Sakura-sama e il ritorno della Primavera a Konoha.

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Nei giorni in cui le lacrime scorrono lungo le mie guance, 

vorrei la tua schiena soltanto per me. 

Perché a volte la dolcezza può essere crudele.

Perdo di vista la risposta, per quanto la cerchi.

Se puoi vedere l'arcobaleno sulla città dopo la pioggia,

iniziamo a camminare ora, qualcosa sta per cominciare.

Sarebbe bello se queste sensazioni trovassero il modo di entrare nel tuo cuore,

senza che io avessi bisogno di pronunciare una parola.

Questa città cambierà poco a poco.

E nasceranno nuovi ricordi.

Sore ga ai deshou.

'Kami-sama, prenditi cura della mia famiglia'.
Ricordava precisamente la confortante sensazione di tepore sulla pelle, il benessere in fondo al cuore pulsante e l'affetto incondizionato che unicamente la costante presenza di persone amate riusciva a donare all'animo umano. Colmare il vuoto imposto dalla solitudine e far sbocciare nuovi sorrisi nei tratti distesi, simili a margherite rinate dalla neve dopo un rigido Inverno.
Rimembrava sulle papille gustative il sapore caldo e sapido della zuppa di miso nei mesi più freddi, il suono delle risate gioiose attorno al kotatsu mentre consumavano il pasto, il dolore alle morbide guance causato dalla troppa euforia ed il tocco delicato della mano di sua madre tra gli indomabili capelli rosa.
Le piaceva premere i palmi arrossati sullo spesso vetro della finestra e creare un alone con il suo fiato; sostenuta in vita dal padre scalciava ed osservava il giardino imbiancato dal soffice manto ghiacciato, sceso dal cielo in candidi frammenti. Sembravano petali di mandorlo, danzavano trasportati dalla carezza gentile del vento...
Momenti perduti.
Relegati in un angolo buio della coscienza, così da non provare alcuna sofferenza.
Il senso di protezione, la stabilità emotiva e la certezza di essere nata nel posto perfetto, al momento giusto, nel suo mondo esemplare, non esistevano più.
Spazzati via, insieme ai genitori e la possibilità di un futuro roseo.
Allo stesso brutale modo in cui accadeva nel peggiore degli incubi, sin troppo reale per sperare di svegliarsi, la tanto adorata madre le era stata portata via da una terribile malattia durante un afoso pomeriggio d'Estate. Lasciando soli e disperati lei e papà, a stringersi in un saldo abbraccio nello sterile corridoio di un anonimo obitorio, mentre all'esterno, sul cielo terso, continuava a splendere incurante un Sole cocente.
Astro beffardo, illuminava bugie e sentieri sconosciuti.
Sakura aveva ingoiato l'amaro calice e si era fatta coraggio, risollevandosi senza aiuto, mantenendo la promessa di occuparsi di quell'ometto minuto, un poco sciocco, con il vizio d'inventare freddure per nulla divertenti, in maniera tale da non farlo sentire mai inutile o dimenticato. Ciononostante da quel malaugurato giorno il padre non aveva più raccontato a nessuno le sue barzellette; affermava che, privato di quelle iridi verdi intente a scrutarlo liete e seccate allo stesso tempo, non aveva senso sprecare altro fiato.
Non ne valeva la pena.
Eppure Sakura non si era arresa all'annichilimento. Paziente aveva imparato a cucinare i piatti preferiti di entrambi, scottandosi molte volte le dita con i fornelli e le pentole incandescenti, permettendo, con un sorriso imbarazzato, al padre di medicarla grazie all'ausilio di vistosi cerotti rosa confetto, dove v'era stampato il buffo faccione dei personaggi di cartoni animati per bambini.
I pomeriggi malinconici li trascorreva rinchiusa in camera da letto, ad ascoltare le canzoni favorite della madre su un vecchio giradischi impolverato, dove i grandi piatti in vinile provocavano una melodia gracchiante, ma conosciuta. Rincuorante.
Superato a fatica lo strazio dovuto all'ingiusta perdita, aveva trascorso infine anni sereni in quella piccola casa che ancora raccontava la storia della loro famiglia, in cui fra le mura dipinte di fresco, se abbassava le palpebre, poteva udir riecheggiare il suono di antiche risate.
Era cresciuta, aveva smesso d'essere una bambina, di sognare. C'erano stati brutti momenti, qualche litigata, molti abbracci e la promessa sincera che, almeno lui, non l'avrebbe mai abbandonata.
Bugiardo. Incapace di mantenere la parola data.
Nell'autunno dei suoi diciassette anni, durante una noiosa mattinata di lezioni, il suono improvviso del cellulare le annunciò la perdita di ogni flebile speranza e del padre. Unico punto fermo a lei rimasto.
Kizashi Haruno era stato portato via da un infarto.
Questo avevano detto i medici alle sue orecchie che si rifiutavano di ascoltare; il cuore ferito dell'uomo, da sempre debole, non aveva retto all'affannare di un'esistenza vuota.
Quattro mesi dopo, avendo avuto almeno la decenza di rispettare l'ennesimo lutto della ragazza, due damerini in giacca e cravatta, avvoltoi mandati dalla banca a cibarsi della sua carcassa, avevano bussato alla porta dell'appartamento silenzioso, chiedendole come, una studentessa minorenne, avesse intenzione di pagare il mutuo. Proponendo con supponenza la drastica soluzione d'esser affidata ad una casa-famiglia.
Sakura rifiutò la gentile offerta con la misera prontezza di spirito che le era rimasta, scacciandoli furiosa dalla soglia che era, ancora per qualche tempo, di sua proprietà; le prime settimane riuscì a mantenersi grazie al lavoro part-time come cameriera in un karaoke ed alla vendita di tutti i mobili al negozio dell'usato, ma era consapevole che, presto o tardi, sarebbe stata sfrattata. Gettata come immondizia sull'uscio.
Nell'istante in cui avvenne le era rimasta soltanto una sacca con pochi vestiti di ricambio, risparmi insignificanti e alcune fotografie dei genitori, conservate come preziosi cimeli.
Ignorava per quale ragione il destino si fosse tanto accanito su di lei ed aveva smesso di domandarselo, però era ormai consapevole di essere l'unica compagnia di se stessa e che, in quella grigia città, non aveva più nulla, né nessun altro legame.
Fu il caso a guidarla in direzione della affollata stazione di Takumi e spingerla ad acquistare un biglietto di sola andata per la metropoli di Konoha, viaggiando su un treno ad alta velocità, in classe economica, stipata all'interno di un vagone ricolmo di facce sconosciute e, ai suoi occhi, ostili.
Oramai senza casa e futuro in qualsiasi Paese.
Voleva soltanto andarsene lontano, fuggire da quel luogo pieno di dolorosi ricordi.
Le sarebbe piaciuto conoscere il segreto per tornare felice, trovare un posto accogliente dove sentirsi nuovamente al sicuro, in quella grande città in cui, quando calava la notte, tutti venivano invasi da un profondo senso di solitudine.
Soprattutto lei.
Priva di una meta aveva camminato lunghe ore, trascinando i suoi averi con spalle strette, finché il dolore alla gambe e la fame non le avevano imposto una sosta, guidandola verso i verdi giardini comunali di quella sconosciuta capitale.
Seduta sopra un'altalena umida, le dita stritolavano le ginocchia ossute e lo sguardo vacuo; non era in grado di focalizzare ciò che aveva intorno, non distingueva alcun suono, a parte quello del proprio respiro spezzato. Le scarpe macchiate dal fango, causato dalla sottile pioggia primaverile che le bagnava i lunghi capelli rosa annodati in una treccia e le guance impallidite e scarne, solcate già da lacrime salate.
In un moto d'orgoglio sfregò le palpebre gonfie con la manica della felpa, odiando l'incapacità di modificare quella patetica esistenza a cui era destinata.
Aggrottò la fronte spaziosa, su cui v'erano incollati dei ciuffi ribelli, quando notò una grande mano olivastra porgerle un fazzoletto di stoffa; sorpresa alzò il viso, incantata dall'espressione affabile che le rivolse un giovane uomo. Il secondo sfortunato folle, oltre lei, ch'era rimasto all'esterno durante un temporale.
Lo scrutò sospettosa. Dalla lunga chioma castana, adagiata sulle larghe spalle, trasparenti goccioline si tuffavano contro il terreno ghiaioso; se ne stava ingobbito, sporto verso Sakura, senza preoccuparsi della pioggia battente che avrebbe potuto rovinare il suo elegante completo nero, con i denti bianchi scoperti, mostrando un sorriso rassicurante.
Da quando si era seduto? Non lo aveva nemmeno sentito arrivare...
"Arigatou gozaimasu" Farfugliò incerta, accettando quel gesto caritatevole.
"Mi intristisce veder piangere da sole delle ragazze così carine".
Sakura affondò il viso nella stoffa, singhiozzando e soffiandosi rumorosamente il naso.
Ne era certa. In quel periodo lo spietato Kami della sfortuna aveva puntato i riflettori sulla sua figura, divertendosi a metterle sul cammino persino un maniaco.
E pensare che, appena diciottenne, non era neppure vicina al periodo dello Yakudoshi, l'anno di malasorte peggiore per ogni individuo.
Lo sconosciuto piombò in panico, agitando le braccia "Non era nelle mie intenzioni peggiorare la situazione, gomen".
Lo adocchiò un'altra volta: gli zigomi pronunciati erano ingialliti d'ansia e pareva star sudando freddo; muoveva le mani convulsamente, uggiolando parole prive di senso, inchiodandola sul posto con i languidi occhi nocciola. Troppo sinceri, la bloccavano dallo sfogare su di lui la frustrazione provata a causa delle sue disgrazie, e scambiarlo così per ciò che non era.
"Scusami, è colpa mia".
"Non dire così, sembri aver avuto una brutta giornata" S'accigliò lui, grattandosi poi goffamente la nuca.
Sakura alzò lo sguardo al cielo plumbeo. Aveva smesso di piovere, ma nuvole nere erano rimaste a coprire le stelle e, nell'aria, si respirava il tipico petricore della terra dopo un acquazzone ed il pungente odore di muschio.
Posò le dita affusolate sul collo scoperto, attraversato da un brivido di freddo e timore all'udire l'urlo del vento fra le fronde degli alberi; le parve quasi di distinguere il canto fatato dei Kodama, rinchiusi negli spessi tronchi. Si diede una lieve spinta sull'altalena, infrangendo quella lirica immaginaria con il rumore tintinnante delle catene in ferro.
"Ho pessime giornate da molto tempo. -Sussurrò, impedendosi di guardarlo.
Avvertiva il prepotente bisogno di parlare e non voleva trattenersi. In fondo era un estraneo, un'anima inquieta che vagava in un parco giochi, a notte fonda, come lei.
Le sue confessioni quindi non avrebbero avuto alcuna rilevanza, ma sarebbe stato utile esporsi in modo da alleggerire il peso del macigno avvertito contro il petto- I miei genitori sono morti, così ho deciso di fuggire dalla mia città dopo esser stata sfrattata. Ho abbandonato la scuola, chi consideravo amico, ho preso un treno e mi sono ritrovata qui, a raccontare con due frasi il periodo più buio della mia vita ad uno sconosciuto.
Sono davvero patetica".
"Non lo sei! -Esclamò concitato, poi ridacchiò in imbarazzo- Non quanto me. Io sono un vero codardo in confronto. Ho lasciato la mia dimora per così tanti anni che ho faticato a ricordare la strada del ritorno e ora che sono qui... Mi fa quasi paura incontrare ancora chi ho lasciato indietro per inseguire una chimera, eppure lo rifarei, altre mille volte" Confessò con spiazzante sincerità e radicata mestizia.
La ragazza puntò gli occhi smeraldo su di lui. Lo folgorarono, illuminarono la densa oscurità in cui entrambi erano dispersi, scacciando qualsiasi dubbio annidato nella sua coscienza.
"Non dovresti provare timore. La tua famiglia... La tua famiglia avrà sofferto l'assenza, saranno felici di riaverti con loro. Se io potessi riabbracciare mia madre e mio padre, anche dopo un milione di anni, non attenderei un altro secondo. Per questo dovresti tornare!".
L'uomo sorrise enigmatico, beando la vista di quella fioritura spontanea.
Il giovane arbusto stava divenendo un elegante albero di pruno, sfidando coraggiosa il rigore dell'Inverno aveva portato speranza con il suo nobile animo e, affrontando le avversità della vita, intrapreso il giusto cammino.
"Una piccola spinta, però, non ha mai fatto male" Disse meditabondo.
Sakura ritirò indietro le spalle magre quando lo notò alzarsi ed imprigionarla subito dopo con la sua immensa stazza, fra il torace largo e la giostra da cui aveva provato a distanziarsi di scatto. La sagoma estranea emanava benevolenza, le forti dita le afferrarono delicate il mento e, inaspettatamente, le labbra aride si posarono sulla fronte spaziosa.
Fu come ingerire della lava, o venir bruciata dai raggi del Sole. Il calore s'irradiò lungo il corpo paralizzato, eppure non ne era spaventata, non desiderava fuggire, né l'attrazione provata aveva alcuna connotazione sessuale.
Avvertì la propria mente ferita venire definitivamente distrutta, esplodere come una supernova al culmine dell'universo, alla fine tornare intatta con uno schiocco simile a quello di un elastico. Il cuore si gonfiò, guarito d'ogni lacerazione.
Leggera, adagiata su soffici e profumate foglie di crisantemo.
Avrebbe voluto provare quel piacevole conforto in eterno. Le ricordava la stretta del padre sui fianchi, mentre la spingeva verso il cielo, a cercare di catturare i candidi fiocchi di neve, la dolcezza della madre che le spazzolava i capelli e la litania dimenticata di una vecchia canzone. La commuoveva, percependo il sapore dolceamaro del passato.
Le sue mani furono chiuse all'interno di due palmi bollenti, la pelle solleticata dalla carta e poi nuovamente libera, perduta nel gelo della sera.
"Sono semplici indicazioni per raggiungere la mia casa. Saranno tutti felici di ospitarti".
"Perché?" Soffiò, riacquistata lucidità, sfiorando il punto in cui era stata baciata.
Lui scosse il capo, dopodiché le strizzò l'occhio, aprendosi in un sorriso smagliante; le rivolse la schiena, intanto che si allontanava, augurandole "Possa la fortuna guidare sempre i tuoi passi, Sakura".
Indugiò, lo sguardo perso sul piccolo scontrino dove, nel retro, era stata disegnata frettolosamente una mappa, quasi incomprensibile; tornò però a sollevare il viso a quelle ultime parole, urlando al vuoto "Aspetta! Come sai il mio nome?".
Era scomparso, come un fantasma.
Qualsiasi adulta responsabile non avrebbe mai corso il rischio, dando fiducia ad uno sconosciuto, però lei non aveva nulla da perdere. Forse era stata adescata da un maniaco, un pazzo fuggito dal manicomio, od un fan degli Otome games, considerato il singolare atteggiamento perpetuato nei suoi riguardi. Ma qualcosa d'incomprensibile l'aveva costretta a muovere le gambe indolenzite, interessata a comprendere perché sembrasse conoscerla, spingendosi così a distanziarsi dal parco giochi desolato e seguire il sentiero indicato dalla stropicciata cartina di fortuna.
Celere s'era addentrata oltre la zona abitata, percorrendo, in balia della solitudine, una ripida salita in pendenza sino a trovarsi, priva di fiato, dinnanzi all'infinita scalinata in pietra, di cui da basso faticava a scorgere la cima. Non aveva mai fatto tanto movimento, neppure durante le ore di Educazione fisica.
Sbuffò e tenne saldi i manici della sacca con tutte le poche forze che le erano rimaste, dopodiché strinse i denti e scalò quell'ultimo ostacolo. Finì sfinita a terra quando si ritrovò sotto un'alta e massiccia struttura formata da due colonne di sostegno ed un palo orizzontale posto sulla cima di queste, color vermiglio. Analizzò sorpresa la costruzione in legno, se quello era davvero un torii allora significava che se avesse guardato davanti a sé...
Un tempio!
Le aveva indicato la via per un santuario abbandonato, vista la decadenza del luogo.
Sakura serrò i pugni tremanti lungo i fianchi, percependo la rabbia invaderla per essersi fatta prendere in giro così facilmente; si voltò, stizzita, ben decisa a tornare al parco, almeno lì non era completamente perduta nel mezzo di un'oscura foresta, abitata, con sicurezza, da animali selvatici e pericolosi.
Un brivido gelido serpeggiò sulla spina dorsale in tensione, le parve quasi d'essere ossessivamente osservata.
Hashirama-sama?
Il corpo s'irrigidì sul posto. Impossibile. Fino a quel momento non aveva udito nessun rumore, immersa in quella quiete allarmante, eventualmente s'era solo immaginata la voce pacata sussurrarle all'orecchio come un soffio di vento.
Hashirama-sama è lei?
Deglutì a fatica e spalancò le palpebre al percepire i ciuffi rosa sulla propria fronte smuoversi con gentilezza, malgrado la lieve brezza primaverile non avrebbe mai potuto animarli. I piedi divennero piombo, come fossero invischiati nel cemento, incapace di ordinare a questi di spostarsi.
La lieve peluria sulle braccia si rizzò, agghiacciata voltò di nuovo il busto in direzione del santuario Shinto, rendendosi conto di come, all'improvviso, le due lanterne in pietra ai lati dell'ingresso si fossero accese, illuminando debolmente l'ambiente.
A Sakura si accapponò la pelle, in un misto di paura e meraviglia, nell'attimo in cui un flebile agglomerato di luce bianca apparve dal nulla, plasmandosi lento nella figura d'un piccolo uccellino brillante, di cui poteva udire persino il fievole cinguettio; seguì il suo volo finché non lo vide posarsi sulla roccia levigata dello chozuya ed esplodere poi in un fascio di energia accecante, che la costrinse a portare le mani davanti agli occhi e stringerli per non provare dolore alle cornee sensibili.
L'ambiente circostante ritornò ad esser inghiottito dalle tenebre pochi attimi dopo, il silenzio infranto dallo scroscio indefinito dell'acqua; sconcertata lo analizzò: seduto elegantemente sul bordo della fonte per le abluzioni, aveva immerso le lunghe dita, muovendole indolente avanti ed indietro, creando increspature sulla superficie purificante.
Lo yukata bianco come il latte cadeva largo sulle spalle ampie dello spirito, stretto in vita da un obi color celeste cielo; i capelli neri e lisci parevano aver la consistenza della seta, tenuti in perfetto ordine dalla fascia che li chiudeva in una morbida coda e gli occhi, del pallore della Luna, erano indirizzati verso di lei.
Lo vide corrugare la fronte, incuriosito. Soltanto allora notò lo svastika impresso su questa.
Le labbra aride tremarono, cercò di ritrovare salivazione e lucidità, ma rischiò ancora di strozzarsi con il suo stesso fiato quando lui si mosse repentino, allungando il braccio per sfiorarle il viso con le nocche ripiegate.
"Tu non sei Hashirama-sama...".
Tornò violentemente ad immettere aria nei polmoni, rendendosi conto che quella era la stessa voce sentita sino a poco prima nella sua testa. Lo stesso richiamo.
Dolce, eppure malinconica e delusa, in grado di rilassarla e farle venire voglia di sciogliersi in lacrime insieme. Posò una mano tremante alla bocca, incantata dalla sagoma spettrale.
Si librava un innaturale suono nel fresco della sera, simile al frinire dei grilli, malgrado non fosse ancora abbastanza caldo per costringerli ad uscire dalle microscopiche gallerie sotterranee in cui stava volgendo al termine il loro letargo.
Lo studiò ancora, in reverenziale timore. Probabilmente lui si aspettava parlasse, ma Sakura venne inebriata dall'odore che emanava, salsedine e polvere miscelati insieme. Lo sguardo fisso sulle unghie rapaci, troppo vicine al collo per non impensierirla.
"Si racconta che nei percorsi più impervi e dimenticati viva il passero della notte, incontrarlo, o catturarlo, porta sventura e malattia..." Mormorò la ragazza, recitando monocorde una frase letta anni prima su un vecchio libro di storia, nemmeno lei si capacitò del motivo che l'aveva spinta a dire quelle parole.
Lui le sorrise, cortese "È intelligente, Sakura-sama, ma può chiamarmi Neji".
"C-come fai a sapere il mio n-nome?".
"Il compito di un bravo famiglio è conoscere alla perfezione la propria padrona, e mi è bastata una veloce occhiata per comprenderla. -Le rivolse un inchino, nascondendo poi il viso candido dietro la lunga manica dello yukata, pensieroso- Mi chiedo per quale motivo Hashirama-sama abbia deciso di cedere lo status di Divinità ad una semplice umana? Ma sono consapevole che nemmeno lei conosce la risposta, per questo sarò lieto di servirla fin quando rimarrà con noi".
La ragazza compì d'istinto un passo indietro. Seppur dubbiosa ed instabile aveva notato lo stesso il velato insulto nella frase 'una semplice umana'.
Normalmente si sarebbe sentita vittima di uno scherzo di pessimo gusto, però quegli occhi perla apparivano così seriosi che il cuore di Sakura si strinse di terrore al capire quanto, tutto ciò vissuto in quell'attimo, fosse reale. E terribilmente affascinante.
"Io...".
Neji accennò un sospiro, interrompendola, dopo afferrò con dita sicure la sua sacca da viaggio, dichiarando "Mi perdoni, le spiegherò tutto all'interno del jinja, comodamente seduti a sorseggiare dell'ottimo tè. Immagino sia di difficile comprensione quel che sta accadendo per lei, Sakura-sama, ma sono fiducioso nell'accoglienza di Madara-dono".
Lei sbatté le palpebre, avanzando incerta, spinta da una forza di volontà che non appariva come propria, ma imposta dall'esterno. Al che quasi si chiese se quello yokai non avesse il potere di muoverla come una marionetta.
"Madara-dono è il proprietario?" Domandò, tentando di ritrovare un barlume di normalità.
Lo spirito fece scorrere piano lo shoji superato l'ingresso e, mentre Sakura cercava di distinguere qualcosa nella fitta oscurità, preoccupandosi degli scricchiolii sinistri provocati dal legno tarlato, rischiò d'urlare spaventata quando la esortò a camminare con un lieve tocco fra le scapole.
"Deve sapere che Madara-dono abita qui da molti secoli, essendo il primo venerabile famiglio dell'Ujigami di Konoha. -Disse, palesemente annoiato- Ed è mio dovere farle presente la sua rigidità...".
Da come esponeva l'argomento pareva non scorrere buon sangue fra i due. E di certo non voleva per nulla al mondo ritrovarsi nel mezzo di un'accesa antipatia reciproca tra creature che, sino a pochissimi minuti prima, non avrebbe mai creduto potessero esistere.
Magari stava soltanto sognando! S'era addormentata su di una panchina e la stanchezza, mista al desiderio di fuggire dalla patetica realtà costretta a vivere, avevano acceso la sua fervida immaginazione.
Provò quindi a pizzicarsi una guancia, tuttavia guaì di dolore, massaggiandosela subito dopo, qualsiasi speranza di svegliarsi polverizzata all'istante.
D'un tratto rialzò il viso aggraziato, abbassato in precedenza, quando andò a sbattere contro una superficie grande e morbida; divenne una statua di marmo, con ancora il palmo premuto sulla gota arrossata, al rendersi conto d'essersi appena scontrata con l'essere più agghiacciante mai incontrato prima di allora.
Il rigore dell'Inverno, incarnato in una figura sconosciuta.
Lo stesso Neji l'aveva inizialmente inquietata, ma chi aveva davanti era ben diverso. Le fece venir voglia di scappare in cerca d'aiuto, o inginocchiarsi a terra e chiedere misericordia.
Nascosto dalla penombra riuscì a malapena a vedere il suo volto e, nell'istante in cui il demone avanzò, mossa da disperazione si riparò dietro la schiena dell'altro. Impassibile, era rimasto fermo a farle da scudo, come se si aspettasse una reazione simile.
Sakura venne invasa da un'inusuale quiete al contatto con lo Yosuzume e si sporse un poco dalla sua spalla, osservando l'espressione austera di quell'ennesimo sconosciuto, ormai completamente illuminato dalla luce fioca della Luna. I lunghissimi capelli corvini incorniciavano il viso squadrato e gli affilati occhi color del rubino; le orecchie, leggermente appuntite, sporgevano dalla fitta chioma pece, ed il pallore del derma lo rendeva inumano.
Fascinoso, come una notte senza stelle.
Decisamente più massiccio e pericoloso di Neji, indossava un pregiato kimono rosso sangue ed un haori nero a mo' di soprabito, con ricamati sulla stoffa poligoni argentati; gli hakama scuri arrivavano sino alle caviglie, larghi e comodi, ed i piedi erano coperti da tabi bianchi, rinchiusi in dei geta rialzati di quasi due centimetri.
Alla ragazza parve d'esser finita in un'altra epoca e trovarsi dinnanzi ad un uomo del passato, simile a quei guerrieri di cui aveva soltanto letto le gesta durante ore di studio, oppure il proprietario feudale di una ricca terra, qualcuno di cui avere timore e rispetto.
Così familiare...
Affondò i denti nel labbro inferiore, serrando la presa sulla stoffa dello yukata chiaro di Neji, finché la sua attenzione non venne interamente catturata dall'enorme coda grigia da procione, che ondeggiava ipnotizzante dietro la schiena di Madara.
"Sei un Tanuki! Uno vero!".
Sakura sgattaiolò fuori dal pessimo nascondiglio, lasciando vincere l'eccitazione piuttosto dell'istinto di sopravvivenza.
Udì vagamente la risata spezzata dello yokai accanto a sé, ma venne di nuovo intimorita quando Madara corrugò le sopracciglia, scrutandola meravigliato, nemmeno fosse lui l'essere umano ad aver incontrato uno spirito.
"Hashirama-sama è passato in città" Neji infranse quell'attimo di silenzio, parco e diretto.
"Lo so. La sua presenza è palpabile. Peccato non si sia degnato di rassicurarsi delle condizioni di questa dimora, preferendo scappare ed abbandonare tutto nelle mani di una debole donna".
"Avrà avuto delle ottime ragioni...".
"Nessuna delle quali è di mio interesse".
Lo Yosuzume s'accigliò a quell'interruzione rude, scostando le iridi spettrali verso Sakura, nel frattempo che lei tornava meccanicamente a stringerglisi al fianco. Immaginava Madara potesse avere una reazione violenta al constatare con quanta indifferenza l'Ujigami si fosse rifiutato di adempiere ai suoi doveri di protettore di Konoha, eppure, celata dalla rabbia, sentimenti di tristezza e rassegnazione fluivano dalla voce profonda e ruvida.
Seppe di non esser stato l'unico a rendersene conto nel momento in cui la giovane umana si chinò in avanti, il viso rivolto al parquet ed i pugni stretti per farsi coraggio.
"Sono mortificata. -Dichiarò tutta d'un fiato- Ho seguito le indicazioni del vostro padrone con leggerezza, non ritenendo possibile un risvolto del genere. Mi scuso per essere stata un fastidio, me ne andrò immediatamente".
La spalla di Madara venne colpita da uno spasmo involontario ed il braccio si distese, cancellò rapido la misera distanza fra questo e la nuca rosa, sfiorando le ciocche scomposte, libere dall'intreccio della sua pettinatura. Le afferrò infine il mento appuntito e la costrinse a guardarlo negli occhi, specchiandosi nello spaventato sguardo di giada.
"Non apprezzo la codardia, donna. -Sussurrò in tono roco, i canini bianchi scintillavano nell'oscurità- E tu non sei così pavida".
Il tempo si congelò all'istante, senza scampo. Sakura avvertì le viscere contorcersi in modo anomalo e sconosciuto a causa di quella opprimente vicinanza, alla concreta mancanza d'un qualsiasi spazio vitale. Madara piegato su di lei appariva simile ad un'ombra minacciosa, eppure sfuggente, pronto a ghermire persino la sua anima con le lunghe unghie.
Le dita callose si piantarono maggiormente sulla pelle morbida e Sakura non poté fare a meno di muovere la testa verso il calore confortante che queste le donavano.
Subito dopo, però, un brivido freddo le fece tremare le ossa, il fragile cuore vacillò, infuriando in mezzo al petto come fosse nel pieno di una tempesta, quando il sorriso sghembo si disegnò sulle labbra pallide dello yokai, il calore del suo fiato sulle guance scarne la confuse, allo stesso modo delle iridi cremisi, le cui pupille dilatate continuavano a tremare debolmente mentre la osservava.
Stava vacillando.
V'era un'emozione incomprensibile in quel gesto sprezzante, un misto di pura gioia e vischiosa angoscia, una realtà magistralmente occultata con la forza acquisita durante secoli passati in solitudine...
"Lasciala andare, Madara. -Intervenne coriaceo Neji, dimenticando anche le buone maniere a lui tanto care- La natura umana di questa giovane non modifica la realtà dei fatti, né rende lei la colpevole. Sakura-sama ormai è la nostra Signora e questo luogo abbandonato necessita di un nuovo Kami. I tuoi incantesimi non bastano, non più" Concluse autorevole, pungendolo sul vivo.
Il Tanuki si distanziò, scioccato. Portò la mano alla bocca ripiegata in una smorfia, le palpebre sgranate come se avesse appena riacquistato lucidità; le gote impallidite si arrossarono in maniera impercettibile, intanto che superava a grandi falcate le figure fastidiose dei due e li informava, spicciolo "Rimani pure a giocare con lei, Neji. Il mio compito finisce oggi, già molti fedeli hanno dimenticato, non rimarrò ad osservare la morte di questo tempio, né quella di Hashirama. Non mi riguarda".
Sakura si concentrò sui suoi passi pesanti, finché il silenzio spettrale non inghiottì di nuovo ogni rumore; stritolò la propria felpa in grembo, adocchiando pensierosa l'espressione distante di Neji.
Tutto così veloce...
Non aveva nemmeno tentato di fermarlo, s'era limitato ad ustionare la schiena dell'altro con una palese occhiata di disapprovazione a quel comportamento puerile. Intimorendola quasi per il disprezzo che sentì sbocciare dentro di lui.
Era stanca. Esposta in prima fila, comparsa in una situazione eccessivamente intricata, che faticava a comprendere; impresse lo stampo delle unghie sui palmi delicati e poi avanzò rapida lungo il corridoio in penombra, ben decisa a scappare il più lontano possibile, dimenticare l'accaduto, credere d'esser stata vittima di mere illusioni costruite dalla propria debole mente.
Nessuna stretta le avvolse il polso sottile per trattenerla, a differenza di quel che immaginava, neppure quando raggiunse l'ingresso. Allora si voltò ancora, percependo lei stessa, sottopelle, l'immensa inquietudine di Neji, capendo finalmente come, ogni sentimento della creatura, venisse avvertito anche da chi gli era accanto.
"Perché? -Chiese flebile, mantenendosi a distanza- Perché ha parlato di morte?".
Lo Yosuzume socchiuse le palpebre, esponendo affaticato "I Kami sono spiriti della natura, ne nascono e muoiono in continuazione all'unico scopo di servire gli umani. Dal momento in cui i loro servigi divengo inutili, o dimenticati, la Divinità ritorna un semplice soffio di vita, ad aleggiare senza meta su questa terra. Scompare.
Hashirama-sama ha abbandonato il jinja da più di trent'anni, ormai in pochi rivolgono a lui le loro preghiere. È un ciclo irreversibile...".
"E tu? Cosa accadrà a te quando tutti se ne saranno dimenticati?".
Tentennò, colto alla sprovvista da quelle parole, dall'empatia sprigionata dai tratti preoccupati della ragazza. Una bontà e una purezza che gli erano conosciuti.
"Io e Madara-dono continueremo a vivere come yokai selvaggi. Forse troveremo qualcun altro da servire, magari continueremo le nostre esistenze nello Ayakashi, oppure diverremo spiriti maligni. Non ho una risposta, non fin quando sarò legato a questo luogo in rovina".
Le corte ciocche rosa della frangia coprirono gli occhi smeraldo nell'istante in cui Sakura abbassò il viso, torturandosi l'interno di una guancia con leggeri morsi carichi d'indecisione.
"Rimarrò! -Si batté la mano in mezzo al petto, puntando le iridi accese in quelle sgranate di Neji. Non avrebbe permesso a qualcun altro di perdere la sua casa, i ricordi preziosi ed i momenti di felicità vissuti in quelle mura- Farò rifiorire questo tempio! Tutti si ricorderanno di voi, quindi... Ti prego, insegnami come".
Lui scostò il volto, guardando impassibile un punto indefinito dello stretto androne e permise ad un tenue sorriso di farsi strada sulle proprie labbra, assieme al caldo sentimento di speranza che invadeva i loro cuori.
"Oh... -Mormorò qualche attimo dopo, rivolgendosi alla ragazza, ancora immobile in quella buffa posa plastica- Dovremmo riportare qui Madara-dono".
Sakura arricciò il nasino all'insù "È strettamente necessario?".
"Lui tiene in piedi questa baracca da quando Hashirama-sama ci ha lasciati, fra non molto ci cadrà il soffitto in testa".
Mamma. Papà. Questo è davvero il mio anno sfortunato.

Note ♫
Sore ga ai deshou: 'Questo è amore'.
Arigatou gozaimasu: 'Grazie per tutto quello che fai per me'.
Gomen: 'Mi dispiace'.
Zuppa di miso: tipica zuppa tradizionale della cucina giapponese, costituita da brodo di pesce, chiamato dashi, mescolata con pasta di miso (Condimento derivato dalla soia gialla).
Kotatsu: è un tavolino molto basso, riscaldato al centro da una fonte elettrica ed utilizzato nei mesi invernali.
Locali Karaoke: il karaoke in Giappone è molto di moda, e l'attività si svolge all'interno di stanze private così da far evitare ai clienti eventuali figuracce con estranei.
Takumi: è la città principale del Paese del Fiume (I luoghi che verranno citati nella storia appartengono tutti all'Universo del manga).
Yakudoshi: corrisponde all'anno sfortunato di ogni individuo e si determina in base all'età ed al sesso. Per gli uomini sono i 25, 42 e 61 anni. Per le donne i 19, 33 e 37 anni. Proprio per questo motivo Sakura afferma che non è ancora il suo Yakudoshi, avendo appena compiuto diciotto anni.
Kodama: paragonabili alle driadi (Ninfe Greche), sono spiriti che risiedono nel tronco di alcuni alberi, precedentemente venerati come Kami. Se il Kodama s'innamora di un essere umano/terreno, grazie alla forza di questo sentimento, può lasciare il suo albero.
Il termine Yokai (妖怪) da yo 'maleficio, fattucchiera' e da kai 'manifestazione inquietante', traducibile con apparizioni, spiriti o demoni, si riferisce ad un tipo di creatura soprannaturale della mitologia giapponese.
Torii: portale d'accesso tradizionale al jinja (Il santuario Shintoista).
Chozuya: fonte sacra per le abluzioni.
Shoji: tradizionali pareti giapponesi che divino gli ambienti.
Kami: La parola è un'onorificenza per spiriti nobili e sacri, che implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità:
Ujigami: spirito protettore di una singola città. In questo caso Hashirama (E Sakura avendo ereditato il compito dallo stesso Kami) è l'Ujigami di Konoha.
In termini molto spiccioli è come se fosse l'Hokage, ma non conosciuto dalla comunità, dato che, beh, sono degli spiriti.
Famiglio: Servo. In questo caso creature scelte che affiancano la Divinità locale nella protezione di Konoha ed i suoi cittadini. Un famiglio rimane fedele al suo padrone sino ad eventuale morte di questo (Hashirama e Sakura condividono la 'proprietà' di Madara e Neji).
Yosuzume: uno yokai. Lo spettro di un uccello, detto anche 'passero della notte', porta malasorte a chi lo incontra.
Tanuki: il cane-procione. Uno degli yokai più famosi (Ed amati) in Giappone, maestro del travestimento e mutaforma, compare e rivale delle Kitsune. Il Tanuki, però, ha anche diversi lati oscuri, come l'essere abile nell'astuta arte dell'inganno e, in alcuni antichi testi, appare decisamente uno yokai violento e grottesco nelle sue manifestazioni di rabbia.
Svastika (Lo avevo completamente dimenticato): la croce uncinata che ha impressa sulla fronte Neji è simbolo propizio per molte culture religiose, ad esempio il Buddhismo e l'Induismo. Salto la spiegazione del significato completamente errato che è stato dato a questo simbolo dalla Seconda guerra mondiale.

Riferimenti utilizzati:
-Le prime parole in corsivo provengono dalla traduzione in Italiano della canzone di Mikuni Shimokawaka. Sore ga, ai deshou:
Mi è capitato per caso di ascoltarla e già dalla melodia e la dolcezza nella voce della cantante ho pensato fosse perfetta, una volta compreso anche il significato, ne ho avuto la conferma. La storia parla di un nuovo inizio, non solo per Sakura, ma anche per ogni personaggio presente nella trama. Ed affronta la riscoperta di sentimenti sopiti dal tempo, la lotta interna che ognuno di loro dovrà affrontare per ritrovare la pace.
-Ispirazione ad opere esistenti: la trama della storia è molto contaminata da quattro anime/manga, quali: Noragami, Gli spiriti di casa Momochi, Kamisama Kiss e Mononokean l'imbronciato (Ed anche un pochino Mushishi). Sono opere che consiglio, soprattutto Noragami, Mushishi e Kamisama Kiss, per il modo in cui trattano il folklore Giapponese.
L'inizio della storia è molto ispirato a Kamisama Kiss, come alcuni particolari in futuro, ma poi si svilupperà in maniera ben diversa.
-Internet e cartaceo: ho raccolto varie informazioni su diversi siti che raccontano lo Shintoismo, le tradizioni giapponesi, il folklore, e dai libri 'Enciclopedia dei mostri giapponesi' e 'La paura in Giappone, yokai e altri mostri giapponesi'. Letti anni fa e rispolverati per l'occasione, essendo molto appassionata della mitologia asiatica.

Angolo autrice (Il più corto possibile, giuro):
Al solito ringrazio Kyuukai per avermi aiutata con il betaggio.
Partiamo dal presupposto che ho passato molti mesi a struggermi 'la scrivo/non la scrivo. Chi metto/chi non metto', alla fine non sono più riuscita a trattenermi.
Vi ho ammorbato abbastanza con le note su, quindi la faccio breve ^^
Ringrazio chi leggerà e, sono sincera, sarei molto felice di leggere i vostri pareri questa volta ^^
Baci, al prossimo capitolo <3 

Percorrendo il sentiero tracciato dall'incontro fra terra e cielo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora