La prima volta che ha visto qualcuno morire è stato sulla spiaggia. Una donna, riversa sulla sabbia bagnata, viola, gonfia come una rana. Respirava rivoli d'acqua. Nessun uomo respira acqua. Aveva ventidue anni da dieci anni.
La seconda volta di anni ne aveva ventidue da diciassette. Stazione dei treni. Suicidio. Non molto simpatico vedere un pezzo di corpo da un lato quando l'altra metà ancora urla di dolore.
La terza volta la stessa morte l'ha vista rilfessa in quattro persone diverse, tutte ugualmente fantasmi informi, deformi: gli occhi troppo grandi, le dita da morto, le macchie sulla pelle e i capelli da vecchia.
Nelle storie muoiono tutti, se sono i protagonisti.
Più un personaggio è centrale nella storia e più è facile che muoia. Invece a nessuno importa se il capostazione di Mosca nel 1922 è morto quattro giorni dopo che il dottore Jurij Andreevic Zivago è passato da lì. E allora non muore.
A nessuno importa che lo stalliere di Caroline Bingley sia morto scivolando sui gradini bagnati una domenica mattina, verso le nove. E allora lo stalliere quella mattina ha semplicemente fatto le scale senza scivolare e senza nemmeno spettinarsi. E così tutte le altre mattine, pomeriggi, sere. Finché tutti i protagonisti si sono sposati, trasferiti altrove, annoiati a morte.
Il capostazione e lo stalliere sono rimasti, nessuno si è preso la briga di farli morire.
Dove vanno tutti gli stallieri, i capistazione, le sarte, gli speziali, i monelli, i signori vestititi di nero che con aria sinistra si aggirano per Londra dopo le dieci di sera, le donne che escono dalle case lussuose e che nessuno si è mai dato la pena di far morire?
Alessio lo sa, li ha incontrati personalmente, appena fuori dalla stazione della metropolitana di Francoforte, Konstablerwache. Una folla di centinaia di persone, vocianti, strepitanti. Si chiamavano per nome, si conoscevano, si risalutavano dopo dieci, duecento, millequattrocentotrenta anni. Lui non conosceva nessuno, se non Gennaro, di fianco a lui. Gennaro manco voleva venirci al raduno dei personaggi non morti delle storie. Diceva che era stupido, che tanto nessuno si sarebbe mai comunque ricordato della storia in cui era stato personaggio lui.
Alcuni personaggi vivono tranquillamente nella società, perché il loro genitore li ha lasciati liberi: ha detto "Anna aveva le trecce" "Paul era stato a Nantes da bambino" "George aveva un cane da caccia" e nulla più, e Anna, Paul e George potevano fare e essere tutto ciò che volevano nella loro vita. Così era per Gennaro, il suo genitore aveva detto solo che amava il blu, che aveva una scrittura disordinata e odiava le api. E Gennaro a questo aveva aggiunto di testa sua che gli piaceva la pizza con i carciofi, la felpa che indossava quel giorno e la voce di Alessio.
Per altri personaggi era un grande problema: molti potevano vivere solo in una città, molti innamorati della stessa persona per sempre, molti erano per sempre poveri, o per sempre soli, o cattivi, o sofferenti.
Alessio era uno di questi. In una pagina di lui si era detto: il ragazzo seduto al bar, di anni ventidue, parlava poco, e ancor meno sorrideva.
Eppure se qualcuno gli avesse chiesto se era una persona felice avrebbe risposto di sì, che lo era.
E se qualcuno avesse chiesto a Gennaro se Alessio era una persona felice avrebbe risposto di sì, che lo era.
Quando si erano incontrati la prima volta si erano più che altro scontrati; Gennaro si era scusato per dieci volte, Alessio non aveva pronunciato una sillaba: aveva finito le poche parole di quel giorno.
Un vero problema finirle presto, perché alla sera può sempre capitare di dover chiedere informazioni, essere fermati dalla polizia mentre si guida, dover litigare con qualcuno. Per questo ora girava sempre con Gennaro, a cui aveva insegnato a capire cosa voleva dire e che lo diceva al posto suo.
Gennaro aveva anche capito che quando toccava qualcosa due volte con un dito significava che era felice, che stava sorridendo. La maggior parte delle volte toccava Genn quel dito. E Genn rispondeva ridendo, o mordendogli il dito.
Marlene, la vecchia governante che un tempo aveva lavorato per i signori Sorel, diceva sempre che Gennaro era la sua voce.
Gennaro era più della sua voce.
Per questo a Francoforte, a Konstablerwache, Gennaro era venuto anche se non voleva venirci.