CAPITOLO QUARANTATRE - Nightmare.

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Buona lettura! 🌸

La canzone del capitolo è Airplanes di B.o.b ed Hayley Williams.

Raggiunsi la scogliera e mi sedetti su uno dei grandi massi.
Vidi in lontananza il ragazzo arrivare e camminare nel suo modo da sbruffone. Un giorno gli chiesi quali stupidi problemi lo affliggessero per molleggiare in quel ridicolo modo mentre camminava, ma lui mi disse che quella camminata era importante, poiché attirava le ragazze, disse che era la camminata dei cattivi ragazzi. Scossi la testa divertita e mi domandai per quale motivo stavo con un ragazzo del genere.

Quel giorno, ad ogni modo, mi stupii nel vedere il suo nome sullo schermo del cellulare ed ammetto che in realtà fui contenta della sua chiamata. Paolo non era a conoscenza del fatto mi trovavo con il ragazzo e che gli avevo raccontato la verità pochi giorni prima, decisi che era un momento che dovevo condividere solo con lui. Il fatto era che il senso di colpa era arrivato ad annientarmi e lo psicologo mi disse che magari, parlare con il ragazzo mi avrebbe aiutata e mi avrebbe messo il cuore in pace. Il problema fu la reazione del ragazzo quando lo seppe, non mi fece nemmeno spiegare come realmente andarono le cose e dopo avermi lanciato uno sguardo ricco di ribrezzo, mi lasciò in mezzo alla strada come una stupida, mentre lacrime calde bagnavano il mio viso. Proprio per questo rimasi stupita nel vedere la sua chiamata e non mi misi a pensare a cosa fosse giusto o sbagliato, mi cambiai ed uscii di casa, raggiungendo il luogo in cui il ragazzo mi disse di andare.
Quel giorno era bellissimo, indossava una canottiera nera che lasciava liberi i muscoli delle braccia, e portava una bandana del medesimo colore, con dei disegni colorati di bianco. I jeans grigi e stretti coprivano perfettamente le lunghe gambe del ragazzo e le vans resero il suo look perfetto.
Mi venne incontro e si sedette accanto a me. Aveva il viso serio e la mascella tirata, era visibilmente arrabbiato, ma sperai che, almeno questa volta, mi avrebbe lasciato spiegare.
Stavo male anche io, ed erano passati quattro anni, questa cosa mi aveva distrutta e lui doveva capirmi, doveva immedesimarsi in me, non aggredirmi come giorni prima aveva fatto.

"Perché lo hai fatto? Perché non me lo hai detto?" mi chiese in tono gelido e senza nemmeno guardarmi in faccia.
Incrociò le gambe e distese le braccia dietro di se, ammirando il lago dinanzi ai nostri occhi.

"Non sapevo come dirtelo, non sapevo come avresti reagito, in fondo ero sola ad affrontare tutto." Risposi in tutta sincerità.
Non mi ero mai sentita così sola come in quel periodo. Luca non mi fece affrontare la questione senza il suo appoggio, ma io non volevo che passasse le sue giornate a preoccuparsi di come stavo, così per la maggior parte del tempo in cui eravamo insieme facevo finta di nulla, facevo finta che il dolore non esistesse e gli facevo credere stavo bene, non importava se poi una volta da sola mi accucciavo in un angolo della mia camera e piangevo fino ad esaurire le lacrime.

"Perché me lo dici solo ora? Non capisco... Sapevo di averti fatto soffrire, ma non credevo di meritare tutto questo.. Tutto questo schifo." Fece un gesto con la mano alzandola verso il cielo, l'espressione disgustata e prese a lanciare sassolini in acqua e ad osservarli andare a fondo, come se quel gesto l'avesse potuto distrarre dalla realtà.
Ora che potevo vederlo da vicino, mi presi un momento per osservarlo e notai che aveva delle grandi occhiaie a contornargli gli occhi, scure e profonde, e questo mi fece intendere che il ragazzo stava male almeno quanto me, se non di più.

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