Viaggio senza meta

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Mi piace pensare che non siamo soli in quest'oscuro universo. Primo, perchè mi sembra assurdo anche solo immaginare un'infinità che alterna vuoto e nulla; Secondo, perchè non potrei mai pensare che siano tutti così: tutti uguali, tutti allo stesso modo.

Sei un'egocentrica

Si, è vero.

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Ogni volta che esco fuori di casa a quest'indecente ora che considero le sei e mezza, del sole non c'è neanche traccia, buio pesto se non fosse per i lampioni. È da pochi giorni che inizio a intravedere qualche sfumatura più chiara che si fa spazio tra una pennellata di blu notte e l'altra quasi nera, ed è un sollievo considerando che più ciò che mi circonda è scuro e più mi sale l'abbiocco.

Di solito non vado alla fermata a piedi, anche perchè ciò mi costa una sveglia anticipata di dieci minuti, e per me quei preziosi minuti sono preziosi quanto l'oro. È anche vero che non andando a piedi costringo mia madre ad alzarsi prima per potermi portare in macchina.

In un modo o nell'altro c'è sempre qualcuno che paga lì dove l'altro guadagna

Si, è vero.

L'unica cosa piacevole di questo breve tragitto a piedi è la musica che mi accompagna per mano con le sue note melodiose. Certo non è esattamente una grande compagna di fiducia, più volte, da buona megalomane qual è, ha sovrastato con la sua voce ogni suono esterno, e io mi sono accorta che per quanto il senso della vista sia importante, quello del suono non è da meno. Oltre a rischiare di essere investita, a volte la musica mi ha esternato completamente dal mondo attorno a me, chiudendomi in una bolla insonora.

Ma non è proprio quella la funzione della musica?

Si, è vero.

Potrei arrivare in piazza e invece di girare a destra girare a sinistra, verso la stazione decadente che domina Via Rossini. Ho venti euro in banconote con me, e non sono mica pochi contando che solitamente il mio bottino si aggira intorno agli ottanta centesimi (ricavati da sei monete da cinque centesimi, due da venti e una da dieci). Inoltre la mia carta di credito dovrebbe avere circa un centinaio di euro, ancora ben fornita da quando son tornata dal viaggio studio in Irlanda. Oggi mi sono ricordata anche di portarmi una bottiglietta d'acqua e la merenda: un'allegra barretta di ottantasei kilocalorie.

So fare un biglietto del treno, basta dire la destinazione al funzionario, per il resto dovrei trovare gli orari su internet con il cellulare.

Giusto, il cellulare!

Non ho nessun caricabatterie con me e non ho un nokia della preistoria la cui batteria resiste per secoli e oltre, il cellulare mi morirebbe sicuro entro fine giornata e sempre che io lo usi lo stretto necessario (sempre che ci sia alla fine uno stretto necessario, secondo me no).

Non mi disturba poi così tanto pensare di doverne fare a meno, mi dispiace solo non poter fotografare il mio viaggio, quello sì che mi provoca una certa punta di amarezza. Ma poco male, farò a meno anche di quello.

L'idea di comprare un caricabatterie svolazza come un ufo nel mio cielo mentale, non sicura di averlo visto o no, alla fine decido che non ho visto niente.

La verità è che vorrei andare dove c'è vita, non ho voglia di isolarmi in un bosco o chissà dove, anche perchè avendoci già provato mi è venuta una sorta di sensazione di paura dopo essermi fermata a rimirare il panorama attorno a me. Non voglio più solitudine, vorrei vita.

Quando penso alla vita e alla gioia di vivere subito i miei pensieri ricorrono alle immagini di città come Firenze, Venezia, Roma e Napoli.

Scarto subito Venezia perchè si trova più a nord rispetto a dove abito io, e mi da la sensazione di essere sul confine di un precipizio. Ho bisogno del calore di quelle città centrate che ti avvolgono tra le loro braccia tatuate di arte.

Potrei andare prima a Firenze e poi scendere verso Napoli passando per Roma. Mi sembra perfetto, è un viaggio che non manca di nulla rispetto ciò di cui necessito. Magari terminato potrei pensare di passare per la Puglia a salutare alcuni amici e andare in Sicilia.

Vorrei un libro da portare con me, che mi accompagni insieme alla musica, tenendomi l'altra mano. Vorrei che mi facessero entrambi da genitori. Magari un bel libro grande, che racconti di tutto ciò che voglio sentir essere narrato: una storia avvincente, un saggio sull'universo e uno sulla mente umana (più simili, secondo me, di quanto possa sembrare).

Terminata la lista dei miei accompagnatori sento una fitta tra lo stomaco e la gola, come se si fosse creato un buco nel mio cuore, un buco nero che risucchia avido ciò che lo circonda, rallentandone il tempo fino a farlo impazzire. Allora mi rendo conto di cos'è che manca al mio viaggio: un essere vivente.

Non importa se amico, amica, fidanzato, fidanzata, parente o semplice conoscente.

Mi manca una persona che non so nemmeno se esiste, una persona che mi supporti in questo cammino, qualcuno a cui io possa appoggiarmi e qualcuno a cui io possa dare un appoggio.

E allora mi rendo conto che potrei anche andare fin su Marte o agli angoli indefiniti e interminabili di questo cosmo, ma non mi sentirei comunque meno sola perchè per quanta vita possa avere intorno sarà sempre qualcosa che mi circonderà senza mai riguardarmi da vicino.



Fisso l'edificio a cui sono giunta, abbandonato da un pezzo immagino, che una volta era la stazione. È incolore perchè ancora il sole non è sorto per cui di assorbimento della luce e conseguente colorazione, ce n'è ben poca.

Mi chiedo come possa essere stato negli anni cinquanta o sessanta, quando forse il paese pullulava di gente più giovane e più vivace. Quando le donne portavano quelle gonne ampie e le camicette bianche, indossando un enorme ed elegante paio di occhiali da sole e un foulard intorno alla folta chioma cotonata. Ho sempre amato la moda di quell'epoca, così elegante.

Sulle rotaie della stazione abbandonata passano ancora i treni ma hanno smesso di fermarsi da anni.

M'infilo senza difficoltà nell'ambiente, facendo caso solo dopo all'eventuale presenza di vagabondi, ma non me ne curo.

Raggiungo quell'unico binario che ospita la stazione e trovata una panchina, sporca e con un supporto mezzo rotto ma ben stabile, mi siedo, aspettando che giunga quel treno che prima o poi si fermerà.



//Non esistono trame preconfezionate quando scrivo, inizio da un semplice particolare e da quello creo una forma a mio piacimento, potrebbe avere infinite varianti ma io ne scelgo una, quella più istintiva.

Andando avanti nello scrivere mi sono accorta di un'evidente riferimento, inizialmente involontario, a una storia che da piccola amavo molto ( e tuttora amo) e che mia mamma spesso mi leggeva:"Metilde e la ricottina" di Giuseppe Pitrè


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