Capitolo 13

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FLAVIO

In psicologia esistono cinque fasi del lutto: la negazione, la rabbia, la negoziazione, la depressione e, infine, l'accettazione.

Nessuno ci crederà, ma quello che sto vivendo dentro di me è un vero e proprio lutto per la perdita di una persona che, tecnicamente pur non essendo morta, ha smesso di esistere nella mia vita. Un attimo prima c'era, aveva un volto, una voce, un corpo e un'anima: Giuditta. Un attimo dopo è stata chiusa in una bara fatta di tradimento, e sepolta sotto tonnellate di ricordi, parole e pensieri che per me non hanno più alcun significato. O almeno, non dovrebbero più averne.

La Negazione mi ha accompagnato per l'intero viaggio in aereo. "Non può essere vero" è la frase che mi sono ripetuto sottovoce pur di sopravvivere a tanta delusione.

Le parole di Lei, di Giuditta, continuano a stridermi nel cervello come il suono delle rotaie di un treno quando frenano all'improvviso. Sotto quel ferro incandescente per l'attrito c'è il mio cuore.

Mi sento uno stupido, un uomo insulso e troppo debole per incassare il colpo ancora una volta. Prima è stata Viola, ora Giuditta. Quello che fa più male è la consapevolezza che Viola amava l'uomo con il quale mi ha tradito, mentre Giù, quella che io consideravo la mia Giù, ha volutamente barattato il mio amore per qualcosa che non so neppure come definire.

Domenica sera, confuso per via delle troppe lattine di birra bevute con la speranza di lenire il mio animo ridotto a brandelli, decido di organizzare un briefing per il giorno successivo, pur di tenere il cervello occupato. Invio una mail a ogni singolo componente del gruppo non prima, però, di aver avvisato il professor Milligan del mio inaspettato e anticipato ritorno a Londra.

La mattina seguente sono distrutto dentro e fuori, perseguitato dalla sensazione che tutto dentro di me stia crollando pezzo dopo pezzo. Mi trascino fino al campus universitario cercando di riordinare i pensieri, alle otto in punto l'intera squadra è nell'ufficio del professor Milligan, tutti tranne il professore, in ritardo per un imprevisto di lavoro, e la dottoressa Chloe Mc Lean.

Dopo quindici minuti di conclamato ritardo varca la soglia della stanza blaterando qualche inutile scusa. È proprio in quel momento che la rabbia esplode dentro di me, come una bomba lanciata in aria. Mi sento investito da una specie di misoginia, mista a irrequietezza e a repulsione nei confronti di Chloe che, ancora una volta, si è presa gioco della mia disponibilità.

Probabilmente in un contesto emotivo diverso la mia reazione sarebbe stata meno severa, ora, invece, sento solo il bisogno di farla pagare a qualcuno, fosse anche l'ultima cosa che faccio. Chloe è il bersaglio ideale, una donna troppo anticonformista per i miei gusti, esageratamente sfacciata e senza dubbio molto esuberante.

Dopo averla strigliata a dovere, la punisco, dandole il compito di redigere le relazioni giornaliere sue e dei suoi colleghi, per l'intero mese.

I giorni scorrono fiaccamente, scanditi da domande che si accalcano una sopra l'altra e alle quali non riesco a dare risposte. La rabbia e un abissale senso di frustrazione sono le uniche sensazioni che riesco a distinguere.

Cosa ti ho fatto mancare, Giù? Se ti avessi regalato qualche attenzione in più, avresti valutato con più cautela l'idea di abbandonarti tra le braccia di un altro uomo?

È stata la scelta del matrimonio a dividerci, o qualcosa che in questi lunghi anni di relazione non sei stata mai in grado di confessarmi?

In fondo alla mia coscienza, però, una voce continua a ripetermi "il dottorato è stata la tua fine, Flavio" e ogni volta scaccio lontano questa consapevolezza perché in cuor mio so che non è giusto. Che non si può mandare a puttane una relazione per l'incapacità di una donna di accettare le prospettive del proprio compagno. Non sono io la causa di tanto male, è stata lei e il suo egoismo, il suo non essere stata in grado di aspettarmi, di connettersi alle mie necessità e ai miei bisogni.

Ridammi indietro il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora