Io e Namjoon ci trovavamo nel salotto semi-illuminato del mio angusto monolocale, seduti a terra come se non avessi sedie o divanetti utilizzabili; trangugiavamo bottiglie di vodka alla pesca come fosse acqua naturale, e ci fermavamo solo per riprendere fiato e scambiarci lunghi sguardi confusi. Non sapevamo nemmeno noi il motivo di quello bere frenetico, e non avevamo idea di come fossero sbucate fuori quelle due bottiglie.
Per essere preciso, in realtà lo so ma non me lo ricordo troppo bene. E non è nemmeno così importante.
Quando Namjoon aveva bussato con insistenza alla sgangherata porta di legno, io, che avevo deciso di lasciarlo fuori per godermi un po' di sano silenzio, mi sono alzato leggermente barcollante dopo la mia seconda birra e gli ho aperto scazzato: «che vuoi?» gli ho chiesto. Insomma, ero mezzo andato ancor prima che mi ritrovassi magicamente con un super alcolico tra le mani. E allora Namjoon è entrato e mi ha detto «parliamo».
Non ho mai amato particolarmente il 'parlare'. Preferisco ascoltare (o fingere di farlo se non mi interessa l'argomento) e farmi la mia silenziosa opinione, senza immischiarmi nei discorsi, senza intervenire, senza fare guai; perché la mia opinione tende sempre ad essere nuda, rude, e aspra. Dopo aver deluso fiumi di persone ho imparato a tenere la bocca chiusa e a limitarmi ad annuire, facendo credere al mio interlocutore di essere parte attiva della conversazione, e tagliandomene invece completamente fuori. Mi va bene così, perché tanto a nessuno interessano seriamente le opinioni altrui, figuriamoci le mie.
L'unico modo per farmi parlare è con l'alcool. Mi rincoglionisci e il gioco è fatto. Peccato che io fossi già brillo: avevo subito risposto con un «ah, vabbè, entra», e grattandomi l'addome avevo richiuso la porta scricchiolante. Ero andato in cucina, avevo stappato una terza birra, tempo di offrirla al mio amico e inspiegabilmente stavamo entrambi a terra attaccati a quella scadente vodka del discount.La serranda della finestra in salotto era tirata giù un po' storta, ed alcuni sbilenchi raggi di sole ci schiaffavano violentemente il loro calore settembrino sulle guance scarne. Stavo morendo di caldo, nonostante i pantaloncini e la canottiera fossero gli unici indumenti che avevo addosso. I vecchi divani in pelle, disposti in cerchio intorno a noi, ci difendevano da invisibili sguardi indiscreti, e io, in mezzo a questi vecchi mobili, mi sentivo al sicuro come se mi trovassi in un fortino. Era un'area protetta dove io e Namjoon potevamo prenderci il tempo di essere noi stessi, ubriaconi e fumatori incalliti, poeti incompresi, artisti falliti. Abbandonati da tutti, tranne che da noi stessi, proprio come quei divani sgangherati.
«Yoongi, te lo dico sinceramente e senza giri di parole, perché so che a te non piacciono e preferisci le cose dirette e concise...» iniziò il ragazzo di fronte a me, prendendo un lungo sorso d'alcool. «In pratica è successo che mi sono messo a pensare l'altro giorno. Poi mi sono messo a leggere un libro perché di pensare mi ero stufato, e poi-»
«Namjoon, stai facendo dei giri di parole. Ti conviene sbrigarti, quella merda che abbiamo bevuto farà presto effetto» lo interruppi, giocando con la bottiglia ormai vuota ai miei piedi. La prendevo in mano e poi la lasciavo cadere sul tappeto sporco, e questa, toccandolo, creava nell'aria dei piccoli sbuffi di polvere, luminosi contro la luce del nono mese.
Namjoon si schiarì la voce e annuì, spostando lo sguardo verso il soffitto. «Scusa, hai ragione. Ma davvero, se non ascolti tutto poi non capisci un cazzo, Yoongi. E tu hai proprio bisogno di capire la situazione al volo, dato che non ho intenzione di spiegartela di nuovo»
«Mi tratti come se fossi stupido» mi passai una mano sul volto. «Beh inizia, mi sto già rincoglionendo»
Namjoon prese una grande boccata d'aria e continuò. «Ti stavo dicendo, insomma, che mi sono messo a leggere. Sai bene che preferisco libri di filosofia e romanzi storici — (da Nietzsche a Sebastiano Vassalli, come mi diceva sempre) — ma quel giorno, in biblioteca, mi è capitato tra le mani un fantasy che lessi tempo addietro, quando avevo all'incirca dodici anni. Mi ha fatto sorridere ripensare al piccolo me che sul lettino, al mare, leggeva questo libro come fosse un capolavoro. Ma comunque non è questo il punto. Quello è uno dei classici libri in cui sono presenti grandi storie d'amore che sono forze della natura, storie infinite e incorruttibili, scandite da battiti di cuori velocissimi e da parole dolci. Mi ha fatto pensare a noi, a quello che c'è pure se di fatto non c'è niente»
Smisi di giocare con la bottiglia di vetro vuota e alzai lo sguardo sulla finestra, lasciando che il sole mi accecasse e mi costringesse a socchiudere gli occhi. Un ciglio si era staccato dagli altri e si era adagiato sulla mia guancia, sentivo il suo solletico, e allora avevo sorriso.
Quello che c'era tra me e Namjoon, a mio modesto parere, non aveva nulla a che vedere con quelle storie d'amore imperiture. C'ero sempre stato per lui, e lui c'era sempre stato per me, nonostante le discussioni, le litigate. In passato, per esempio, era solito lamentarsi delle mie assenze. Ero poco presente, mi facevo gli affari miei, evitavo di scrivergli per paura di disturbare; a me andava bene così, perché, dal mio punto di vista, la nostra amicizia andava oltre il messaggio giornaliero. Lui non la pensava come me, e ogni volta si incazzava da morire e finivamo per non parlarci più per giorni. Ma era sempre tornato, e io lo avevo sempre aspettato. E poi tornavo sempre anch'io, e pure lui mi aspettava. Diventò una routine mensile, e alla fine imparò ad accettarmi. Gliene sarò sempre grato.
«Non capisco Namjoon, se non c'è niente, allora come fai a pensare a ciò che c'è?»
Namjoon bevve l'ultimo sorso di vodka alla pesca e lasciò cadere a terra la bottiglia. Reggeva bene l'alcool, e non era totalmente andato. Si avvicinò a me con fare sicuro e portò una mia mano sul suo cuore. Potevo sentire il suo battito accelerato rimbombare nella sua cassa toracica. Era veloce, tanto che quasi mi stavo preoccupando; e forte, tanto che sobbalzai leggermente. Il mio cuore, che da tempo reputavo morto, iniziò a battere come contagiato dalla velocità di quello del mio amico. Le mie guance si tinsero di rosa quando Namjoon, sentendo il mio petto con la sua mano, disse «c'è questo, Yoongi. E questo è qualcosa anche se noi non siamo nulla».
E probabilmente Kim Namjoon aveva ragione, e qualcosa c'era. E, sempre probabilmente, ero io che non volevo dare a me stesso nessuna possibilità. Probabilmente mi aveva sentito sussurrare nel sonno quanto perso sarei stato senza la sua presenza, e mi aveva creduto, perché solo nel sonno riuscivo ad essere sincero. Non con gli altri, perché di loro non mi interessava, ma con me medesimo, ché ero sempre stato spaventato dalla necessità umana del 'provare dei sentimenti'. E, ancora probabilmente, era stanco della mia incosciente sincerità e della mia cosciente finzione.
«Yoongi, sono al novantanove virgola sette percento sicuro di amarti, ma voglio tenermi stretto quello zero virgola tre percento per auto-difendermi»
Il mio cuore sussultò nuovamente, e il respiro mi morì in gola. Volevo dire qualcosa, rispondergli, urlargli finalmente che io lo amavo al cento percento, e che avrei volentieri rinunciato a quello zero virgola tre di auto-difesa per averlo accanto. Ma non feci nulla, e rimasi immobile, spento, bloccato. Le parole erano macigni sul mio cuore, troppo dolorosi per ignorarle; troppo pesanti per tirarle fuori.
«È imbarazzante, ti prego, dì qualcosa»
E con voce addolorata continuava a dirmi di rispondere, di non lasciarlo lì così, perché finalmente aveva trovato il coraggio di eliminare quegli stessi macigni che stavano ancora opprimendo me. Le sue parole erano però ovattate ormai da tempo, e nella mia testa pensieri e azioni erano così sconnessi che riuscii solo a stare fermo, mentre la lucidità mi abbandonava totalmente. Lui aveva iniziato a piangere, ed io lo guardavo, odiandomi ancora una volta, dal centro del mio tappeto.
Mi mossi solo per correre in bagno, andando a sbattere contro ogni mobile del mio salone che non fosse attaccato al muro, contro la porta della toilette, il lavandino, e la vasca. Mi buttai a terra davanti al water e semplicemente sputai tutta la merda che avevo ingerito, e nonostante il dolore Namjoon era lì, ad accarezzarmi la schiena con premura. Lui piangeva ancora, sussurrandomi parole di conforto; e a quel punto anche io piangevo, non a causa dell'alcool, ma perché ero consapevole che, l'indomani, non avrei ricordato nulla.
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grazie a tutti coloro che hanno usato il loro tempo per leggere questa mia prima sugamon.
spero che sia stata di vostro gradimento e che pensiate di aver speso bene un po' del tempo a vostra disposizione.detto questo, auguro a tutti una buona domenica, e, in generale, una buona giornata.
❤️
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─ vodka alla pesca
Short StoryDove Namjoon e Yoongi intraprendono un discorso da ubriachi. !ONESHOT!