Un deserto, un oceano, la mia vita ;

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T A E H Y U N G ;

"I just started walking and ended up at the seaI'm looking at the coast from hereThere's endless sand and the rough windBut I'm looking at a desertI wanted to have the sea so I swallowed you upBut I'm even thirstier than beforeIs what I know reall...

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"I just started walking and ended up at the sea
I'm looking at the coast from here
There's endless sand and the rough wind
But I'm looking at a desert
I wanted to have the sea so I swallowed you up
But I'm even thirstier than before
Is what I know really the ocean?
Or a blue desert?"























Le luci dei riflettori cominciarono a luccicare attorno a me. I miei vestiti sfavillavano, il mio viso era illuminato. Anche i miei occhi brillavano, ma non seppi di cosa. Così cominciai a muovere i primi passi, mentre delle urla di entusiasmo facevano a pugni con gli auricolari alle mie orecchie. Attorno a me solo musica e grida di eccitamento. Io da solo ad abbracciare quella sinfonia e a dimenarmi con l'aria pesante che mi avvolgeva interamente. Sorridevo, perché per qualche attimo mi era concessa la libertà. Seppure una libertà diversa, scandita dal rigore di quella coreografia dai passi leggiadri, delimitata dal confine del palco, stretta allo sguardo di migliaia di persone sconosciute, io mi sentivo libero. Sentivo di volare, sentivo che non erano volteggi persi negli applausi, i miei, ma ali che sbattevano su nel cielo coperto dal tetto di quello stadio. Per un attimo, un solo attimo, mi era concesso di sentirmi libero. E mi piacque pensare che, se avessi sperato più intensamente, lo sarei stato davvero e per sempre.

Sembrava non importarmi il fatto che cantassi sempre sulle stesse note le stesse parole, perché ogni volta mi pareva una melodia diversa. Una storia diversa. Il pubblico acclamava come se lo fosse stato per davvero. Allora io ero felice, perché la mia voce risuonava melodiosa e la gente udiva la mia passione. Tutto, sul palco, mi sembrava perfetto ed eterno. Anche se non potevo urlare di gioia ai miei compagni che insieme a me dipingevano note e passi nella malleabile aria attorno a noi, io li sentivo vicini e mi sembrava che potesse bastare.

Quando le canzoni finiscono, io percepisco un vuoto peggiore di chi le ascolta. Era come se quelle canzoni fossero il motivo per cui sorridevo. Dovevano, dovevano, dovevano continuare. Ma la mia libertà era costretta ad andarsene regolarmente, strappandomi via gli unici sorrisi di gloria e di felicità che mi era concesso avere. La mia era una libertà part-time, un amore da una notte. Una sgualdrina che mi maltrattava e mi ricattava, che mi costringeva a sottomettermi a quel gioco di illusioni e delusioni, di voli e cadute millenarie. Mi piegava, mi faceva inginocchiare di fronte ai sogni che prendevano fuoco. Il motivo di ogni sorriso mi scivolava sulla pelle quando velenosa e pungente rinasceva la consapevolezza di aver sbattuto ancora contro la cruda realtà. Allora evitavo di crollare tra le spine della mia delusione e continuavo a sorridere; era un sorriso mistificato e mutilato, il mio, in quei momenti. Nonostante tutti voi foste gioia, per me, non bastavate. Non bastavate, e il mio dolore cresceva sempre di più quando lo constatavo.

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