Kathleen Chase

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Kathleen era una ragazza semplice. Non poteva aiutare a migliorare il mondo come avrebbe voluto. Si era ridotta a fare un lavoro part-time nell'ufficio di un avvocato di Brooklyn.
Ma c'era un pensiero che la assillava. Un pensiero che si presentava ogni volta che si rendeva conto di non valere nulla per il mondo.
Sarebbe stata punita con la morte. Lei non faceva mai niente per il prossimo, la sua vita non aveva un senso e prima o poi lei sarebbe morta perché era inutile. Lei era una preda indifesa. Non aveva amici che la rassicuravano.
Non aveva parenti che la proteggevano. Era sola e disarmata di fronte alla morte.
Stava impazzendo. Sognava spesso come sarebbe potuta morire, sognava di spegnersi sola, senza nessuno che la piangesse, ed era giusto perché era un'anima inutile. Uno sbaglio. Un enorme errore. E gli errori vanno cancellati.
Quella sera Kathleen era diversa. Non era la solita paurosa e paranoica orfana di Brooklyn. Tutto grazie all'inaspettato arrivo di un ragazzo all'ufficio dell'avvocato.
Mark.

Era arrivato prima che lo studio aprisse quella mattina. Aveva aspettato per mezz'ora nella fresca aria mattutina degli autunni di New York. Stava per tornare a casa per poi ripassare nel pomeriggio quando una ragazza sulla ventina si avvicinò al portone dell'ufficio che dava sulla strada.
Era carina
Aveva i capelli color nocciola raccolti in uno chignon alto. Una morbida sciarpa di lana le cingeva il collo e un lungo cappotto grigio la avvolgeva facendola sembrare più alta di quanto fosse.
La segretaria, suppose, aprì la porta con una piccola chiave dorata.
Mark tossí per richiamare l'attenzione e la ragazza si voltò.
Aveva un sorriso spento sulle labbra, quasi forzato. Le lentiggini sembravano sbiadite dalla tristezza che emanavano i suoi occhi castani.
Si presentò, e lo fece entrare.
Kathleen. Un nome grazioso.
Mark aveva bisogno di parlare con il suo avvocato di una faccenda successa pochi giorni prima.
Stava tornando a casa da un sabato notte passato con i suoi due unici amici. Era a piedi perché non guadagnava abbastanza per sostenere i costi di una macchina.
Mancava mezzo kilometro a casa sua quando sentì un lamento in una strada chiusa adiacente alla strada principale che stava percorrendo. Si girò e si incamminò nella via. In un angolo buio un vecchio barbone stava morendo.
Si capiva dal respiro rauco e pesante. Il vecchio cercava aiuto. Mark voleva aiutarlo ma qualcosa lo teneva fermo, attratto dalla visone di una persona morente. Voleva vedere come si muore. Il vecchio continuò con quei versi per 5 minuti. La vista di Mark si fece fioca e soffusa. Presto altri ragazzi arrivarono e soccorsero il senza tetto. Mark rimase fermo, immobile ad osservare la morte che si impossessava del vecchio.
Alla fine il barbone morì e Mark si ritrovò alle 6 di mattina in questura. Decise di fidarsi della ragazza e raccontarle il fatto accaduto.
Al termine del racconto di Mark, Kathleen tacque.
Cambiò discorso. Parlarono del più e del meno fino all'arrivo dell'avvocato. Risero e si conobbero. Passarono la pausa pranzo insieme e i due piano piano stavano accettando il fatto che si piacevano a vicenda.

Ricordando la giornata appena trascorsa Kathleen sorrise istintivamente. Quel sorriso non durò molto. Subito il suo punto debole, il suo pensiero fisso si manifestò.
Lei non meritava di essere felice. No. Non aveva mai reso nessuno felice e di conseguenza lei non doveva essere felice.
Sciolse lo chignon e si sfilò il cappotto.
Entrò in bagno e aprì l'acqua calda. Chiuse il tappo della vasca e si spogliò.
Rimase ad osservare ipnotizzata l'acqua che scorreva velocemente fuori dal rubinetto. Voleva che fosse così. La sua morte. Veloce e indolore. Sarebbe scivolata dalla vita alla morte velocemente. Il tempo di sussurrare un addio.

Entrò nella vasca. Chiuse gli occhi. Voleva che fosse veloce.
Non sapeva precisamente come e quando sarebbe successo ma sentiva che quella sera sarebbe morta. Era felice. Tranquilla. Sapeva che era la cosa giusta.
No, non si sarebbe suicidata. Gli stupidi si suicidano.
Lei avrebbe aspettato il suo momento. Sarebbe stata punita. Ma lei lo vedeva come un premio. Sarebbe scivolata via dal mondo che non aveva potuto cambiare.
Passò un'ora. L'acqua era diventata fredda oramai.
Osò riaprire gli occhi.
L'acqua era viola. Viola tendente al nero. Strizzò gli occhi.
Era trasparente. Uno scherzo della morte pensò.
Tirò fuori le mani dall'acqua per bagnarsi il viso quando noto che esse erano avvolte da capelli. Capelli color nocciola. I suoi.
Istintivamente si toccò la testa. I capelli erano al loro posto.
Nell'acqua non si intravedeva un singolo capello.
Provò a immergere di nuovo le mani nell'acqua. Le estrasse. Ciocche di capelli le avvolgevano le mani.
Entrò nel panico, ma dentro di se era felice. La sua fine stava arrivando finalmente. Il momento che aspettava da 25 anni.
Ad un certo punto non sentì piú il fondo della vasca sotto di se e iniziò ad annegare nell'acqua che improvvisamente era diventata nera.
Era come trascinata da un peso, qualcosa che la portava giù, in una vasca senza fondo.

una settimana dopo
La polizia aveva trovato il corpo inerme di una ragazza dentro la sua vasca in un appartamento di Brooklyn. Era morta di arresto cardiaco improvviso. Si erano inventati che la ragazza soffriva di cuore e aveva avuto uno dei suoi attacchi mentre era da sola e non era riuscita a chiedere aiuto.
Mark chiuse il giornale con aria afflitta. Kathleen era come lui. Era la sua anima gemella, se lo sentiva.
Ma era morta. E anche lui sarebbe morto. Solo. Come lei.

angolo scrittrice🌻
spero che il capitolo vi sia piaciuto perché mi ci sono impegnata molto ehh niente byee💗

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