Andiamo! Non c'è niente qui!»
«Aspettami fuori un attimo, c'è una cosa che devo fare!»
Achille era già sul carro pronto a partire, mentre Patroclo commosso nel vedere i corpi innocenti dei Sacerdoti di Apollo lasciati così a marcire, decise di dedicar loro una degna sepoltura. Ricoprì il pavimento del Tempio delle sue più fresche e profumate rose, avvolgendo così i loro resti.
«Riposate, avvolti nel manto
Delle rose di fatale incanto!»
Raggiunse quindi l'amico fuori dal Tempio.
«Hai fatto?» – chiese Achille frettoloso di ripartire.
Patroclo annuì e così si rimisero in marcia, in direzione di Lirnesso, dove il Pelìde aveva incontrato il primo di quegli uomini mostruosi.
Giunti a Lirnesso, entrarono nella cittadina che piano piano si rimetteva in piedi, controllata da alcune truppe Achee. I soldati greci che lì erano stanziati si stupirono nel vedere i due famosi guerrieri in quel luogo. La più grande battaglia, che quella guerra avesse visto fino a quel momento, si stava svolgendo proprio in quegli istanti e loro non c'erano. Achille e Patroclo ignorando il chiacchiericcio dei soldati, si diressero, dritti per la loro strada, alla tenuta di Mines (Minete), dove Achille aveva salvato Briseide.
Achille era proprio nel punto in cui aveva salvato Briseide dalle grinfie di quell'orrido uomo. Vide che frammenti dell'armatura di quel nemico erano ancora a terra. Si chinò quindi per prenderne qualcuno ed esaminarlo.
«Hai pensato che forse quegli orridi bruti non siano connessi con quell'oscura presenza che è apparsa dopo lo scontro con Cicno?» – gli chiese Patroclo
«Sì certo che l'ho considerato, ma mi sembra davvero poco probabile!» – rispose Achille mentre guardava con attenzione il frammento che aveva raccolto.
«Di cosa pensi sia fatto?» – chiese quindi Patroclo riferendosi al frammento raccolto dall'amico
«Non saprei, ma sicuramente ha una base simile alle Armature di Athena... guarda risuona al Cosmo!» – rispose il piè veloce, porgendogli il frammento.
«Polvere di stelle! Ma c'è dell'altro che non saprei dire cosa! È qualcosa di cruento, insaziabile e selvaggio!» – esclamò Patroclo esaminando anch'egli quel frammento
«Anch'io ho percepito la medesima cosa!»
I due si fissarono più confusi di prima. Qualche Dio aveva forgiato Armature simili a quelle di Athena e alle Scaglie di Poseidone. Un altro nemico? E in quel caso perché far partecipare quei guerrieri alla guerra senza apparentemente schierarsi da nessuna delle parti?
Ripresero quindi la marcia verso il monte Ida, dovendo aggirare il campo di battaglia che in quel momento vedeva il primo scontro diretto tra i Troiani e gli Achei.
In quel momento i due eserciti si stavano dispiegando fuori le mura Troiane. I due principi, Ettore e Paride, guardavano il ben più imponente esercito Acheo minacciare la patria. Gli Achei erano rimasti distanti qualche centinaio di metri, mentre due carri dalla testa dell'esercito Greco si portavano avanti. Agamennone stringendo la spada posta orizzontalmente, non dal manico, bensì dall'inizio della lama, segnalava a tutto l'esercito di mantenere la posizione, mentre lui, insieme al fratello e ad altri regnanti Achei, si avvicinavano allo schieramento Troiano. I due principi si avvicinarono a loro volta scendendo dai loro maestosi destrieri. Gli Atridi scesero dal loro carro così come gli altri Re che li seguivano.
«Siete venuti ad accogliere i vostri nuovi Comandanti, con una parata?» – chiese sarcastico Agamennone deridendo l'esiguità del contingente Troiano in confronto al vasto esercito Acheo.
«Spiritoso!» – rispose Ettore con un'espressione tutt'altro che divertita, quasi incenerendo con i suoi occhi marroni, l'Atride che davanti gli si ergeva.
«Calma, Principe!» – intervenne Nestore alle spalle di Menelao, che a sua volta era alla destra e poco più indietro del fratello.
«Principe!» – commentò sprezzante Menelao – «Quale Principe degno di questo nome, accetterebbe l'ospitalità di un uomo, mangiando il suo cibo, bevendo il suo vino, fingendosi amico per poi rubargli la moglie non appena cala la notte!»
«Beh ho accettato anche di condividere per un po' anche tua moglie! E poi c'era il sole quando tua moglie ti ha lasciato! Adesso che ci penso, era giorno anche quando sul tuo talamo, mentre eri con una delle tue donzellette, ho fatto l'amore con lei, la prima volta!» – rispose Paride
Impazzendo dalla rabbia Menelao cercò di infilzare la propria lancia nel petto del rivale. Ettore, velocissimo, parò il colpo. La punta della lancia scontrandosi con la mano del principe si distrusse in mille frammenti. Gli Atridi guardarono con stupore Ettore, che sarebbe dovuto essere trafitto dalla lancia, che invece si era frantumata. Poi ancor più velocemente colpì Menelao in pieno petto con il palmo della mano, scaraventandolo a qualche metro di distanza. Agamennone così come chi lo seguiva, sguainò la spada. Ettore rimase fermo, immobile.
«Dimmi, ora Nestore! Perché dovrei mantenere la calma quando minacciate la mia famiglia, la mia città? Cinquantamila greci difronte a me aspettano soltanto un vostro cenno per attaccare la mia gente! Dimmi come dovrei rimanere calmo?»
«Puoi ancora salvare Troia!» – gli rispose Nestore
«Si in effetti, potrei ancora decidere di ritirare l'esercito» – disse Agamennone, ancora con la spada in mano, mentre il fratello si rialzava – «Ma per farlo ho solo due desideri! Primo, Elena ritorna a Sparta con mio fratello e secondo Troia dovrà sottomettersi al mio comando! Manterrete la vostra reggenza, tuttavia combatterete per me, quando io lo ordino! Quando io ho desiderio di una qualunque minuzia e mi rivolgo a voi, dovrete esaudirla!»
«Solo questo? Nient'altro?» – rispose Ettore – «Avanzi tali proposte nella convinzione che io tremi difronte al tuo esercito! Ebbene lo guardo, ma non tremo! Bensì mi viene una gran voglia di sedermi sopra il tuo cadavere! Perciò ti dico e che ti rimanga scolpito nella mente, se ce la fai a ricordarlo, perché non lo ripeterò! Andatevene ora e non ti sgozzerò come si fa con maiali davanti al tuo "poderoso" esercito! Nessun Troiano s'inchinerà mai a un sovrano straniero!»
«Dovrei io, ora temere le tue minacce? Non mi fai paura principe! E se così rispondi alla mia generosa proposta, di Troia e dei suoi abitanti non rimarrà neanche la cenere!»
I due erano molto vicini, quasi testa a testa, sul punto di iniziare le ostilità durante quello che doveva essere un trattato. Poi Agamennone sorrise e si voltò per raggiungere il suo carro.
«C'è una soluzione a questo conflitto!» – intervenne Paride – «Questa è una disputa fra due uomini, non una guerra! Io amo Elena, e dovrai passare sul mio cadavere per riportarla a Sparta. Pertanto battiamoci noi due. Chi vince la reclamerà, e che ciò ponga fine alle ostilità» – così il principe Troiano sfidò Menelao.
«No!» – decretò Agamennone, voltandosi indietro per tornare al carro.
Il fratello lo fermò poco prima di salire sul carro, cercando di convincerlo ad accettare, parlando sottovoce.
«Ti prego fratello! Accetta l'incontro!»
«Non sono venuto qui per le grazie di tua moglie, ma per conquistare Troia!»
«Ti prego fratello! Mi insulta solo respirando! Io sono venuto per difendere il mio onore! Lascia che lo uccida e poi ordina l'attacco!»
«In effetti potrebbe essere un'idea!»
Agamennone si girò quindi verso i principi Troiani, che stavano rimontando a cavallo.
«Accetto la tua proposta, principe!»
Il Re di Sparta si avvicinò quindi al principe Troiano.
«Saluta tuo fratello, principe, perché fra cinque minuti i corvi assaggeranno la tua tenera carne, e sorriderò vedendo i tuoi resti mutilati!»
Paride rimase pietrificato dalle parole del rivale, che stava rientrando con i gli alleati verso il suo schieramento per prepararsi allo scontro. Ettore scosse il fratello per farlo riprendere.
«Non ti fare intimorire dalle sue parole. Ora rientriamo nello schieramento, prendi il tuo elmo e lo scudo e lo affronti. Ricorda che la spada che porti con te è la spada dei nostri avi, combatti valorosamente come chi in passato l'ha impugnata. Aspettalo, para quanti più colpi puoi. Devi farlo stancare, poi quando è rallentato dalla stanchezza colpiscilo con tutta la forza che hai alle gambe e vincerai lo scontro!»
«Più facile a dirsi che a farsi!»
«Non preoccupartene! Pensa solo al motivo per cui stai facendo tutto questo!»
Menelao e Paride si prepararono, quindi, allo scontro.
Migliaia di uomini li stavano guardando, oltre a Elena e a tutta la famiglia reale, che dall'alto delle mura troiane pregava Apollo e Afrodite affinché il principe vincesse.
Il combattimento era impari, per quanto Paride fosse un valente arciere, non aveva mai impugnato una spada e Menelao incalzante come un gigante era nettamente superiore. Nonostante tutto sembrava che il principe belloccio riuscisse a difendersi, almeno fino quando Menelao non si stancò di giocare. Il Re di Sparta stufo della pochezza di Paride, come avversario, distrusse il suo scudo e gli inflisse una brutta ferita all'addome. Il principe cadde a terra sulle ginocchia, poi si accasciò al suolo, mentre Menelao era pronto e fremente per dargli il colpo di grazia.
La sua spada si fermò però a poca distanza dal collo regale di Paride. Una barriera proteggeva il principe e appena dietro di lui era apparsa una giovane donna, di una bellezza mozzafiato, con i capelli e gli occhi lucenti, vestita di un'armatura radiosa, che le copriva appena il bacino, il seno e gli arti. Sulla schiena possedeva incrociate due oggetti lanciformi irregolari, che emanavano una luce blu intensa.
«Spostati donzella! Non vorrei che ti facessi male!» – gli disse
«Come osi rivolgerti a me in questo modo!»
«Scappa!» – gli urlò Ulisse – «Menelao scappa!»
Il re di Sparta ignorò le parole di Ulisse che era uno dei pochi ad aver compreso il pericolo davanti al quale Menelao si trovasse. Provò a colpire nuovamente Paride, tuttavia stavolta la barriera spezzò la spada.
«Osi ancora colpire un mio protetto?»
«Chi sei?» – chiese Menelao confuso
«Io sono la Dea dell'Amore! Aphrodite! E questo giovane è un mio protetto!»
La dea alzò il braccio puntando la favolosa mano verso l'Atride.
«Io di solito non combatto, ma il tuo comportamento va punito!»
Un' onda d'urto spaventosa lo colpì, scaraventandolo a centinaia di metri, in mezzo alle truppe Achee. Agamennone urlò il comando di attaccare alle sue truppe che prontamente risposero. Così la battaglia stava per scoppiare.
La Dea nel frattempo era scomparsa portando con sé il principe ferito.
Achille e Patroclo durante la strada percepirono il Cosmo della Dea, e perciò si avvicinarono al luogo dello scontro e videro che alle spalle portava le folgori.
«È stata lei quella notte!» – esclamò il Pelìde – «È stata lei ad aggredirci con quelle folgori! Non può essere una coincidenza!»
«Perché avrebbe dovuto?»
«Hai visto come ha difeso il principe Troiano! Evidentemente parteggia per i Troiani e quella notte sarà stata la sua volontà a difendere quel giovane da chiunque avesse compiuto quella strage, così come l'ha difeso attaccandoci con le folgori!» – spiegò Achille – «in ogni caso, voglio vederci chiaro in questa faccenda!»
I due quindi continuarono il viaggio verso il monte Ida. Lì cercarono per ore senza trovare alcuna traccia.
«Dai Achille, non troveremo niente! Sono passati sei mesi ormai! Già siamo stati fortunati a Lirnesso nel rinvenire quel frammento!» – si lamentò Patroclo.
«Tu continua a cercare non si sa mai!»
«Fino a quando?»
Achille non rispose mentre Patroclo lo fissava cercare insistentemente. Un rumore, proveniente dal sentiero attirò la loro attenzione. Erano due uomini incappucciati che seguivano lo stesso percorso. Achille e Patroclo si nascosero in mezzo ai campi vedendoli proseguire oltre il gruppetto di case dei pastori. Sembravano possedere un Cosmo eccezionale, seppur diverso da quello che cercava il Pelìde.
«Seguiamoli!» – decise Achille
«Ancora?» – rispose Patroclo parecchio seccato – «Sono ore che cerchiamo e ora vuoi seguire due sconosciuti senza avere alcuna idea di chi siano! Tra l'altro hanno un Cosmo portentoso, forse anche più nostro. E ti ricordo che mi avevi promesso di insegnarmi il Boost Brain che hai usato contro Tenete, per evitare gli effetti della sua melodia»
«Già sai usare il Bolt e il Plasma, ora anche il Boost Brain, io non ti chiedo di imparare le tue tecniche»
«Perché non ci sei portato, ma se tu, come me, fossi portato a replicare le tecniche degli altri, ti insegnerei volentieri le mie, perché potrebbero rivelarsi utili. E poi sai che se potessi vedere questa tecnica non avrei bisogno di averla insegnata, ma svolgendosi dentro il corpo non si vede né si percepisce, per cui non ho modo di poterla replicare. E poi contro Apollo ho usato il Bolt per difendere il campo dai suoi colpi. Sai che in quel caso il puro Cosmo non avrebbe funzionato! Figuriamoci le Rose! Quindi vedi che si è rivelato utile?»
«È vero! Però se vuoi imparare il Boost Brain dovrai seguirmi senza lamentarti!»
Finita la discussione a bassa voce, iniziarono a seguire il sentiero intrapreso da quegli uomini, seguendo la traccia del loro Cosmo.
Quel sentiero portò all'intero di un bosco in mezzo al quale sorgeva un edificio che sembrava proprio una casa, però aveva i caratteri di un Tempio. Sul frontone della porta c'erano delle iscrizioni cancellate.
«Cosa pensi che sia?» – chiese Achille
«Sembra un misto tra un Tempio e una casa!»
«Già!»
I due si avvicinarono all'edificio mettendosi ai due lati, facendo attenzione a nascondere la loro presenza. Cercarono quindi di capire cosa stesse avvenendo dentro, e chi fossero quei due. All'improvviso un altro Cosmo comparve, sembrando provenire da dentro l'edificio.
«È lui!» – esclamò sottovoce Achille – «è dentro!»
Achille d'impulso sfondò la porta vedendo i due incappucciati difronte una figura che non avrebbe mai immaginato.
«Fenice?»
Achille e Patroclo all'unisono furono sconvolti nel capire che il Cosmo oscuro che il Pelìde aveva percepito dopo lo scontro con Cicno, fosse di Fenice. Lo stesso Cosmo responsabile di quell'illusione della notte precedente.
«Fenice! Che ci fai qui? E perché il tuo Cosmo è così diverso? Fin da bambino percepisco il tuo Cosmo gentile, mentre ora sento solo oscurità!» – chiese Achille incredulo.
«Ti fai chiamare così?» – chiese uno dei due incappucciati al precettore del Pelìde, e suo fedelissimo generale.
«Questa riunione finisce qui, andate!» – esclamò Fenice
«Come osi rivolgerti a noi in questo modo? Sporco umano!» – rispose l'altro dei due incappucciati.
I due scomparirono nel nulla.
«Achille, ragazzo mio, avrei voluto parlartene tante di quelle volte, ma non ho mai avuto il coraggio!»
«Parlarmi di cosa?»
«Di chi sono veramente!»
«Chi sei?» – chiese Patroclo anticipando l'amico.
«Il mio vero nome è Eaco, figlio di Zeus, e padre di Peleo!» – disse mentre il suo aspetto mutava radicalmente forma.
I suoi capelli rossi come il fuoco, divennero blu come la notte. Il suo volto ringiovanì. Sembrava avere la stessa età dei due biondi increduli, che lo fissavano. Una violacea armatura lo rivestiva, con delle ali dietro, sembrava raffigurare un'aquila bellissima.
«Eaco? Mio nonno, Eaco? È morto prima che io nascessi, non puoi essere tu!»
«Beh nipote mio, non posso spiegarti molto, ma ciò che posso dirti è che ciò che hai visto stanotte corrisponde a realtà! Puoi davvero riabbracciare Briseide se lo vuoi!»
«Lightning Bolt!»
Eaco venne scaraventato a terra dal fulmine del piè veloce.
«Sei diventato più forte di quanto potessi immaginare!» – esclamò rialzandosi. Si asciugò il sangue dal mento e si avvicinò al nipote.
«Adesso forse sei il guerriero più potente sulla faccia della terra, ma senza l'Armatura del Leone non puoi battermi. Come vedi, il tuo colpo, sebbene sia centinaia di volte più potente di quando ti allenavo, mi ha lievemente ferito!»
«Mi hai ingannato tutta la vita! E come se non bastasse, mi hai fatto rivedere Briseide per strapparmela di nuovo, e continui ora ad affermare che io possa riabbracciarla! Come puoi farmi una cosa del genere?»
«È la verità!»
«Non lo stare a sentire Achille!» – lo interruppe Patroclo
Eaco sorrise e puntò il suo indice verso l'amico del nipote, che cadde a terra come svenuto.
«Vai a nanna, ragazzino. Sono questioni di famiglia!»
Achille soccorse l'amico, cercando di farlo rinvenire.
«Che gli hai fatto?» – gli chiese mentre teneva l'amico tra le braccia.
«Non preoccupartene, è solo addormentato, avrà un paio d'incubi, ma è tosto e non avrà problemi a risvegliarsi. Ciò che ti dovrebbe interessare è quello che succederà dopo!»
«Che vuoi dire?»
«Nipote mio, perché sei partito per Troia? Sei partito per smettere di combattere proprio quando la guerra sta per raggiungere la sua acme? Sei un guerriero! Sguazzi nella morte degli altri fin da quando sei nato. Sei destinato ad essere il più forte, ad essere ricordato nei secoli a venire, è per questo che sei partito. La morte della tua amata non potrà sottrarti a lungo dalla battaglia. Lo sai anche tu! E se morirà Patroclo o chiunque altro a te caro, cosa farai? Ti andrai nuovamente a nascondere? Farai a pezzi chiunque capiti sulla tua strada? Io posso evitarti tutte queste sofferenze. Posso fare in modo che tu e chiunque altro tu voglia, non dobbiate preoccuparvi della morte. Non dovrai preoccuparti di non conoscere tuo figlio. Potrai ottenere l'immortalità non solo nella memoria degli uomini!»
«Ah è così? Hades! È lui che servi!» – commentò Achille mentre si rialzava, lasciando il corpo di Patroclo adagiato al suolo
«È lui che ti ha permesso di vivere oltre la tua morte! Ma quelle immonde bestie che hanno attaccato Lirnesso non erano seguaci di Hades, altrimenti le loro armature risuonerebbero di una putrida oscurità come quella che indossi! Invece quelle emanavano pura rabbia e ferocia! Si addice di più ad Ares, e il fatto che Aphrodite, la Dea meno combattiva in assoluto, sia intervenuta in persona in questa guerra, conferma il fatto che il suo letale amante abbia qualche interesse per le sorti di Ilio! Ma Hades che ci guadagna? Anime? Solo per questo?»
«Ahahah!» – Eaco scoppiò in una grassa risata – «Lo dicevo io che sei il guerriero più intelligente che abbia mai visto! Intuisci bene, non ci guadagniamo solo anime! E se servirai il sommo Hades, egli sarà felice di renderti l'anima della tua dolce amata!»
Briseide comparve accanto ad Eaco, splendida come nel suo giorno migliore, avvolta in una maestosa luce bianca.
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Saint Seiya - Origins
FanficAi tempi dell'antica Grecia, era di grandi eroi e di epiche battaglie, l'equilibrio tra le divinità iniziò ad incrinarsi quando la custodia della Terra e della sorte degli esseri umani venne affidata ad Athena. Da sempre quel dominio allettava molt...