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"Vivi per quello che il domani ha da offrirti, e non per quello che ieri ti ha tolto"

Con amore, Daniel

"Queste parole sono un ricordo. Un ricordo che salta fuori nella mia mente ogni volta che guardo mia figlia fare qualcosa di nuovo.
È uguale al padre. Stessi occhi, stessi capelli e stesso comportamento. L'unica cosa che ha preso da me sono le lentiggini e il sorriso. La prendo come una cosa bella visto che non si sapeva per quanto ancora quella situazione poteva andare avanti.

È sempre stato un dolore entrare in quell'ospedale dov'era rinchiuso.
Summer ha visto suo papà sempre e solo in ospedale, però ogni volta che andava a trovarlo sembrava felice e spensierata. Spiegarle la situazione in cui si trovava sarebbe stato troppo complicato data la sua tenera età. Mi piaceva vederla raccontare le sue giornate come se lui potesse risponderle.
Ogni giorno era la solita routine. Lavoro, andare a prendere Summer a scuola, ospedale e casa.

Era un supplizio per me entrare in ospedale ogni volta. Ero abituata a vederlo ridere, ai suoi baci e alle sue carezze. A vederlo vivo.
In quel momento non lo si poteva definire tale,era attaccato ad una macchina aspettando che la malattia lo consumasse.
Tumore. Glielo avevano diagnosticato qualche anno fa. All'inizio andava bene ma col tempo ha cominciato a peggiorare sempre di più fino a farlo ridurre immobile in un miserabile letto d'ospedale.

Quando l'ho saputo non ho fatto altro che piangere per giorni. Era l'unica cosa che sapevo fare. Mi ero chiusa in me stessa tanto da avere complicazioni con la gravidanza. I miei genitori mi sono stati accanto giorno per giorno anche se io non proferivo parola. Come se la malattia stesse uccidendo anche me oltre che lui.

Sono andata avanti così per tutti gli ultimi mesi di gravidanza. Alla fine tutto è andato per il meglio e mi è nato un piccolo angelo. Quando me la sono ritrovata tra le braccia ho sorriso. Il primo sorriso vero dopo mesi. Lei è stata la mia salvezza, è la mia ancora.

Dopo pochi giorni dal parto, l'ho portata da Daniel e gliel'ho messa tra le braccia anche se lui non poteva né vederla né sentirla. Lei gli ha accarezzato il viso e io ho pianto. Ma non era un pianto di disperazione, era un pianto di gioia.

Dopo avergliela portata sono dovuta tornare a casa per stare a riposo. Ho cominciato ad andare sempre meno in ospedale e devo dire che quel periodo mi ha fatto bene. Sono tornata parzialmente me stessa, ho ricominciato a parlare con i miei e sono uscita con i miei amici.

Ma ogni volta che ritornavo a casa ricominciava quella sensazione che mi perseguitava da mesi. Ogni cosa dentro quelle quattro mura mi ricordava lui. Mi venivano in mente le sue manie nel mettere la roba in un giusto ordine o il fatto che ad una certa ora doveva guardare quel determinato telegiornale perché gli piaceva chi lo presentava.

Sono qulle piccole cose che eri abituato a vedere che ti sconvolgono. La normalità sparisce lasciando spazio ad un periodo buio che ti fa perdere la vera essenza delle cose.

Ogni volta che mi sedevo sul divano mi appariva la sua immagine di fianco. Il suo viso con la fronte corrucciata mentre cercava di capire le strane idee dei politici. Oppure quando mi stendevo a letto sentivo la sua presenza accanto a me mentre mi stringeva a lui. L'unica cosa che mi riportava alla realtà era Summer.

Dopo il compimento del suo primo anno di età ho dovuto lasciare la casa. Troppi ricordi, sensazioni ed emozioni mi raggiungevano e si espandevano nella mia mente prendendone il controllo totale.

CamilleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora