La Teoria Della Farfalla Bianca

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Io e Julie ci vedemmo per la prima volta il 20 settembre del 1944, eravamo due giovani che non desideravano altro che cambiare il mondo con la fantasia, fu da quello che mi ricordo un'amore a prima vista, i suoi occhi smeraldo incontrarono i miei e da li iniziò qualcosa, un sentimento profondo da parte di entrambi.

Passarono diversi giorni prima di rivederla ma fu come il primo giorno, anzi riuscii a scorgere in lei altri particolari che mi fecero impazzire, ogni volta che la rivedevo era qualcosa di magico e indescrivibile, credevo già di essermene innamorato e fu così.

Passai una notte a scrivergli quello che provavo, dei suoi capelli e di quegli occhi color smeraldo che mi facevano impazzire, trovai anche un nome da dargli pur di creare un'intimità profonda, Julie, e gli scrissi una lettera che raccontava ogni sensazione che riusciva a darmi ogni qualvolta la vedevo.

Solo dopo aver scritto quella lettera riuscii a trovare davvero sonno, ma lei discretamente, riusciva a anche a far visita ad ogni mio sogno, ma questo nelle lettere che scrivevo non riuscii mai a scriverlo, probabilmente accadeva la solita cosa a lei ed era giusto tenerlo come un dolce segreto.

La terza volta che la vidi era il 13 agosto dello stesso anno, splendida come al solito, cercai per la prima volta di sorridergli, e lei ricambiò, riuscendo a far impazzire il mio cuore che come un martello picchiava così forte da creare un'eco nei vicoli intorno.

Cercai di trovare il modo di parlarci anche solo per salutarla, ma sono un tipo timido e lei andava di fretta e quindi nessuno dei due trovò il modo di scambiare qualche parola, ma nel mio cuore ormai la sua immagine era stampata come se a quel punto fosse sempre accanto a me.

Da allora iniziai a scrivergli di quanto avrei voluto andare a prendere un caffè in Italia insieme a lei, di quanto avrei voluto annegare nella ragnatela dei suoi capelli e di quanto avrei voluto baciare quelle sue labbra sottili, di figli mi sembrava inopportuno parlarne e quindi evitai.

Il giorno dopo iniziai a pensare ad altre cose da scrivergli, sopratutto della mia opinione sull'amore, cercando di capire se anche lei la pensava allo stesso modo, scrissi che secondo me l'amore è qualcosa che trovi e poi tende sempre a fuggire, come le farfalle, puoi vederne lo splendore ed inseguirlo, ma loro scapperanno sempre ed è forse questo che le rende così meravigliose, qualcosa che viene cercato, inseguito o di cui si mostra interesse è pur sempre qualcosa che vogliamo per noi, e l'amore non può venire meno a questa logica.

Scrissi anche delle impressioni su ogni parte del suo suo aspetto fisico che riuscii a scoprire solamente la terza volta che ci vedemmo, come il neo sul labbro e le ciglia sottili che tanto la facevano somigliare ad una famosa attrice americana che già adoravo da tempo e con cui, grazie a ritagli di giornali ero riuscito a creare un collage che ricoprisse tutta la mia camera.

Nella mia mente ero già riuscito a crearmi qualcosa che avrei voluto fare con lei, l'avrei portata a Venezia, avremmo visto insieme i grandi canali sopra una gondola e la sera l'avrei portata in un ristorante romantico, avrei aspettato un suonatore di violino e gli avrei fatto suonare l'adagio di Albinoni, sicuro che anche a lei piacesse.

A quel punto ci saremo baciati e io gli avrei fatto proposta di matrimonio, l'avrei portata nell'albergo più lussuoso della città e piano piano l'avrei spogliata, con una dolcezza estrema avrei baciato ogni sua parte del corpo che mettevo a nudo, sarei partito dalle gote fino ad arrivare al seno, li mi sarei soffermato per qualche minuto e avrei fatto di tutto per disegnare ogni sua forma, sarei arrivato fino ai suoi piedi trascinando le mie umide labbra su tutto il suo corpo e poi avrei iniziato a penetrarla con dolcezza, lasciandomi accompagnare come in una maestosa composizione dai suoi gemiti, in quel letto che non avrebbe conosciuto sonno.

Tutte le mie fantasie mi ispiravano lettere nuove che avrei voluto recapitargli, senza vergogna, perché nell'amore c'è sempre qualcosa che va oltre i momenti di imbarazzo, le parole sussurrate e gli eventi stessi, qualcosa che non si riesce sempre a capire al volo, qualcosa che ci rende fragili e forti allo stesso tempo, qualcosa per il quale filosofi e poeti non hanno trovato ancora una soluzione, quell'eco in quei viali che adesso rimangono solo storia.

Adesso sono tre anni che spero di rivederla anche se ogni notte è lì nei miei sogni, pronta ad affrontare una vita insieme a me.

-Hey John, vieni a prendere un caffè?- disse il mio collega.

-No Adam, fammi finire di scrivere questa perizia- ribattei subito, consapevole che dovevo ancora concludere ciò che stavo scrivendo.

-Ancora a scrivere la perizia psichiatrica di quel pazzo? Sai quante brutte cose avrà visto in quel posto, forse solo la morte gli potrà dare pace- disse Adam, anche se ignaro delle verità che sapevo io e che avevo appena finito di scrivere.

-David non era un pazzo, era solo un grande romantico che ha trovato l'amore della sua vita ma in un luogo ed in un momento sbagliato, ma ha continuato a sperare e la sua fantasia è andata oltre alle violenze che viveva intorno a se- Risposi.

-Come vuoi, io vado a prendere quel caffè, comunque svegliati e vivi il presente sennò rischi di farti schiacciare da questo lavoro- Mi disse Adam prima di andarsene ma non lo stetti a sentire e conclusi il fascicolo della mia perizia psichiatrica.

Ormai non mi rimaneva altro che scrivere la conclusione del fascicolo con le risposte mediche su David Luckerfield, nato il 3 novembre del 1921 e morto il 10 febbraio del 1976 dopo il salvataggio dell'Armata Rossa del Campo di sterminio situato a Majdanek ed una grave malattia mentale dovuta alle sofferenze ed alle atrocità che aveva vissuto in quel posto, ma io credo che la sua pazzia sia stata solo frutto di quell'amore che non riuscì mai ad avere, quel sogno per una donna che lo aveva fatto diventare cieco davanti a all'orrore vissuto in prigionia.

Quello che adesso so è che dopo che lo riportai in quell'inferno, sebbene fossero passati ormai trenta anni lui ricordava tutto, forse troppo, perché quando vide l'elenco dei nomi su quella lapide commemoriale fermò il suo dito al nome Martha Yale e scoppiò in lacrime, si voltò verso di me e mi disse che era lei, la sua Julie di cui era riuscito a scoprire il vero nome grazie ad una fonte che non mi è data rivelare poiché viva e scampata ai processi che seguirono la guerra.

Marta Yale, quella che David aveva imparato ad amare con il nome di Julie è morta il 13 agosto del 1944 e David morì pochi giorni dopo aver letto quella lapide, qualcosa dentro me è pronto a dimostrare che forse non è un caso, forse dopo trent'anni c'era davvero una vita in cui avrebbe potuto vivere quel sogno, ed io amo immaginarlo lì mentre mi guarda con un sorriso e sorseggia il suo caffè in un bar vicino ai canali della Venezia di cui tanto parlava, accanto a lei, quella persona per cui a sempre continuato a vivere. 

La teoria della farfalla biancaWhere stories live. Discover now