Un lunedì mattina, Jane si stava preparando per andare alla Light Blue Line. Il suo letto sfatto aveva ospitato l'ennesimo ragazzo, il decimo, per la precisione, da quando si era lasciata con Ed.
Si vestì osservandosi allo specchio: il suo corpo era diventato ancora più magro, le ossa del bacino formavano forti chiaroscuri e le gambe avevano perso la tonicità di un tempo. Solo la sua cicatrice sembrava non essere cambiata: le percorreva la coscia in uno squarcio spettrale.
Tutti i ragazzi con cui era stata l'avevano vista ma nessuno di loro le aveva domandato qualcosa a riguardo, non c'era spazio per la confidenza in quegli incontri. La ragazza metteva subito in chiaro che voleva solo rapporti occasionali e loro non se lo facevano ripetere una seconda volta. Consumavano e sparivano: un colpo di fortuna che non capitava spesso.
Pettinò i capelli scuri, circoscritti in un caschetto asimmetrico che le cadeva in avanti coprendo l'intera parte sinistra del viso. Era quello che anelava: nascondersi, mettere un muro fra lei e gli altri; solo lei avrebbe deciso chi sarebbe entrato nella sua vita, per uscirne subito dopo.
Si avvicinava ai ragazzi in silenzio, poi li interrogava timidamente, parlando piano e abbozzando un sorriso da dietro la sua cortina di capelli. Era brava a fingere, a mentire. Lo aveva imparato dopo anni di lavoro alla Light Blue Line: sorridere anche se si è infelici, dimostrarsi disponibile anche se si odia il proprio interlocutore, mostrarsi timida e impacciata a un ragazzo quando invece lo si vuole solo usare per goderne una notte.
La sua vita era andata a rotoli, lo sapeva. Era un pensiero che voleva emergere prepotente ma che lei teneva saldo sotto la sottile superficie della sua psiche, mentre, seduta sulla metro che la portava al lavoro, segnava sull'agenda il giorno in cui si sarebbe recata alla libreria.
Poco dopo si posizionò alla scrivania per immergersi nel mare delle sue incombenze quotidiane. I suoi colleghi arrivavano sempre mezz'ora dopo di lei, sfilavano di fronte la sua postazione lasciando uno sporadico saluto a cui lei rispondeva col la stessa indifferenza.
Quella mattina, Paul, un uomo di mezza età che aveva preso il posto di Edward nel reparto comunicazione, arrivò con un quarto d'ora di anticipo.
"Buongiorno Jane" sfavillò un sorriso sgargiante.
"Buongiorno a te" rispose lei senza distogliere l'attenzione dal monitor "Come va?"
"Tutto bene. Sempre al lavoro, eh?"
"Già" sottolineò l'ovvietà dell'affermazione.
"Senti, che ne dici se una di queste sere andassimo a bere qualcosa?"
La ragazza si fermò e puntò il suo unico occhio scoperto in quelli dell'uomo. Paul se ne stava impettito di fronte a lei, con stampato in faccia un sorrisetto malizioso che lasciava sottintendere le sue intenzioni.
"Sei sposato, Paul!" rimarcò dopo una pausa fin troppo lunga, in cui aveva valutato diverse alternative per mandarlo al diavolo.
"Non preoccuparti, mia moglie non è gelosa!"
"Forse la sopravvaluti."
"Non fare la difficile, è solo per conoscerci meglio!"
"Cambia aria!" lo liquidò riprendendo a spostare le email negli archivi.
"Non fare la spocchiosa. Lo sa l'intero ufficio che la dai a tutti!"
La ragazza si bloccò impercettibilmente, giusto una frazione di secondo, il tempo di ammortizzare quella stoccata.
"A quanto pare, non 'a tutti'. Buon lavoro!"
L'uomo si arrese e, senza aggiungere altro, si diresse nel suo ufficio; nel frattempo cominciò a entrare il resto dello staff. Le ombre delle loro silhouette, a Jane, sembrarono schiaccianti mentre passavano una dopo l'altra su di lei. Percepiva il peso dei pregiudizi che portavano, delle colpe di cui la tacciavano; sentì per la prima volta che la mancanza di Edward in quell'ufficio l'aveva privata di tutte le difese. Non era più sostenibile per lei lavorare lì.
La sera stessa, stremata dalle proprie congetture, la ragazza si ritrovò a fare i conti con una realtà che aveva obliato per anni.
Riesumò alcuni vecchi scatoloni che aveva accatastato in una dispensa quando si era trasferita e li aprì, scostando uno strato di polvere dagli oggetti e dai suoi ricordi. Tirò fuori i vecchi CD dei Momuht che contavano una collezione di soli cinque album; la band, infatti, si era sciolta poco dopo gli eventi che avevano coinvolto lei e il bassista. La ragazza non seppe mai se fosse stato quello il vero motivo, ma sapeva per certo che era stato Nef il fattore scatenante della rottura. I giornali di gossip ne avevano dette di tutti i colori sulle cause che avevano portato la band a sciogliersi, la più gettonata era stata una grossa divergenza fra i componenti che aveva spinto ognuno a perseguire la propria strada. Ted e Joanna avevano portato avanti la loro unione, sentimentale e musicale, formando un nuovo gruppo: gli 'Shinkansen-ga', che riscosse un discreto successo sia fra i loro vecchi fan, sia fra coloro che non seguivano i Momuht.
Jess, come al solito, aveva agito alla grande congedando tutti con un teatrale 'vaffanculo'. Era subito entrato a far parte di una nuova band che l'aveva accolto a braccia aperte in quanto, nonostante il suo carattere borioso e insopportabile, era uno dei migliori batteristi sulla piazza.
Di Nef e Rebecca, ex manager della band nonché moglie del bassista, non si era saputo molto: entrambi uscirono ben presto da sotto le luci dei riflettori.
Jane si fermò a osservare la copertina di 'Rebirth', con l'uccello nero su campo rosso fuoco che tanto aveva significato per lei nei giorni di convalescenza nella clinica dei genitori di quello svitato di Jag. Si impose di non riordinare ricordi che le avrebbero fatto troppo male.
Aprì con decisione la custodia e da essa caddero due foglietti, uno era la pagina strappata che le aveva dato Nef. Si domandò se lui avesse conservato l'altra parte, oppure se quell'arpia di Rebecca lo avesse costretto a buttarla in chissà quale circostanza. Tirò un sospiro. Non aveva nessun presupposto per insultare una persona che aveva solo reclamato quello che le spettava di diritto. Rimise la pagina nella custodia e raccolse ciò che le interessava davvero: il biglietto che le aveva lasciato Jag otto anni prima, nel caso avesse avuto bisogno di aiuto. Gliene serviva decisamente tanto. La paga della ragazza, dopo la riduzione a part-time, era già scarsamente sufficiente a sopravvivere; licenziarsi equivaleva a buttarsi da sola in mezzo a una strada ma non poteva più farne a meno: quel covo di scorpioni era diventato troppo stretto per restarci.
Jag le aveva detto che quando ne avesse avuto bisogno, poteva disporre di una finta eredità. Non aveva accennato a quanto ammontasse, ma in quel momento le importava poco. Afferrò il cellulare e compose decisa il numero, per poi fermarsi al momento di premere il tasto della chiamata. Riallacciare i rapporti con Jag significava esporsi a parecchi rischi; non poteva immaginare come avrebbe reagito il ragazzino psicopatico. Era sparito nel nulla come promesso, lasciando solo a lei la possibilità di ricontattarlo. Forse nella sua follia già sapeva che, prima o poi, avrebbe avuto bisogno di lui.
Jane si sedette per placare l'ansia, passando lo sguardo dal biglietto al telefono e viceversa. Alla fine si decise a far partire la chiamata.
Il telefono mostrò per parecchi secondi l'animazione di tentata connessione, poi si avviò una voce registrata che annunciava che quel numero non era più attivo. La linea cadde e con essa le poche speranze che vi erano aggrappate.
La ragazza gettò telefono e biglietto sul tavolo e si preparò ad andare a dormire.
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Le Ceneri della Fenice 3 - Broken Strings - Completo
Fiction générale| Slice of life | Drama | Ilustrato | New adult | Terzo libro della serie "Le Ceneri della Fenice". Broken Strings. Fili recisi dalla distanza. Resti di lacci che una volta legavano stretti. Corde rotte di uno strumento che ha smesso di suonare da...