Alba sulla scogliera

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La sera di San Lorenzo facciamo un gioco. La prima volta, quattro anni fa, l'abbiamo fatto per caso e ci siamo divertiti tanto che da allora lo facciamo ogni anno, sempre quella sera.

In zona balneare c'è una lingua di terra e di rocce che dalla linea della costa si protende verso il mare, formando quasi una penisola separata fatta di scogli più o meno piatti, bunker mezzi diroccati e antiche casette di pescatori dai tetti sfondati, cespugli di capperi e palme nane che crescono ovunque, occupano le case e nascondono i cunicoli intorno ai bunker.

Quando è notte e tutti sono a festeggiare comodamente in spiaggia, noi andiamo laggiù e giochiamo a nascondino, con la sola luce di piccole torce a guidarci. Alla fine della conta, chi si nasconde spegne la propria torcia e da quel momento in poi solo la squadra dei cercatori può usare la luce. Finisce sempre che nessuno vince ma tutti inciampano, si scontrano e si spaventano a morte a vicenda. È infantile e decisamente pericoloso, ma fa ridere, soprattutto se prima hai bevuto un po'.

Oltre le case, i bunker e la vegetazione c'è un banco di scogli piuttosto piatti, dove di solito non ci si avventura perchè lì non ci sono molti posti dove nascondersi e, quando il mare è grosso, il rumore delle onde è tanto forte che quasi non senti cosa ti dice il vicino. La gente non va a farci il bagno neppure di giorno, perchè prima e vicino alle case ci sono due piccole e comode spiagge riparate dal vento, mentre laggiù ci sono strane correnti ed è troppo scoperto. Stando lì si ha la sensazione di stare sulla prua di una nave senza alcuna ringhiera o scafo a proteggerti dalle onde. Fa paura.

Oggi, che non è ancora il 10 Agosto, è l'alba e il posto è ancora deserto. Ci sono venuta da sola, senza cellulare e dichiarando a casa di essere andata a correre al parco. Il mare è piatto e solo un debole sciaquio si leva dagli scogli sotto di me, mentre da dietro arriva il leggero fruscio delle piante e il fischio del vento che soffia attraverso le finestrelle dei bunker. C'è un punto, nella baia davanti ad una delle spiagge, in cui se ci si ferma a galleggiare nell'acqua alta si riesce a sentire a destra il mare contro gli scogli e a sinistra l'ululato basso del vento che corre lungo le pareti rocciose, i due suoni in tale perfetto equilibrio che ti pare di avere ciascun orecchio di una persona diversa. Quaggiù, invece, il mare si mangia ogni cosa.

Davanti a me c'è uno squarcio nella roccia, praticamente un buco nello scoglio, stretto e molto profondo. Una sorta di pozzo in fondo al quale non c'è acqua, forse perchè in quel punto la pietra arriva molto più in profondità che altrove. Faccio un altro passo e ora le punte dei miei piedi si stagliano sul nero del fondo. Più il sole sale e il cielo si rischiara più il buco è affogato nell'oscurità.

Se ci cado dentro non faccio nemmeno in tempo a spaccarmi le gambe sul fondo, perchè mi rompo prima la testa contro la parete. Se finisci qui dentro probabilmente non ne esci vivo. Mi siedo sul bordo, facendo penzolare le gambe nel vuoto.

Solo adesso mi chiedo veramente cosa ci sono venuta a fare qui, cosa sto facendo e cosa voglio fare davvero. E sento che ho il cuore a pezzi, come se in quel buco qualcosa di me fosse già caduto.

Questo pozzo col buio deve essere quasi invisibile, soprattutto in una notte come quella del prossimo San Lorenzo, in cui ci sarà appena uno spicchio di luna.

Però lo si vedrebbe ancora più difficilmente se fosse coperto.

Con uno di quei teli che ci sono nel bagagliaio, ad esempio. Quei teli che mio padre ha usato un secolo fa per chissà cosa e che si è dimenticato lì dentro. Non hanno un colore simile a questi scogli?

Se uno di quei teli fosse steso sopra il buco, tenuto fermo con qualche sasso poggiato sui bordi, per chi non sapesse della sua presenza sarebbe veramente difficile vederlo. Anche alla luce di una torcia.

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