STORIE E SOGNI

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Rumore, molto, troppo! Le orecchie mi rimbombano. Un rifugio, mi serve un rifugio! La mia testa affonda nel caldo, morbido e invitante cuscino. Parole, ordini. Ordini che mi esortano ad alzarmi. Combatto e mi raggomitolo in posizione fetale. Freddo! Il freddo che morde e tortura, il freddo che pugnala la pelle facendola raggrinzire: il mio dolce, morbido nido caldo mi è stato strappato di dosso. Una lama di luce si insinua tra le mie palpebre ferendomi le pupille. "Non voglio!" Il mio corpo lo urla in tutti i modi, ma la voce rimane stranamente muta. Lotto , mi avvinghio disperato al sonno come un naufrago ad un galleggiante durante una tempesta. Serro nuovamente gli occhi per non perdermi l'ultimo inestimabile momento. Sono una nuvola, bianca e leggera, il vento mi culla, arricciando la mia candida chioma. Sono il vento, pastore dei cieli, come un falco ghermisco gli odori per farli conoscere al mondo. Sono l'acqua, immutabile assisto ai volteggi degli uccelli sopra di me, solcata da leggere ondicelle che rompono il loro moto armonioso quando una verdissima rana si tuffa in me tra corone di gocce diamantine. Sono il predatore, sono la preda. Potrei essere stella o pioggia o raggio di sole. Veleggerei di galassia in galassia con un ippopotamo a pedali oppure non farei niente di niente, tanto, chi mai potrebbe sgridarmi nei miei sogni? Basterebbe un tocco di gomma, un battito di palpebre e... tutti i problemi scomparsi, svaniti nell'aria, come l'effimera rugiada mattutina che adorna le piante. Che cosa sono i sogni? A cosa servono? A cosa serve la fantasia? Cosa sono io veramente? Perché mi sto ponendo tutte queste difficili e strane domande? Sinceramente non lo so, io non so niente, neanche di appartenere a questo mondo e di essere in questo corpo che mi si stringe addosso come un vecchio vestito, sapete, come quelli con lacci, laccetti e busto che andavano tanto di moda nel diciassettesimo secolo.

Faccio colazione in un battibaleno mentre mi infilo felpa e canottiera contemporaneamente, se c'è una cosa che proprio detesto è la fretta ( anche se molte volte sono costretto perché tento di ritardare più che posso la levataccia ) . Ci si può macchiare il vestito, soffocare con le briciole di una brioche, scordare chiavi e portafoglio e dimenticare delle mirabolanti avventure notturne. Vi è mai capitato di svegliarvi con uno strano sapore sulla lingua? L'aroma di qualcosa di esotico e di conosciuto e sconosciuto allo stesso tempo? A me sì, molte volte. Dispero di ricordarmi qualche particolare dei miei viaggi nel mondo dove tutto è possibile, arranco e scavo in profondità nella mia testa ancora offuscata e confusa dal sonno ma non trovo niente e, se mi sembra di ricordare, il frenetico tran tran mattutino mi fa smarrire quel leggerissimo filo trasparente che potrebbe ricondurmi alle mie avventure notturne. Odio anche questo. Mi fa sentire incompiuto, come se mi mancasse un braccio oppure come se la mia cassa toracica non avesse che tre costole. Sospiro, mi carico il pesante zaino in spalla salutando i miei genitori, il fratello ed il gatto e esco dalla porta meditando su quanto sarebbe stato bello rimanersene altri dieci, no quindici, anzi, venti minuti in più sotto le coperte. Salgo sul sellino della bici e inizio a pedalare. L'aria mi assale con le gelide stilettate di uno schermidore esperto. Mi trafigge le guance, il collo, la sua lama si posa in ogni luogo non abbastanza protetto, le braccia, le caviglie. Mi rannicchio e incasso la testa tra le spalle tentando di proteggermi da quell'implacabile avversario, ma così non vedo la strada, rassegnandomi, torno in posizione eretta e accelero per non arrivare in ritardo.

Sono seduto vicino alla finestra, un brutto posto per chi vuole provare a seguire la lezione, io, d'altro canto, ci ho già rinunciato quasi dieci minuti fa. Guardo gli uccelli e muovo desideroso le scapole, le tasto sentendo quelle dure montagnole alzarsi ed abbassarsi, protestano scricchiolando, le muovo più veloce, ancora più veloce, ed ecco che escono dalla pelle con un'esplosione che mi squarcia i vestiti. Prendo il volo nell'immensità azzurra del cielo per giocare tra le bianche nuvole soffici inseguendo stormi di uccelli con le mie nuove ali poderose. Quando il vento viene catturato dal morbido piumaggio che ora mi adorna le spalle, i muscoli della mia schiena si tendono come la corda di un arco, lancio un grido, un grido selvaggio, un grido di libera esultanza, un grido che parte dalle dita dei piedi e fa vibrare la punta dei capelli agitati dal mio volo veloce. Le case sono piccole viste da quassù, il tetto più largo ha l'ampiezza di un francobollo, i campi e gli alberi si fondono in un unico velo dalle infinite differenze cromatiche che scorre sotto di me come un tumultuoso fiume in piena. Sono padrone del mondo.

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