Capitolo 12

5 1 0
                                    

Davvero, la situazione in cui mi trovavo era l'evidenza del perché avrei dovuto tenere conto di tutti gli avvertimenti di Demien su Kasim, mi sarei evitata un sacco di casini. Giurai a me stessa che da quel momento avrei sentito quell'ammasso di testardaggine, abbronzatura e diffidenza più spesso.

Quella che avevo avuto durante la mattinata era una pessima idea. Una pessima, pessima idea. Come mi era venuto in mente di fare il doppio gioco? Anzi, non era nemmeno definibile così. Non stavo né con la Corona, né con i pirati, né con i Magici... Era piuttosto definibile come il mio gioco.

Ancora stentavo a credere a ciò che avevo architettato, a tutte le balle che avrei dovuto inventare e a cui ero costretta a ricorrere per tirare fuori dai guai Bellamy e me, tutto a causa di Kasim; nel frattempo salivo le scale mi maledicevo per il rischio che stavo per correre. Ma chi me lo aveva fatto fare ad accettare di aiutare la corona?

Che sia chiaro, non avevo intenzione di fare sul serio con l'offerta di Ark, ma non è che avessi avuto molta altra scelta. Una volta ritornata a Shaka, alla cittadella dei Reali, avrei avuto modo di salvarmi. Ero sempre una maga nelle fughe... beh, si fa per dire.

Avevo accettato di ritrattare la mia posizione con la corona, e sapevo che questo avrebbe distrutto Bellamy appena lo avesse saputo, e per quello che dovevo fare, serviva che il suo odio verso di me fosse autentico quando mi avrebbe vista. Non restava altro che sperare di reggere le sue parole di disprezzo.

Fui condotta dinanzi una porta dentro la quale le guardie reali mi spinsero, la stessa dell'ultima volta quando entrai e mi sedetti sulla sedia. Come la volta precedente ritrovai due tazze di thè fumanti sul tavolo e pensai che avrei dato una buona impressione se lo avessi bevuto; così feci, nonostante non mi fidassi ancora di ciò che poteva esserci dentro.

Quasi mi ustionai la lingua mandandone giù un sorso, ma almeno aveva un sapore dolcissimo, tant'è che bevvi comunque quella bevanda calda. Mi chiesi chi avesse il compito di cucinare nella nave, perché era veramente buona.

Il capitano della nave entrò pochi minuti dopo, con la sua divisa da ufficiale e tanto di cappello, si sedette di fronte a me cominciando a bere dalla sua tazza; mi salutò con un cenno della mano e prese a parlare. "Jacklyn, per caso si è mai chiesta perché il nostro modo di salutare può sembrare quasi macabro?"

"A un'altra vita." Dissi a voce alta. "I miei genitori mi spiegarono quando ero piccola che questo è il modo in cui si chiarisce che ogni qualvolta ci si incontra, le persone che eravamo non esistono più, perché le persone cambiano sempre e quando le rivediamo non sono più quelle che conoscevamo, ma solo qualcuno che somiglia molto a loro."

"Beh, quando lei è entrata la prima volta qui mi ha dato l'idea di una selvaggia in cerca di sicurezza. Una persona ben diversa dalla ragazza collaboratrice con un senso di giustizia che ora è seduta di fronte a me, non crede? Vorrei proprio sapere cosa l'ha spinta a cambiare in questi due giorni." L'uomo si protese in avanti, giungendo le sue manone sotto il mento in segno di ascolto.

"Tecnicamente non sono mai entrata qui come intende lei, mi hanno sempre spinta dentro i suoi uomini. Seconda cosa, io ero, sono e sarò sempre una selvaggia per voi, non credo che esista qualcuno che sappia domare un lupo. Terza cosa, non avete nulla di più forte del thè? Senza togliere nulla a chi l'ha fatto, ovviamente." Dissi finendo la tazza di thè.

Ark si alzò ammiccante e sorridendo prese una bottiglia di scotch da dietro le sue spalle, nel frattempo io tolsi il coltello dal tavolo e quando lo riposi negli stivali fui ben attenta a non farlo notare. Lui si risiedette e versò una dose abbondante di alcol nel suo bicchiere, mentre nel mio due dita, poi con un sospiro pesante si poggiò allo schienale.

Il marchio della stregaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora