Limite di sopportazione

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Quello stramaledetto campanello cominciò a suona­re proprio nello stesso istante in cui July entrava in ufficio.
Il suo capo era già di là nel suo regno di carte ammuffite nelle quali si immergeva da chissà quale ora del mattino. Da quando era stato nominato Re­sponsabile Organizzativo  della Industrial Global Rivestiment, il dottor Vaeras si comportava come un despota.
Prima di arrivare in quell'ufficio lavorava in una sede distaccata fuori città, ma nessuno si sa­rebbe mai immaginato che avrebbe fatto carriera.
Poi un giorno, l'ex capo di July fu chiamato a sostituire il Direttore generale e Vaeras era, pur­troppo, il suo naturale sostituto. Erano oramai tre mesi che July cercava di ambientarsi, ma la cosa cominciava veramente a farsi molto complicata. Riu­sciva ad inventare delle cose assurde e si autocon­vinceva che erano delle cose fantastiche.
July non ne poteva più di passare per la defi­ciente di turno; tutte le volte che July si accor­geva che il dottor Vaeras stava sbagliando qualche cosa oppure gli era sfuggito qualche particolare lui la riprendeva immediatamente: " Ma come? Miss July non  mi sono  spiegato bene?  Se c'è  un erro­re questo lo  ha  commesso lei e certamente non io".
Tutti i santi giorni non faceva altro che inven­tare stronzate per poi trascriverle su dei lerci fogli di carta impregnati del suo odore di sudore che portava sempre con sè. Quei manoscritti maleo­doranti portavano degli strafalcioni grammaticali da far paura ma lui imperterrito "Miss July se le scrivo in  quel modo vuol dire che è giusto così, non discuta".
Tutte le volte che il campanello suonava lui la voleva di là per dargli delle nuove cazzate a prov­vedere. Quando c'era il dottor Finger era tutta un'altra musica, era un piacere lavorare con lui, ora invece venire al lavoro stava diventando un supplizio. La IGR si occupava di forniture di arre­damenti per l'ufficio. Operava nel settore da circa trent'anni con notevole successo.
Lo stabilimento era fuori città e in quello sta­bile di recente costruzione vi erano gli uffici am­ministrativi e una discreta esposizione del loro campionario; in tutto circa una sessantina di per­sone lavoravano sui tre piani di quell'edificio in­teramente occupato dalla IGR Ltd.: Otre al diretto­re organizzativo e July, vi erano altri sei impie­gati al terzo piano addetti alla contabilità; tre portieri, dieci uomini delle pulizie; venti persone addette all'allestimento degli stand espositivi e altrettanti addetti alle vendite con il compito di contattare i vari clienti e sottoporgli alcune pro­poste di acquisto.
Il compito del dottor Vaeras era quello di gesti­re ogni settore dello stabilimento, ma quello che dal suo arrivo cominciò a fare non c'entrava asso­lutamente nulla. Iniziò prima col fare un inventa­rio del materiale di cancelleria "Dottore forse è il caso di farlo su tutto il materiale, non solo per la cancelleria" osò suggerire July, "No, prima la cancelleria perchè è la base per l'ufficio poi tutto il resto"; questa fu una delle tante frasi degni da essere inserite nel "Guinness degli psico­patici".
Poi cercò il modo di cacciare ogni animale che attraversava i cortili dell'azienda, procurandosi le ire di tutte le associazioni per la protezione degli animali; infine toccò alla storia degli oro­logi: siccome non vedeva bene i numeri sugli orolo­gi digitali, fece acquistare cinquanta orologi del diametro di sessanta centimetri da applicare in o­gni corridoio per sapere sempre che ore sono.
Vaeras era diventato lo zimbello di tutti, ma per July era molto peggio, lo vedeva otto ore di filata ogni giorno e ne sorbiva ogni rivolto. Il campanel­lo suonò di nuovo, sembrava che avesse una teleca­mera nascosta per vedere quando July arrivava, op­pure continuava a suonare tutta la notte chiedendo­si come mai non c'era  nessuno nell'ufficio di July: era possibile anche questo!
"Cavolo, ma sono appena arrivata e non sono nem­meno le otto", pensò July mentre stava appoggiando la sua borsa sul davanzale vicino alla finestra.
Si sistemò la camicetta e la gonna, si toccò i capelli; era molto bella, bruna, occhi verdi; por­tava un paio di occhiali che le davano la parvenza di una donna matura, ma aveva solo trentaquattro anni.
Voleva uscire dall'ufficio e andare a farsi un giro per i dieci minuti che mancavano alle ore ot­to, ma decise che forse era meglio sorbirsi le as­surdità del giorno subito al mattino, forse a mente fresca si sopportano meglio. Oltretutto era lunedì mattina, quindi dovrà riferire su tutti i pensieri della domenica. Vaeras era infatti scapolo, oramai aveva i suoi quarant'anni e quell'individuo avrebbe dovuto cominciare seriamente a pensare che il celi­bato sarà il suo status fino alla sua morte, ma forse a lui stava bene così.
July aprì la porta dell'ufficio di Vaeras ed entrò - Buongiorno dottor Vaeras -.
-Era ora che venisse e mezz'ora che suono ! - sbraitò.
- Ma dottore sono le otto meno dieci - cercò di spiegare July in modo molto delicato.
- Voi impiegati siete tutti quanti uguali, appena c'è da lavorare un po' subito fate le questioni di orario. Va bene, ma vedrete quando chiederete  qualche cosa.  Comunque prende un foglio e si sieda che ho da dirle un paio di cose-.
July aveva già in mano il block-notes, lo faceva sempre prima di andare in ufficio dal suo capo, ma lui tutte le volte ripeteva "prenda un foglio" e July avrebbe voluto sbatterglielo in faccia e dir­gli "guarda brutto stronzo quanti fogli ci sono", ma era troppo educata per farlo anche se da qualche tempo doveva prendere dei tranquillanti per dormire la notte e sua madre non era per niente contenta del suo stato di salute.
- Allora vediamo un po': quanti dipendenti ci so­no nell'azienda? - chiese Vaeras.
- Ottantasette ! - rispose sicura July.
- Voglio che controlli personalmente, non mi fi­do- disse senza badare agli sputi che gli uscivano dalla bocca ogni volta che alzava la voce.
- Ma dottore ho controllato proprio ieri -.
- Ieri non è oggi, vada di là e controlli, l'a­spetto tra un'ora -.
- Mi ci vorranno due giorni per verificare tutte le persone, controllare le date di nascita, gli in­dirizzi, i numeri di telefono, le date di assunzio­ni, i contributi versati - disse July.
- Lo sapevo non si può mai contare su nessuno che ti mette sempre i bastoni tra le ruote, vada di là e cominci a lavorare poi vedrò -.
Uscì dall'ufficio, erano le otto e due minuti, peggio di così la mattinata non poteva incomincia­re. July era una ciminiera, si stringeva le mani nell'intento di sfogare la rabbia che gli stava sa­lendo lungo quel suo corpo stupendo che Vaeras mai si era neppure sognato di osservare. Camminava ve­locemente nel suo ufficio, era agitatissima: decise di prendere una delle sue pastiglie di Novirex, l'avrebbero sicuramente calmata; frugò nella bor­setta e andò verso il bagno, aprì il lavandino, riempì un bicchiere e ingoiò la pillola.
Non fece  in tempo a tornare in ufficio che il campanello suonò di nuovo; July se ne accorse men­tre stava passando davanti alla porta dell'ufficio di Vaeras ed entrò immediatamente: - A che punto è Miss July? -
- Ma dottore sono appena uscita ....stavo - si giustificò.
- Si, va bene oramai lo so che non ha voglia di fare niente, mi porti per un bicchiere di acqua to­nica e si sbrighi-.
- Mi scusi ma non c'è il bar nell'azienda -.
- E allora ? Esca, vada dove vuole ma io voglio un bicchiere di acqua tonica entro cinque minuti altrimenti la sospendo dal servizio -.
July avrebbe voluto scaraventargli addosso qual­che cosa, ma forse la pastiglia stava già facendo effetto ed uscì dall'ufficio senza dire una parola.
Prese degli spiccioli dal portafogli e uscì dall'ingresso principale per cercare un bar. Fortu­natamente proprio a due isolati ce n'era uno ben fornito; entrò e chiese una lattina di Schewps e un bicchiere capiente, avrebbe poi riportato tutto nel pomeriggio. Il cameriere non fece storie, ogni tan­to July andava a prendere un caffè e lui sapeva do­ve avrebbe potuto ritrovarla.
Mentre stava facendo ritorno nel suo ufficio, Ju­ly cominciò a pensare a quel gusto intenso e pasto­so dell'acqua tonica, talmente gasato da nascondere i sapori più schifosi, anche se ci fosse stata den­tro della merda sarebbe sembrata dolce e gasata al punto giusto. Un pensiero percorse la mente di Ju­ly: e se ci fosse nascosto del veleno nel bicchiere per Vaeras?
Certamente non lo avrebbe sentito e sarebbe anda­to al creatore senza fare nemmeno una piega. July cercava di togliersi quel pensiero dalla mente, ma non ci riusciva. Ogni passo che faceva verso quel maledetto ufficio un senso di nausea gli saliva su per lo stomaco e la voglia di fargliela pagare cre­sceva sempre di più.
"Non devo pensare a queste cose" cercava di con­vincersi July, ma la tentazione era veramente tan­ta. Alla fine arrivò ad un compromesso: "se mi fa un'altra sgarberia prima che gli porti questo schi­fo di bibita, gli faccio uno scherzo che se lo ri­corderà per sempre".
Non fece neppure in tempo a mettere piede nella portineria dell'azienda che Jeff gli disse, - Guar­da che il tuo capo ti avrà cercata almeno cinque volte, ma dove sei finita ? -.
- Vai a farti fottere ! - rispose July con uno sguardo che non prometteva niente di buono. Jeff la guardò allontanarsi verso l'ascensore che l'avrebbe portata al piano di sotto, ma non riconosceva più lo sguardo della dolce e cara July, il suo volto era segnato dalle sopracciglia inarcate e le labbra tirate: aveva oltrepassato il limite di sopporta­zione.
Fosse stato un uomo si sarebbe potuto dire che ne aveva le palle piene, ma per lei forse era ancora troppo poco: dieci anni di esperienza tra studi di avvocati ed al servizio di tutti coloro che erano poi diventati i direttori generali della IGR; cono­sceva a memoria gli schemi di tutti i contratti di vendita della società, conosceva e parlava corret­tamente due lingue, utilizzava discretamente sia Personale Computer che terminali; "e questo defi­ciente di Vaeras si permette di trasformarmi nel giro di tre mesi nella sua cameriera più pezzente oppure in una bambola di pezza che poi puoi offen­dere e picchiare senza che si ribelli minimamente; ora basta non ne posso più".
Quel pensiero circa il sapore dell'acqua tonica era entrato definitivamente nella sua mente; sem­brava anzi che ci fosse sempre stato ma nessuno era stato mai in grado di esasperarla fino a quel pun­to. Con grande tranquillità arrivò in ufficio, pre­se la sua borsetta e sfilò tutte le pastiglie di Novirex dal contenitore: erano trentadue.
Sul foglio c'era scritto "Posologia - non supera­re rigorosamente le cinque pastiglie al giorno".
July pensò subito "E' fatto, ne metto trentadue e lo spedisco al creatore", ma a questo punto la sua mente cominciò a macchinare peggio di un frullatore e ne scaturivano idee macabre a non finire.
- No mio bello non devi morire subito devi subire delle sofferenze atroci, delle umiliazioni e poi forse morirai -.
Ridusse così a dieci le pastiglie; le frantumò usando un ferma carte, poi versò il tutto nel bic­chiere. Strappò il nastro metallico che sigillava la lattina di Schewps e la versò nel bicchiere so­pra la dieci pastiglie sbriciolate.
La polvere bianca si dissolse e le bolcione sal­tellavano a più non posso fino all'orlo del bic­chiere. Ora era pronta per andare da Vaeras, con quel bel bicchiere avrebbe dormito pesante per al­meno quindici ore.
Bussò alla porta ed entrò col bicchiere in mano.
- Signorina vorrebbe spiegarmi dove è andata ?-.
- A prendere la sua acqua tonica dottore - rispo­se July con fare dolcissimo.
- E chi le ha detto di lasciare incustodito l'uf­ficio ?-.
- Mi scusi dottore è stata una mia mancanza - ri­spose mentre nella sua testa il sangue stava pul­sando a velocità incredibile; "come cavolo facevo a prendere quel cacchio di acqua tonica ed essere contemporaneamente in ufficio, brutto stronzo" pensò July mentre le sue labbra mostravano un sor­riso smagliante.
- Miss July lei mi sta deludendo sempre di più, non so come abbia fatto il dottor Finger a soppor­tarla per tutto il tempo che è rimasto qui -.
- Ecco la sua acqua tonica - disse porgendogli il bicchiere.
- Forse lei andrebbe bene a fare la barista, non ci ha mai pensato, potremmo aprire un servizio e­sclusivo per i nostri dipendenti? -.
- Ottima idea dottore Vaeras, sono a sua disposi­zione -"bevi quel dannato bicchiere e ti faccio ve­dere io cosa ti combina la tua barista"-.
E Vaeras cominciò a bere. July ebbe un attimo in cui pensò che il sapore delle Novirex in polvere si fosse sentito, ma quella latrina di uomo ingurgitò tutto fino all'ultima goccia. Poi diede il bicchie­re a July e la rispedì con malomodo nel suo ufficio -cosa ne dice se adesso comincia a lavorare, eh?-
- Certo dottore, vado subito - e uscì dalla stan­za richiudendo la porta alle sue spalle.
Aveva preventivato di potersi pentire di quel ge­sto non appena lo avesse fatto, ma visto come l'a­veva trattata anche in quell'ultima occasione era ancora più convinta di prima anzi, sicuramente non si sarebbe fermata lì.
Doveva passare un po' di tempo perchè le Novirex facessero effetto; di solito ci vuole circa un'ora, ma July ne prendeva due, quindi per il maiale  ser­viva all'incirca lo stesso tempo date le dimensio­ni.
Erano le otto e quarantacinque, decise che alle dieci avrebbe provato ad entrare nel suo ufficio.
Quei sessantacinque minuti che la dividevano dal vedere stramazzato sulla scrivania quel maiale di Vaeras, furono i migliori degli ultimi dieci anni. Erano un misto tra libidine e sadismo acuto condito con una gran voglia di vendetta. July canticchiava, sorrideva, rispondeva al telefono con la dolcezza di qualche anno prima, passava le telefonate al suo capo e incassava senza battere ciglio le parole di fuoco che proferiva nei suoi confronti.
Alle dieci meno cinque arrivò una telefonata del dottor Finger; voleva Vaeras, July glielo passò ma non rispose: - dottor Finger? Mi spiace ma ha la­sciato un messaggio sulla scrivania e mene sono ac­corta proprio ora, c'è scritto che tornerà solo do­mani -.
- Non importa gli dica soltanto che ho telefona­to, arrivederci ! -.
- Arrivederci dottor Finger -
Aveva sparato una bella balla grossa come una ca­sa, ma quello che la lasciò ancor più stupefatto era che lo aveva fatto spontaneamente, come se fa­cente già tutto parte di un disegno prestabilito.
Il fatto che non avesse risposto al telefono era il sintomo che Vaeras si era addormentato perciò decise di andare a vedere. Andò verso la porta, cercò di origliare nel tentativo di sentire qualche rumore, ma non sentì nulla. Il cuore gli batteva a cento all'ora, ma prese ugualmente coraggio e bussò: ma non rispose nessuno. Appoggiò la mano sulla maniglia, fece forza premendo verso il basso ed entrò: - Permesso ! -.
Varcata la soglia vide la scena che già era im­pressa da tempo nella mente di July. Quell'uomo di circa quarantacinque anni, carnagione olivastra, odore fetenziale, non grasso ma ben messo era steso sulla scrivania con una stilo nella destra e la sua agenda piena di disegnini e di geroglifici sotto la faccia.
Le sembrava un miracolo che non blaterasse una delle sua  cavolate quotidiane; ora stava dormendo profondamente: tutto come prestabilito.
Ma July non era soddisfatta anzi ora era più in­cavolata che mai.
- Ah, dormi pure brutto stronzo, ma adesso ti sveglio io ! -
Chiuse subito la porta dell'ufficio, aprì uno dei cassetti della scrivania di Vaeras e prese le for­bici. Avrebbe voluto conficcargliele nello stomaco per fagli uscire quello schifo di budella che teneva dentro ma non era il momento. - Ho rispetto del pa­vimento - disse July.
Usò le forbici per tagliare la corda che faceva scorrere le tendine sulle finestre dell'ufficio, in tutto circa dieci metri di corda. Si diresse verso Vaeras e lo sollevò all'indietro portandogli la braccia il più possibile dietro lo schienale.
Prese la corda e ne fece un cappio e lo passo sulla testa di Vaeras; fece penzolare la corda per circa un metro sullo schienale e taglio il pezzo. Con il rimanente legò mani e piedi con un unico pezzo di corda e lo unì infine con il pezzo penzo­lante del cappio. Sembrava un salame e per di più un salame a cui conveniva stare diritto se non vo­leva strozzarsi da solo.
July aveva visto legare le persone in quel modo nei film, alla televisione e per essere la prima volta se l'era cavata davvero bene. Poi prese dei fogli di carta strappandoli dall'agenda, li stro­picciò per bene e cominciò ad infilarli nella bocca di Vaeras che ad ogni foglio sembrava assumere sem­pre più l'aspetto di un maialino. July rimirò quel suo capolavoro al quale non mancava altro che sve­gliarsi per vedere che faccia avrebbe fatto.
Per un attimo July pensò che se Vaeras si fosse svegliato e l'avesse vista davanti a sè, non solo non avrebbe più fatto l'impiegata, ma neppure la barista ! Ma a July ciò non importava un bel nien­te, il gioco era iniziato e non si sapeva ancora chi avrebbe vinto, le interessava soltanto che il suo capo si svegliasse, ma con quella dose di son­niferi in corpo era un po' difficile a breve sca­denza a meno che non venga stimolato.
Pensò immediatamente a qualche sistema e la sua mente si soffermò su qualcosa che la fece prima sorridere e poi andare di corsa fuori dall'ufficio.
Andò verso la sua scrivania, sempre pulita e in ordine ed aprì un cassetto: vi erano all'interno degli aghi lunghi circa dieci centimetri, si era sempre chiesta a cosa servissero quegli enormi spilloni ed ora forse lo aveva scoperto.
Erano aghi sottilissimi ma d'acciaio, assomiglia­vano a quelli per l'ago-puntura.
Si assicurò che non vi era nessuno nel corridoio ed entrò nell'ufficio di Vaeras; lei era sempre la con il collo a penzoloni ingabbiato nel cappio e le mani e i piedi immobilizzati. July si avvicinò a lui prese nella destra uno degli aghi lo mise vici­no alla coscia destra in posizione verticale con la punta rivolta verso il tessuto dei pantaloni e co­minciò a premere piano con le dita.
La punta penetrò nella carne senza rompersi sino a quando non incontro la struttura ossea del femore e fu costretta a fermarsi, ma era già sufficiente.
Il corpo di Vaeras fece un sobbalzo, ma non si svegliò, allora July fece altrettanto sulla coscia sinistra facendo penetrare la punta ancora più len­tamente. Ora dalle due coscie usciva del sangue la macchia andava formandosi sul tessuto dei pantalo­ni.
July prese un altro ago e lo infilò nell'avam­braccio destro; Vaeras sembrava svegliarsi ma solo dopo che glielo infilò anche su quello sinistro aprì lentamente gli occhi.
- Finalmente si è svegliato dottore!-.
Vaeras si guardò attorno con aria smarrita, sentì i dolori alle coscie salirgli fino al cervello e fece una smorfia di dolore.
- Oh, poverino ti fa male vero ?-.
Vaeras fece dei mugugni che altro non volevano dire se non "legami subito e poi facciamo i conti piccola deficiente".
July diventò scura in volto, preparò un altro ago e si avvicinò minacciosa verso il faccione di Vae­ras quasi fino a baciarlo: - Tu brutto stronzo a­desso te ne stai zitto ed ogni volto che ti sento mugugnare ti infilo uno di questi, hai capito o te lo devo spiegare di nuovo!-
Vaeras fece un mugugno che poteva essere inter­pretato come un cenno di assenso, ma July non lo interpretò in quel modo e cominciò a premere l'ago in pieno stomaco. Questa volta penetrò tutto, non incontro nessun ostacolo e July si assicurò per be­ne che non rimanesse nulla all'esterno.
- Oh, scusa mi è scivolato tutto dentro - disse ironicamente, mentre Vaeras stava sudando freddo ed il dolore si faceva lancinante.
Diede un occhiata all'orologio, erano quasi le undici.
Dalla camicia di Vaeras, poco sopra la cintura, cominciava ad uscire dell'altro sangue; il suo vol­to era una maschera di sofferenza ma il suo sguardo era ancora troppo carico d'odio. July se ne accorse me lo stava scrutando passeggiando davanti alla sua scrivania.
- Vedo che non hai ancora abbassato la cresta; non ti preoccupare che imparerai se vorrai soprav­vivere -.
Dalla bocca cominciavano ad uscire piccoli pez­zetti di carta; stava cercando di svuotarla il più possibile per cercare di gridare aiuto, o forse semplicemente sbraitare ancora di più contro quella segretaria psicopatica oltre che inefficiente. July si avvicinò minacciosa, vide le forbici appoggiate sul tavolo: erano di quelle usate poco prima per tagliare la corda delle tendine; erano lunghe alme­no venti centimetri, con le lame super affilate.
Portò le punte vicino al labbro di Vaeras, infilò la lama nella sua bocca. Le dita della sua mano de­stra cominciarono ad avvicinarsi e con esse le due punte della forbice stavano per congiungersi impri­gionando lungo il loro percorso la carne sulla guancia di Vaeras. July fece ogni movimento lenta­mente, molto lentamente: Vaeras stava per svenire ma il suo orgoglio ebbe ancora il sopravvento. La lama cominciò a tagliare il l'estremità destra del labbro ed un fiotto di sangue sgorgò immediatamente da quella piccola apertura. In quel preciso istante squillò il telefono; July si bloccò, ritirò le for­bici riappoggiandole sul tavolo.
- Aspetta un attimo solo e torno subito - e uscì dall'ufficio ricomponendosi la capigliatura.
Si accorse che nel corridoio che portava agli uf­fici c'erano delle persone che stavano attendendo d'entrare nell'ufficio di Vaeras. Il telefono con­tinuava a suonare; il panico stava per avere la me­glio nella mente di July; sospirò e con la solita lucidità che aveva caratterizzato le mosse delle ultime tre ore, sfoderò un sorriso smagliante e dis­se: - Avete per caso un appuntamento con il dottor Vaeras?- chiese ai tre signori distinti che sicura­mente dovevano essersi accordati per incontro verso le undici .
- Sì dovremmo incontrare il dottore alle undici- rispose quello  che doveva essere il capo delega­zione.
- Sono spiacente ma il dottor Vaeras non può ri­cevere in questo momento; ha rimandato ogni incon­tro a settimana prossima, c'è stato un imprevisto e non può ......-.
- Signorina, mi scusi ma è un mese che la mia so­cietà ha preso questo appuntamento -.
- Lei ha ragione, ma come può comprendere non di­pende da me, se potessi l'aiuterei ma non è nelle mie possibilità - mentì July compiacendosi per la nuova balla sparata.
- Io la ringrazio per la sua disponibilità ma faccia presente al suo capo che questo ritardo man­derà a monte un affare di migliaia di dollari, glielo dica - disse scaldandosi il capo dei tre probabili ex clienti.
Il telefono continuava a suonare e July sentiva alcuni movimenti nell'ufficio di Vaeras; attese che i tre si allontanassero, poi rispose al telefono e liquidò la telefonata con un "spiacente ma il dot­tore non è in ufficio, riprovi settimana prossima". Ci vollero circa venti minuti per smaltire tutti gli appuntamenti che erano programmati per quella mattinata. July completò l'opera telefonando a tut­ti gli appuntamenti del pomeriggio e inventando per ognuno una scusa diversa.
Verso mezzogiorno riuscì a terminare l'opera e torno nell'ufficio di Vaeras; aprì la porta ed entrò.
Vaeras non c'era; July ebbe un sussulto, si guardò attorno, non vide nessuno. Sentì dei rumori nella  stanza ma non riusciva a capirne la prove­nienza. Le venne un sospetto, non vide neppure la poltrona sulla quale doveva essere legato. Si piegò sulle ginocchia per osservare la stanza da una pro­spettiva diversa.
Vaeras era là, disteso per terra, rovesciato su fianco della poltrona e disperatamente impegnato a tentare di slegarsi ma senza successo. Le ferite facevano un male incredibile, in più nella caduta l'ago conficcato nella coscia destra si era spezza­to e la parte di esso conficcato nella carne era penetrato completamente.
July si avvicinò, fece il giro della scrivania, si chinò, vide che stava cercando di liberarsi le mani; diede allora uno strattone al cappio che scendeva lungo la schiena e si congiungeva con la corda che  teneva legate le mani. Vaeras fece un mugugno, era l'ennesima sofferenza che doveva pati­re.
- Stavi cercando di liberarti? Quindi non sei an­cora convito di aver perso vero?- Gli urlò in fac­cia. Prese degli altri fogli di carta, li stropic­ciò e cercò di infilarglieli in bocca. La ferita sul labbro si stava allargando sotto la pressione della carta che continuava ad entrare. July presa dalla foga non si accorse che non poteva più inse­rire e fece avere a Vaeras degli urti di vomito.
- Zitto bastardo dei volo soffrire, hai capito - gli urlò dietro senza capire il vero motivo del la­mento.
Appena cessarono gli urti di vomito, July comin­ciò a parlare con tono molto serio ed allo stesso tempo terrificante:
- Allora caro dottore, mi ascolti bene. Lei mi ha rovinato la vita nel giro di qualche ma io vedrò di fare altrettanto con lei. Oramai ho soltanto un'al­ternativa davanti a me per evitare le sue ritorsio­ni: devo ucciderla mio caro bastardo ! Vede se la lascio in vita le mi rovinerà la vita mentre invece se io la uccido salverò la mia e contemporaneamente mi leverò una grande soddisfazione -.
Vaeras era pietrificato dal dolore; quelle parole non le riuscì nemmeno a sentire, le ferite si face­vano sentire e il buco che oramai aveva nello sto­maco lo stava trapassando da parte a parte.
July aveva la mente oramai accecata dall'odio, vedeva la sua preda ferita e voleva chiudere la partita. Si avvicinò al corpo ancora disteso per terra, inforcò le forbici e rimise la lama nella bocca di Vaeras. Questa volta non titubò, premette con violenza usando l'altra mano per aiutarsi e chiuse le due lame.
Sulla guancia destra si aprì un taglio di circa dieci centimetri; la pelle penzolava lungo i bordi della ferita e si intravedeva chiaramente la denta­tura inondata di sangue.
Vaeras svenne dal dolore, July era presa dal suo nuovo lavoro che non se ne accorse, oramai la fol­lia aveva preso il sopravvento, non era più lei ad agire ma tutte le ingiustizie che una ad una chie­devano di essere liquidate. Ed eravamo solo all'i­nizio. Quelle forbici in mano a July facevano sem­brare il corpo di Vaeras come un foglio di carta sul quale fare le prove per creare un cartamodello.
Afferrò con le dita della mano sinistra l'orec­chio destro di Vaeras e con la destra affondo le lame della forbice nella cartilagine. Fu più facile che tagliare il burro, l'orecchio venne via con una facilità estrema. July si accorse che puzzava e im­precò contro l'igiene del suo paziente e per puni­zione gli staccò anche l'altro orecchio. Vaeras si mosse ancora, sembrava svenire con un dolore e rin­venire con un altro, sta di fatto che ora era dav­vero a pezzi.
Ma July non era ancora sazia di quello che gli aveva fatto. Vide un accendino sulla scrivania, lo prese e lo accese. La fiamma non era molto alta; girò la rotellina e questa diventò alta circa dieci centimetri. Uscì  dall'ufficio e vi tornò poco dopo con una decina di  bottiglie di alcool in sacchet­to.
Ogni settimana la squadra delle pulizie gliene lasciava una per l'inchiostro o altri inconvenienti sulle scrivanie; July però era molto precisa e dif­ficilmente sporcava il suo banco di lavoro e per­tanto la scorta di alcool si era fatta consistente, ma anche questa collezione avrebbe avuto il suo me­rito, ora lo aveva scoperto.
Tagliò con le forbici tutti i cappucci delle bot­tiglie e cominciò a versare l'alcool su tutto il corpo di Vaeras provocando un bruciore lancinante alle ferite. Svuotò tutte dieci le bottiglie, il corpo era in un lago di alcool e Vaeras non aveva forse inteso cosa aveva voglia di fare questa volta la sua amata segretaria, ma lo capì immediatamente non appena azionò l'accendino.
La fiamma scattò immediatamente, si piegò sulle ginocchia e guardò in faccia il suo capo: - Non hai caldo ? - e gettò l'accendino sul corpo di Vaeras allontanandosi di scatto.
Una fiammata si levò dal suo corpo subito invaso dalle fiamme; July si sedette sulla mensola del da­vanzale e godersi lo spettacolo. Le finestre dell'ufficio erano chiuse ermeticamente come la porta d'entrata del resto, il pavimento era in ce­ramica e le pareti non avevano nessun elemento in­fiammabile.
Le uniche cose che potevano prender fuoco erano la scrivania, il suo legno era troppo grande per essere acceso e la poltrona di Vaeras, che stava già cominciando a bruciare, oltre al suo padrone naturalmente. Le fiamme ricoprirono l'intero corpo di Vaeras senza che lui potesse fare il minimo cen­no di reazione; neppure un grido la bocca sembrava esplodere dalla forza con cui cercava di espellere la carta che occludeva l'uscita. Il fuoco cominciò arrivò anche sul volto e la carta che sporgeva dal­le labbra fu la prima ad incendiarsi. Il corpo era diventato una torcia, la poltrona stava bruciando assieme a Vaeras, anche se stranamente il fuoco era sotto controllo.
Sembrava che July avesse fatto le prove per que­sto momento per chissà quanti mesi prima di mettere a punto questa esecuzione incendiaria. Ora stava godendo di quel rogo, vedeva in quel gesto la giu­sta ricompensa per quell'essere spregevole che le aveva rovinato l'esistenza e forse ora anche il cervello.
Il corpo continuò a bruciare per circa tre quarti d'ora, nessuno telefonò in quel mentre; aveva di­sdetto tutti gli appuntamenti e nell'azienda nessu­no si sarebbe mai sognato di venire nel corridoio di Vaeras senza essere stato autorizzato, non sa­rebbe andato del posto di lavoro.
Quando le fiamme cominciarono a calare andò a sincerarsi di persona di quello che stava accadendo fuori dall'ufficio. Mise la testa fuori, per non far uscire del fumo che avrebbe forse insospettito qualcun; non vide nessuno. Aprì la porta rapidamen­te e la richiuse: controllò le guarnizioni della porta e vide che erano ottime: erano fatte per l'a­ria condizionata e non facevano passare nulla all'esterno.
Nel corridoio non vi era alcun odore, la parete contro la quale si era sprigionato il calore mag­giore del fuoco, dava sul bagno personale di July, pertanto tutto era sotto controllo. Era incredibile come fosse stato coì facile sbarazzarsi del capo: alle otto rompeva, ora non romperà più, mai più!
Tornò nell'ufficio, si avvicinò alla zona dove un'attimo prima ardeva il corpo di Vaeras: era ir­riconoscibile. La poltrona si confondeva con il suo corpo; erano di un marrone intenso, non si vedeva sangue ma pezzi di ogni genere erano sparsi nell'arco di un paio di metri. Probabilmente nel bruciare le corde si erano si rotte ma il suo corpo era ormai allo stremo per tutte le altre ferite che il massimo del suo raggio di azione si limitò a quel breve arco.
Non sembrava esseri forma di vita, Vaeras era ve­ramente morto stecchito; July c'era riuscita.
Si inginocchiò per accertarsene, cercando di ca­pire quale fosse la testa tra tutti questi resti informi, quanto la massa si mosse improvvisamente.
July cacciò un urlo e scattò all'indietro oltre la scrivania. Come diavolo avrà fatto a non essere ancora morto, non lo sapeva, certamente ora una co­sa sola le era chiara: non poteva lasciare proprio adesso il lavoro a metà. Bisognava finirlo defini­tivamente ed in un modo inequivocabile.
July si riprese dopo qualche minuto: - Brutto ba­stardo, sei quasi morto e continui a perseguitarmi, adesso hai veramente esagerato ora ti distruggerò definitivamente a costo di star qui tutta la notte-.
Nella mente di July si era accesa una lampadina ancora più intensa di quelle che le avevano sugge­rito le mosse precedenti,  voleva fare sul serio quello che aveva detto.
All'interno dell'ufficio di Vaeras c'era un'altra porta: era il bagno privato di Vaeras. July la aprì. Era un bagno molto piccolo, con lavandino, water e bidè tutti nello spazio di un metro e mezzo quadrato circa. Accese la luce poichè non vi erano finestre, diede un occhiata, poi tornò indietro e ando nel suo ufficio; torno dopo qualche istante con una taglierina per la carta e un paio di forbi­ci lunghe almeno trentacinque centimetri.
Appoggiò la taglierina per terra accanto al corpo di Vaeras e la liberò da congegno in plastica che ne permette l'utilizzo solo per risme di foglio al­te non più di mezzo centimetro. Ora la grande lama era utilizzabile come una mannaia.
- Adesso sai cosa ti faccio mi caro e bel dotto­re? Ti faccio fare un viaggio in metropolitana, la metropolitana del cesso. Vedi, siccome tu sei sem­pre stato una merda ora farò in modo che tu lo re­sti per sempre. C'è solo un piccolo problema, per fare questo viaggio ti dovrai stringere un pochino, ma non ti preoccupare la tua July si preoccuperà di ­tutto.
Detto questo scostò dal corpo i resti della pol­trona per essere certa di lavorare solo sul corpo di Vaeras si mise in ginocchio e comincio rovistare con le mani nei resti ancora caldi. Sembrava di af­fondare le mani nel fango incontrando ogni tanto della materia più solida che probabilmente corri­spondeva al residuo di qualche osso parzialmente integro.
July con grande sicurezza strappo dei pezzi di carne bruciata riempiendo il pugno sia della mano destra che della mano sinistra. Si alzò e andò ver­so il bagno, con il piede destro sollevò il coper­chio del water e vi gettò prima il contenuto della mano destra e poi quello della sinistra.
Aprì la manopola dell'acqua che cominciò a scen­dere lungo le pareti bianche, portando via con sè quella porzione del corpo vi Vaeras. I pezze fecero un po' fatica, ma July aiutandosi con lo scopino, con il quale secondo July Vaeras si lavava i denti visto il suo alito, non ebbe nessun problema.
July lasciò scorrere l'acqua e percorse moltissi­me volte il tratto dal corpo di Vaeras al water e la cosa funzionava a meraviglia: strappa, getta, aiuta con lo scopino e buon viaggio Vaeras!
Oramai non si poteva più dire che il corpo di Vaeras era nell'ufficio, a parte dei pezzi partico­larmente grossi che dovevano essere necessariamente ridotti prima di fargli affrontare un viaggio.
July li mise ad uno ad uno sotto la lama e calò con violenza la manopola. Non incontrò particolare resistenza poichè il fuoco aveva già indebolito no­tevolmente la consistenza di quegli avanzi di Vae­ras.
Raccolse i risultati di quell'ultima segmentazio­ne e li gettò uno ad uno nel water che sembrava co­me la bocca di un cannibale affamato. Usò lo scopi­no per ripulire il water dagli schizzi provocati dai resti più melmosi poi, quando tale opera di pu­lizia la soddisfò chiuse la manopola dell'acqua e sorrise compiaciuta:
- Spiacente, il dottor Vaeras è uscito ...... dal cesso però ! - e rise.
Erano quasi le tre, non si era accorta neppure di non aver pranzato. C'era un bel macello in quell'ufficio. La prova principale l'aveva elimina­ta e sarebbe stato molto difficile scoprire in bre­ve tempo che fine avesse fatto il cadavere di Vae­ras.
Rimaneva solo da ripulire quell'ufficio e toglie­re ogni possibile traccia che avrebbe potuto con­durre a lei. C'era quella poltrona a pezzi che a­vrebbe creato problemi e i segni di bruciatura sul­la parete, sul pavimento e sulla scrivania. Tutte il resto avrebbe potuto pulirlo ma quei tre parti­colari erano veramente degli ostacoli apparentemen­te insormontabili.
Ora July sembrava essersi calmata, non aveva più quello sguardo omicida che si era creato sul volto nella mattina di quel giorno memorabile. Era come una bambina svegliata bruscamente da un incubo, so­lo che il sogno si era realizzato ed ora si trovava in un bel guaio.
I suoi occhi videro la scena nella stanza come un qualcosa di familiare, ma allo stesso si chiedeva "ma l'ho fatto davvero io tutto questo?"; e mentre si guardava le braccia e la camicetta tinto del co­lore del corpo abbrustolito di Vaeras si rese conto che non era stato un sogno, era stata proprio lei a combinare quel macello.
July si fermò a riflettere osservando ogni parti­colare della stanza; non vi era alternativa: non appena avessero segnalato la scomparsa del dottor Vaeras, avrebbero perquisito l'ufficio e avrebbero sicuramente trovato qualcosa di compromettente. Una cosa era certa, senza il cadavere non vi era la prova dell'omicidio e senza prova non si finisce in galera.
Chi avrebbe ipotizzato nell'arco di qualche gior­no che una brava e coscienziosa segretarie avesse potuto bruciare e fare a pezzi il povero dottor Vaeras e contemporaneamente farlo a pezzi e buttar­lo nel buco del cesso? Approssimativamente nel giro di due giorni i rifiuti dello scarico del cesso di Vaeras sarebbero finiti nell'oceano e in esso si sarebbero dispersi definitivamente.
Sarebbe bastato dunque semplicemente eliminare le prove più evidenti e successivamente segnalare lei stessa la presenza di strani segni di bruciature nell'ufficio di Vaeras. Nessuno avrebbe mai potuto incolparla.
Decise di mettersi subito all'opera e nel giro di un'ora aveva già risolto il problema della poltro­na: l'aveva divise in tre sacchi diversi, quelli neri per la spazzatura, li aveva ben sigillati dopo averli mischiati con altri rifiuti cartacei che Ju­ly teneva nel suo ufficio. Dopodiché aveva messo i sacchi nel posto dove sapeva che alla sera sarebbe­ro passati gli uomini delle pulizia a ritirarli.
Decise di non toccare nè la scrivania nè la pare­te poichè avrebbe destato sospetti il fatto che a­vesse cercati di pulirli. Tolse invece con degli stracci che aveva nel cassetto della sua scrivania, tutte le macchie sul pavimento, nel bagno e sulle maniglie del water e del lavandino. Fu molto atten­ta a non lasciare impronte digitali e a non usare detersivi o altre cose  che avrebbero destato so­spetti: solo acqua, del resto la ceramica non si era deformata sotto le fiamme e pertanto le macchie di bruciato vennero via facilmente. Verso le quat­tro terminò tutto. L'ufficio aveva un aspetto ac­cettabile, non vi erano segni particolari di vio­lenza, a parte le bruciature sulla parete e sulla scrivania.
Per il resto vi era solo un gran odore di brucia­to, odore di carne viva: ma quello sarebbe stato un compito dell'aspiratore che era sempre in funzione.
Diede un'ultima occhiata, poi si accorse di un particolare: la corda delle tendine. Si avvicinò alle finestre; le tendine erano di quelle a pannel­li, la corda era soltanto un optional, non era fon­damentale, c'era solo il binario di scorrimento che poteva insospettire in un'eventuale indagine. July decise di eliminarlo.,
Salì in piedi sul davanzale che seguiva tutto il lato della stanza che dava sulle finestre. In punta di piedi arrivava al binario di scorrimento; si ac­corse che era difficile da sfilare. Provò a tirare, ma non sembrava neppure muoversi. Decise di lascia­re, avrebbe rischiato di tirarsi dietro tutto quan­to senza risolvere il problema. Se avessero trovato qualcosa da dire July avrebbe detto che si era sem­plicemente rotta la corda e stavano aspettando l'arrivo dell'operaio per ripararla. L'importante era che il corpo di Vaeras non c'era più.
L'ultima cosa che le rimaneva da fare era pulire sè stessa. Per fortuna aveva una gonna di jeans quel giorno e se anche fosse schizzata qualche mac­chiolina sulla sua gonna, sicuramente non avrebbe dato nell'occhio.
Il problema maggiore era per la sua camicetta ro­sa che aveva due belle macchie all'altezza del seno e difficilmente avrebbe potuto toglierle.
Uscì dall'ufficio di Vaeras, o meglio dall'ex uf­ficio di Vaeras e tornò nel suo. In un cassetto della scrivania teneva alcuni oggetti personali: un ombrello, il filo interdentale, un piccolo sopram­mobile con la neve che cadeva, glielo aveva regala­to un collega invaghito di lei. In fondo vi era an­che un golfino. Non che facesse particolarmente freddo, ma sicuramente avrebbe coperto le macchie sulla camicetta.
Andò in bagno e si tolse la camicetta prima di lavarsi le braccia fino all'altezza delle ascelle.
Si asciugò con il rotolo di carta a strappo, poi rimise la camicetta e infilò il golfino: era blu con la scritta "American Fires": non era stata pro­prio un bravo pompiere quel giorno!
July uscì dal bagno ricontrollando a ritroso ogni particolare: buttò  pezzi di carta usati per asciu­garsi nei sacchi dove aveva riposto i pezzi della poltrona: sarebbero spariti con essa. Diede di nuo­vo un occhiata all'ex ufficio di Vaeras, poi guardò l'orologio: erano le cinque meno un quarto. Ogni giorno usciva di solito qualche minuto prima delle cinque: dunque era in orario.
Era buffo pensare come solo alle otto di quella mattina July entrava in quell'ufficio come l'essere più sottomesso di questa terra ed ora ne usciva con la sensazione di aver aperto nella sua mente un la­to a lei oscuro ma allo stesso tempo di una cru­deltà senza paragoni.
Forse sarebbe stata latente per il resto della sua vita, ma quello sventurato del dottor Vaeras ebbe la malaugurata sventura di scaricare tutte le sue stupide psicosi sulla persona meno opportuna in circolazione sul pianeta.
Vaeras ci aveva rimesso la vita, forse July ora ci aveva rimesso il cervello. Sapeva di avere un potenziale distruttivo nascosto e avrebbe dovuto per sempre convivere con esso nella speranza di non trovare altri dottor Vaeras sulla sua strada.
Quella sera, come tutte le sere, chiuse a chiave il suo ufficio, entrò in quello del suo capo e lo salutò: - Buonasera dottor Vaeras, io vado! - ma no rispose nessuno.
Salì verso la portineria e lasciò le chiave a Jeff: - Finita la giornata? - chiese.
- Non me ne parlare Jeff, una faticata che non ti puoi immaginare -.
- Il tuo capo è ancora in ufficio? -.
- Sì, e temo che ci rimarrà parecchio tempo a me­no che .... non decida di uscire dallo scarico del suo bagno - rispose ironicamente July.
- Hai sempre la battuta pronta July, sei proprio un tipo particolare -
- Lo so Jeff,  a domani - ed uscì dalla IGR con un suo sorriso smagliante sulle labbra.

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