Prologo

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Osservare in controluce lo splendore dell'acciaio mi provocava sempre un brivido di piacere: adoravo sfiorare quella superficie lucida, liscia, algida. I polpastrelli accarezzavano quel piano freddo, come si accarezza il volto di un vecchio amico, con confidenza e rispetto. Respirai lentamente, mentre un brivido mi corse lungo la spina dorsale. Insegnare non era mai stata la mia massima aspirazione, ma oggi lì, in quel particolare luogo, in quella stanza di quella strana piccola scuola, tutto mi sembrava diverso, quasi magico.

Oggi, forse, ero felice.

Come se fossi stato chiamato a svolgere un compito che mi era sconosciuto, mi avvicinai alla finestra passandomi una mano tra i capelli, la luce dall'esterno era così intensa, l'atmosfera così limpida...

Poi improvvisa una voce inaspettata, inattesa, nota, mi sorprese alle spalle.

Chiamava il mio nome.

Non mi voltai.

Non volevo incontrare i suoi occhi, guardare il suo volto, perdermi tra i mille riflessi dei suoi capelli... non più.

Ero scappato dalla vita, fuggito da un sentimento troppo forte, troppo distruttivo; un sentimento talmente catalizzante, talmente assoluto da annientarmi il cuore e l'anima.
Rimasi a fissare il paesaggio, che filtrato dalla finestra, si distendeva davanti ai miei occhi. Sapevo che se non mi fossi voltato, quella voce, la sua voce, quella che ogni notte popolava i miei sogni, sarebbe scomparsa lasciandomi come sempre solo, disperato, distrutto.

Una lacrima scivolò lenta sulla mia guancia.

Respirai profondamente, cercando di scacciare l'ansia crescente che mi tormentava ad ogni ricordo; quella sofferenza intensa, che anche a distanza di alcuni anni, ancora mi lacerava il cuore. Il mio sguardo si perse, tra il verde brillante e profondo del bosco che circondava il luogo in cui lavoravo, tra le piccole ordinate villette col tetto a falda, tra le strade mai troppo affollate, tra i luoghi di questa piccola città che ora mi erano divenuti cari. Ero capitato lì per caso, per sfuggire al mio dolore, e quella piccola città, circondata da fitta vegetazione e dolci colline; quella città, con i suoi colori, i profumi e i sapori che la permeavano, con mani invisibili, mi aveva attratto a se conquistandomi totalmente.

Ancora una volta il mio nome, pronunciato con dolcezza e struggimento, risuonò alle mie orecchie... Quella voce che non mi abbandonava mai era ora alle mie spalle, più reale del vero, più concreta di un sogno.

Non dovevo voltarmi, me ne sarei pentito...

"Andrea!" mi chiamò, e una nota d'intenso dolore risuonò nell'aria ormai densa e impregnata di lei.

Allora cedetti.

Ero solo, ancora una volta, assolutamente, incontrovertibilmente solo. Era una giornata come tante, di una settimana come tante, eppure una strana magia permeava l'aria: la sentivo sulla pelle, la percepivo con tutti i sensi.

Mi sarei dovuto sentire elettrizzato?

Avrei dovuto godere dell'atmosfera rilassata e felice che precedeva l'inizio della giornata?

Cosa avrei dovuto provare?

Cosa avrei dovuto fare?

Come avrei potuto convivere con i miei fantasmi, senza che nulla riuscisse a distrarmi?

Mi guardai attorno, cercando di trovare una spiegazione logica a quell'insolita tensione, ma non c'era nulla, niente di diverso attorno a me: tutto era al posto giusto, come ogni giorno, come sempre. Carezzai ancora la lastra d'acciaio e un leggero sorriso fiorì sulle mie labbra. Era il luogo in cui preferivo stare e questa era la mia ora preferita: quella della quiete prima della tempesta.

Fra poco la stanza sarebbe stata ricolma di voci, di suoni, di odori. Fra poco, come animato da una magia nota, tutto avrebbe ripreso vita.

"Il mondo intero è un palcoscenico, e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori" diceva Shakespeare, e allora... che lo spettacolo abbia inizio!

CINQUE SENSI Un unico amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora