Walking through the past

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Percorrere di nuovo quei corridoi, affacciarsi dalle porte delle aule ed essere circondati da tutti quei giovani maghi, fieri nelle divise delle loro Case, risveglia in lui sentimenti contrastanti.

La sola vista del leone rampante sullo sfondo dorato e scarlatto gli riporta alla mente quei ricordi che un tempo erano i più belli di tutti. Rivede James che rincorre Lily, le sta dicendo qualcosa – probabilmente si sta scusando per l'ennesimo scherzo a Snivellus – ma subito dopo si incastra da solo e finisce come al solito per ricevere uno schiaffo dalla Evans.

E non appena Prongs si volta per tornare da loro, con la coda fra le zampe, Peter lo adula – come sempre – per il modo in cui ha messo un piede davanti all'altro per camminare o per il modo affascinante in cui ha respirato. James allora si scambia un'occhiata divertita con Sirius; ed in quel momento, appena accarezza con gli occhi dei ricordi i capelli corvini e troppo lunghi di Sirius, in cui affonda nei suoi occhi grigio cenere, Remus sente un dolore atroce al petto e l'immagine dei Malandrini svanisce, lentamente, come se non volesse lasciarla andare però trattenerla lì fosse troppo doloroso.

(«L'avete vista? È sicuramente innamorata, solo che non vuole ammetterlo perché è spaventata dai sentimenti burrascosi che la mia sola vista le suscita.» James era seduto sulla sua poltrona nella Sala Comune, quella che gli permetteva di poter controllare ogni momento della Evans senza che lei lo vedesse dalla sua solita postazione davanti alla finestra, dove chiacchierava ogni sera con le amiche, dando le spalle al caminetto davanti al quale c'erano sempre i Malandrini.

Gli altri tre annuirono, non ascoltando però una sola parola di ciò che stava dicendo. Peter era intento a scrivere due pergamene di Pozioni, la piuma che scriveva parole sopra alle quali veniva tirata una riga sopra subito dopo; Remus sgranocchiava una tavoletta di cioccolato per riprendere le forze che ancora gli mancavano dopo l'ultima luna piena; Sirius – fra un occhiolino ad una bionda e quello ad una mora – implorava il licantropo di dargli un quadretto della sua droga preferita.)

Lupin esce dal grande portone del castello e si aggira nel cortile come un'anima dannata costretta a rivivere la propria vita ma senza poterne più assaporare l'essenza e le sensazioni. Si avvicina al lago e quando ne scruta l'acqua non è il suo riflesso quello che vi trova, o perlomeno è lui, solo più giovane: ci sono meno cicatrici sul suo volto, gli occhi sono più luminosi e vitali, le guance non sono scavate quanto in quel momento ed il sorriso sul suo viso è sincero e spontaneo. Scuote la testa per scacciare quell'immagine che infonde malinconia nel suo cuore; alza lo sguardo ed in lontananza scorge il Platano Picchiatore agitare lentamente i suoi rami quasi spogli per cacciare via gli uccellini che vi si posano sopra.

(«Moony, forza, non essere noioso! Avremo tutto il tempo per studiare per i G.U.F.O.! Andiamo, è la nostra ultima possibilità dell'anno!» Remus sbuffò e annuì controvoglia, nonostante accontentarli fosse l'unica cosa che avesse veramente mai avuto intenzione di fare. I quattro corsero fuori e Peter si trasformò con rapidità, per zampettare fino al nodo del Platano e farli entrare all'interno della Stamberga Strillante.

L'ultima luna piena dell'anno scolastico, l'ultima possibilità di scorrazzare per la Foresta Proibita come se avere un lupo mannaro come migliore amico fosse una cosa normale. O forse era tutto per far credere a Remus che essere un lupo mannaro fosse normale e che andasse bene comunque.)

Ma forse la cosa peggiore di tutte, dell'essere ancora una volta lì, è vedere gli occhi azzurri dietro agli occhiali a mezza luna del professor Dumbledore. Lui che gli ha permesso una volta di entrare in quella scuola e che poi gliel'ha concesso anche la seconda volta.

Però non è quello, non è il fatto che per merito – o per colpa? – di Dumbledore sia ad Hogwarts, che rende tutto così doloroso, anzi, non avrebbe senso. Il problema è vedere i suoi occhi pieni di compassione che lo guardano ogni qualvolta si senta nominare Sirius Black, accompagnato dalle parole "famigerato pluriomicida". Dumbledore lo guarda e non può far altro che ricordargli tutto ciò che aveva e che adesso ha perso, perché Remus ormai non ha più niente e il vecchio preside lo sa fin troppo bene. Non lo guarda mai con pietà o compassione, non è quello il problema. Il problema è cogliere il rapido movimento di quelle iridi azzurre che saettano nella sua direzione, come se si aspettasse una qualche reazione. Ma poi, che reazione dovrebbe avere? Piangere, urlare, arrabbiarsi? Sono tutte cose che, in quei dodici anni, ha fatto in continuazione e ormai non ci sono più motivi per ripeterle. Ormai non è altro che un corpo che si muove meccanicamente, che torna ad essere il vecchio Remus Lupin solo quando scorge tra la folla di studenti la zazzera di capelli neri che lo fa tornare il giovane e brillante Grifondoro dei tempi della scuola e quegli stessi occhi verdi che l'hanno sempre fatto sentire parte della famiglia.

Walking through the pastWhere stories live. Discover now