Amavo e odiavo stare lì. La camera era sempre buia e c'era puzza di piscio e fumo, la porta che portava al bagno era rotta, e la lampadina funzionava a intermittenza. Poi c'era Namjoon, con le sue orribili Converse rosa che sedeva su uno dei lettini piegato su se stesso, come i bambini. Le spalle curve e il leggero broncio stonavano completamente con i capelli tinti e l'aria da ragazzo serio e solitario. Namjoon non era affatto solitario, cercava perennemente il contatto fisico in modo quasi fastidioso. Ed ora era incazzato perché continuavo a lamentarmi e respingevo le sue richieste di affetto. Però amavo tutto questo.
Ciò che odiavo era la luce del sole che penetrava dalle persiane, il caldo afoso e le urla della famiglia che alloggiava proprio nella stanza accanto alla nostra. La moquette era sudicia e unta e la carta da parati completamente strappata. Poi Namjoon mi chiese di scattargli una foto e si mise in posa, facendomi sospirare. Mi ero ormai arreso a lui. Alle sue dita lunghe e sudate che scorrevano freneticamente tra le pagine di quaderni e libri, ai suoi occhiali abbandonati ovunque, ai suoi libri universitari che occupavano il comodino anche se eravamo in vacanza. Namjoon era il disordine in persona, non sapeva nemmeno sbucciare una mela e mi chiedeva di dividere gli spicchi del suo mandarino. Namjoon però odiava perdere il suo pacchetto di sigarette, per questo lo aveva in mano anche quando andava al cesso. Ogni tanto, quando ci stava di più, se ne accendeva una perché lo aiuta a liberarsi.
Conobbi le stranezze di Namjoon al secondo anno dell'università, quando era ancora una matricola. Conobbi Namjoon nei mesi a seguire, con calma e senza fretta, tanto eravamo compagni di stanza e di tempo ne avevamo. Poi mi resi conto di provare qualcosa per Namjoon, dopo un anno, quando tornò da una festa ubriaco fradicio e mi raccontò della sua avventura poco entusiasmante con una ragazzina del liceo. Si lamentò di quanto piccola e morbida fosse sotto il suo tocco, dei capelli troppo lunghi e la voce troppo dolce. Risi perché, cazzo Namjoon, era solo una ragazzina. Allora devo essere frocio, se ne uscì così prima di addormentarsi sul mio letto.
Erano passati altri due anni da allora e si, Namjoon era davvero frocio, e pure io lo ero. Solo per il mio compagno di stanza però. E lui ovviamente non lo sapeva, o non si sarebbe spogliato completamente davanti a me proponendomi una doccia, solo per fare in fretta eh. Acconsentii anche a questo. Feci la doccia con lui, ma non lo guardai nemmeno per sbaglio. Namjoon, però, mi fissava insistentemente. Guarda che non ho intenzione di scopare con te, gli dissi. Macché, pensavo solo a quanto sono fortunato. Poi si mise a lavarmi i capelli, poi il corpo, e mi portò fuori per poi asciugarmi come se fossi un bambino. E lo lasciai fare, era così alto e bello. Mi ero imbambolato. Grazie. Grazie per cosa? Solo grazie.
Vestiamoci e usciamo, voglio vedere questa città.
Amavo e odiavo tutto questo. Odiavo il posto, gli odori, le sensazioni. Amavo Namjoon, che riusciva a rendere tutto meno orribile.
