Ho perso il conto dei giorni che ho passato rinchiusa qui dentro. Potrebbero essere poche settimane, mesi o forse anni. Ogni giorno è uguale a quello precedente. Non c'è alcuna differenza fra la notte e il giorno. È tutto così indefinito. Buio e indefinito. Mi sento in trappola qui dentro. Mi manca l'aria, mi mancano il sole e la pioggia. Mi manca vivere. E sapete qual'è la cosa che fa più male? La cosa che fa più male è che io so benissimo che non potrò mai più avere una vita. La cosa che fa più male è il fatto che sto cominciando ad accettarlo. La mia speranza sta svanendo, così come la mia sanità mentale.
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Tre colpi secchi alla porta mi risvegliano dai miei pensieri.
«In piedi! In piedi! È ora di alzarsi!»
Bene, fantastico. Ecco l'inizio dell'ennesima giornata di merda.
Mi alzo, indosso pantaloni e maglietta grigi e delle scarpe bianche. Esco dalla mia cella e vado, con tutti gli altri, alla mensa. Guardandomi intorno vedo solo delle macchie grige. Incredibile come siano riusciti ad annullare ogni singola personalità con un gesto così semplice. Una divisa che ci mette tutti allo stesso livello. Una divisa che ci ha trasformati da persone a numeri.
Prendo un vassoio e mi metto in fila. La cuoca mi versa una mestolata di porridge nella ciotola e io mi allontano. Mi siedo al solito tavolo, da sola, a mangiare.
Un fischio mi fa sussultare. Mi giro e vedo la Signora Tomkins entrare nella sala seguita da due infermiere. Entrambe portano un vassoio e capisco subito cosa contengono i bicchierini che ci sono appoggiati. È l'ora della medicina. La Signora ci chiama uno ad uno per prendere i nostri farmaci. Un ragazzo, in fondo alla sala, non si alza. Pessima scelta. Guardandolo mi accorgo di non averlo mai visto prima. Un novellino, ecco perché non si è alzato. Ancora non sa a cosa si va in contro se si disobbedisce alla signora Tomkins.
«Portatelo in isolamento!» ordina alle infermiere. Queste lo prendono di forza e lo portano di sotto. Passerà una brutta, bruttissima giornata.
«G17»
Torno alla realtà sentendomi chiamare. Mi alzo e mi avvicino alla Signora. Lei mi porge un bicchiere contente le pastiglie e uno con dell'acqua e mi guarda finché non li porto entrambi alla bocca, uno dopo l'altro, poi mi sorride e chiama il prossimo. Io torno a sedermi e continuo a mangiare il mio insipido porridge, non prima però di aver sputato quelle dannate pasticche in un tovagliolo.
Mentre vado nella sala comune ripenso a come mi sia abituata in fretta a non avere più un nome. "G17". È questo che sono ora? Un..un niente?
Mi hanno tolto la vita, mi hanno tolto la famiglia..che diritto hanno di togliermi anche il nome? Di togliermi la mia identità?~~~~
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Goodbye sanity
General FictionPensavo di essere normale..lo pensavo davvero, almeno prima di varcare quella porta