per arrivare da te

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ripropongo il mio "giuro che adesso cambio coppia"
è che non resistevo dal pubblicare qui una copia di questo tema - sì, ho fatto un tema sull'iwaoi, perchè no - che ho scritto poco più di una settimana fa. premetto che è abbastanza corto poiché dovevo copiarlo su carta e sono la pigrizia fatta a persona, e anche poco descritto.
spero che sia decente.

5/ottobre/2017
iwaoi,
(la storia è ambientata ai tempi dell'Impero romano)

L'armatura che indossavo era scomoda e leggermente larga rispetto alla mia taglia. Il primo giorno che l'indossai, con una delle due spalline che cadeva di lato al mio braccio, mio padre mi disse che avrei imparato a crescerci dentro.

Non era molto che la portavo, in effetti, e ancora non avevo ben chiaro cosa mi avrebbe fatto crescere dentro quell'armatura. Ricordo però bene che, una mattina primaverile, essa mi stava ancora larga.

Quella stessa mattina mi trovavo in Spagna, da ormai due mesi, ed ero lì perchè ero stato assegnato allo smercio degli schiavi. Se ci ripenso anche oggi, mi sale un brivido lungo la schiena: tutto ciò mi ha sempre fatto abbastanza impressione, essendo stato fin da sempre un ragazzo sensibile e timido.

L'elmo che tenevo sulla testa pesava e schiacciava i miei capelli castani, e contraddiceva il mio animo calmo mettendomi addosso l'aria di una persona priva di emozioni umane, le stesse cose che pensavo guardando i soldati al mio fianco.

«DA QUESTA PARTE!» disse a voce molto alta il capo della mia squadra, mentre faceva entrare nel mio campo visivo una lunga fila di schiavi dalla pelle scura e olivastra. Il mio sguardo passava da uno all'altro, in fretta, sapendo che non avrei mai saputo che fine avrebbero fatto. I volti stanchi e straziati dal dolore dei bambini, e di chi tentava di rimanere forte di chi era un po' più grande. Tra tutti, mi rimase impresso il volto di un ragazzo abbastanza alto. Gli occhi erano scuri, le labbra una linea sottilissima. Anche lui stava guardando me, e mi sentii in imbarazzo quando notai che il suo sguardo non aveva intenzione di spostarsi da me.

Sentii la gola secca, lo stomaco stretto come se si fosse annodato su sé stesso, e il petto più pesante. Non avevo idea di che cosa mi stesse succedendo, in quell'età di storia non c'era mai stato abbastanza spazio per parlare di sentimenti. Esisteva solo il sangue e la guerra e la conquista.

Sta di fatto che per tutta quella mattina non riuscii a staccare gli occhi da quel ragazzo. Pensai che doveva avere la mia stessa età, e nei suoi occhi non riuscivo a capire cosa mi stesse dicendo. Da una parte leggevo il suo richiamo d'aiuto, ma sapevo che c'era dell'altro, che però non riuscivo a capire.

D'un tratto lo afferrarono per una spalla, tirandolo da una parte e cominciando a gridare valori per cui avrebbero potuto venderlo.
«A-ASPETTATE» tentai di dire io, mentre mi facevo avanti, e il mio elmo ricadeva a terra con un tonfo pesante. «V-voglio... Voglio acquistarlo io.»

Inutile dire che la mia proposta non venne presa nemmeno in considerazione. Qualcuno mi rise in faccia, per poi spingermi da una parte. Sentii il cuore martellarmi nel petto, mentre lo sguardo dell'altro ragazzo cercava il mio alle sue spalle. Tentai di dirgli altro, dentro di me desideravo sapere anche solo il suo nome, ma prima che potessi riavvicinarmi a lui, non era più lì. 

L'ho perso, pensai. Non avrei mai saputo chi era, e dove fosse finito.

Nei mesi successivi feci di tutto per cercare di scorpire dove fosse finito. Ascoltando in segreto delle conversazioni di chi aveva una carica più alta della mia all'interno dell'esercito, c'era un grande uomo Greco che aveva preso la maggior parte degli schiavi che erano stati smerciati quel giorno.

Non avevo la certezza che lui fosse tra essi, ma dovevo pur tentare. Rischiandomi tutto, anche la mia stessa vita, partii in segreto abbandonando l'esercito e tutte le speranze che mio padre aveva per me. Riuscivo già a vedere il volto affranto di dolore di mia madre.

Il mar Mediterraneo era diventato come un lago per l'Impero romano, collegava qualsiasi cosa fosse in loro possesso in un certo senso. Ed era diventato anche il nostro mare, mio e di quello schiavo che non sapevo se avrei mai rivisto. Di giorno navigavo con tutte le mie forze e speranze, pensando al suo viso, ai suoi occhi, e guardando il mare che ci divideva.

Giunsi in Grecia soltanto due anni più tardi il nostro incontro. Ci misi del tempo prima di poter finalmente raggiungere la dimora di quell'uomo, coi vestiti stracciati e il volto sporco di fatica. E in quel momento scoprii una verità che mi rallegrò e straziò allo stesso tempo.

Lui era libero, non era più uno schiavo. Ed era andato in Palestina. Le mie labbra si piegarono in un sorriso amaro, consapevole che lui stava finalmente bene, ma che la strada che ci divideva non era ancora terminata.

Quando giunsi a Gerusalemme una donna anziana mi ospitò per qualche settimana, facendomi riavere un aspetto degno di un Romano, come mi disse una mattina. Le sorrisi gentilmente, immaginando quale storia potesse avere la sue spalle, era qualcosa che mi domandavo spesso.

E me lo domandai anche quando, girando per le strade di quella città, mi chiesi dove potesse essere lo schiavo che ormai non lo era più. Desideravo con tutto me stesso sapere la sua storia, e chi fosse.

E così, un pomeriggio di sole molto caldo, nel mio rientrare a casa, quasi non credetti ai miei occhi quando i suoi capitarononuovamente di fronte a me. Era passato del tempo, lui era molto cresciuto, ma non per questo era diverso. I suoi occhi, essi, erano rimasti sempre uguali: bellissimi. Sentii le guance calde, e il petto pesante, e tutti i miei sforzi finalmente ripagati. «Ti ricordi di me?» gli domandai, sperando che capisse la mia lingua.

Lui annuì, avvicinandosi a me. Così feci io. «Tu sei... Quel soldato. Il soldato della Spagna»

Sorrisi. «Io... Sono felice di rivederti.» le mie mani tremarono appena, mentre desideravo stringere le sue «Ho fatto di tutto per far si che io potessi rivederti ancora. Sono arrivato fino in Grecia, e dalla Grecia fino a qui. Il tuo sguardo... è qualcosa che non saprò mai dimenticare.» dissi, e pensai che il mio cuore potesse uscire fuori dal mio petto a forza di battere così forte. «E finalmente posso sapere il tuo nome.»

«Il mio nome è Hajime» rispose lui, con un sorriso e gli occhi leggermente lucidi.
Anche i miei erano lucidi. «Io sono Tooru»

E né lui più di me o io più di lui, desiderammo quell'abbraccio, i nostri corpi che si stringevano così forte, come a recuperare il tempo che avevamo perduto e che non riavremo mai indietro, e il desiderio di non perderci più.

//s p a z i o  a u t r i c e:

l'ultimo pezzettino nella copia cartacea lo avevo leggermente modificato e non ricordo le esatte parole, ma più o meno era così.

hearts of paper  ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora