Tanto ti odio, quanto ti amo.

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Konohagakure no Sato sorgeva imperiosa al centro esatto di un fitto e all'apparenza impenetrabile bosco di querce e piante decidue, radura celata agli occhi dei coraggiosi, o forse un poco folli, viandanti che decidevano di attraversare il Paese del Fuoco, preda dei tumulti dell'ennesima guerra fra Nazioni lontane.
Villaggio di guerrieri, shinobi forgiati da intense battaglie, era stato costruito decenni prima a ridosso di una grande montagna, su cui vennero poi scolpiti i volti dei primi tre Hokage, dall'aspetto davvero inespugnabile.
Rifugio sicuro, per alcuni sicura prigione.
Anche quel giorno d'inizio Autunno stava per concludersi ed il Sole tramontava lento.
Infiammava il cielo precedentemente terso con abili pennellate di rosso e arancio, scurendo le nuvole oltre l'orizzonte, trasportate lontano dal soffio del vento. Lame di luce accecavano la vista, prima di spegnersi fioche e scomparire nell'oscurità della sera.
L'ora del crepuscolo raccontava di passati combattimenti e sconfitte, malinconica; presto la notte avrebbe reso l'ambiente più freddo e silenzioso. Rubando spietata ogni colore.
Mikoto Uchiha, novella jonin a soli sedici anni, il corpo esile rassomigliante ad un fuscello e lo sguardo vermiglio, affilato come la lama mortale di un shuriken, era momentaneamente impegnata a lanciare proprio quei dardi contro lo spesso tronco di un albero, su cui v'era stato appeso un bersaglio, con tutta la rabbia e la frustrazione che dimorava in lei.
Il metallo lucido si conficcò violento nel legno e, lo Sharingan attivo e vorticante, le permise persino di vedere le microscopiche schegge staccarsi dalla superficie verniciata di bianco e perdersi poi nell'erbetta rada; si appuntò una lunga ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, in modo da avere la visuale più libera, in seguito continuò a tormentare il povero bersaglio.
Furibonda.
Immaginando il viso algido di Fugaku Uchiha stampato sul ceppo. Ragazzino spocchioso e arrogante.
Come aveva osato insultarla a cuor leggerlo? Sminuirla a quel modo incivile, dinnanzi alla sua famiglia, come donna e kunoichi? Ribadendo, un'ennesima volta, quanto per lei sarebbe stato meglio trovare un uomo disposto a sposarla, piuttosto che intestardirsi a seguire la chimera di voler far carriera nel corpo di polizia di Konoha.
"Kisama!" Ringhiò fra i denti, mentre la potenza e la velocità dei colpi aumentavano durante l'energico allenamento serale, provocando lo sforzo sovrumano delle articolazioni tese.
Una notevole porzione dei membri del suo clan, in maggioranza gli uomini, era fastidiosamente poco intelligente e legata a tradizioni familiari ormai considerate obsolete dalla popolazione più giovane. E di questo Mikoto ne aveva piena consapevolezza da anni, ma non credeva che, di generazione in generazione, sarebbero peggiorati a quel modo.
Un clan di maschilisti, ecco cos'erano!
Reclusi gran parte del tempo in un quartiere ai margini del villaggio, costretti a vestirsi in pubblico con casacche scure dove v'era la stampa della loro nobile casata, sempre ben in vista sulla schiena, forzatamente rigidi e distaccati dal resto dei cittadini...
La facevano andare in bestia!
In più, gli anziani lacchè del capoclan sottraevano felicità con un ghigno soddisfatto sulle loro facce rugose, nascondendosi dietro la scusa di agire per il bene degli Uchiha.
Bugiardi e ipocriti.
Neanche due giorni prima Hazuki era corsa da lei, disperata, intrufolandosi nella sua stanza durante la notte e rischiando di farle venire un infarto; le aveva raccontato fra i singhiozzi di essersi innamorata. Sentimento che, almeno in teoria, avrebbe dovuto portarle immensa gioia, peccato fosse rivolto ad un ragazzo della casata dei Nara.
E quello era un problema serio, molto, poiché ancora, nonostante il progresso economico e la modernità che avanzava, alle donne della loro famiglia era vietato legarsi in matrimonio con qualcuno privo di geni Uchiha.
Al pari di schiave, senza dignità.
Per questo Hazuki le aveva chiesto aiuto...
Mikoto, però, faticava a comprendere il motivo che l'avesse spinta a rivolgersi a lei, addirittura come sua prima scelta in assoluto! Non era mai stata una persona socievole o piacevole, preferiva rimanere in disparte ad osservare piuttosto che interagire in futili conversazioni; era velenosa, caustica, alle volte dissacrante, e di certo non aveva mai considerato l'altra ragazza così amica da ascoltare segreti e paure seduta su uno scomodo letto. Fino ad allora.
Eppure qualcosa l'aveva incentivata a consolarla, giurare di rimanere al suo fianco e permetterle di sfogare le emozioni nefaste che la invadevano senza giudicarla, anzi, l'aveva stretta fra le braccia, un poco goffa e a disagio, lasciando pietose pacche sulla schiena curva.
Fu un sentimento di rivalsa e insurrezione quello provato da Mikoto. Il desiderio recondito di impedire a quella ragazzina di vivere una pallida esistenza di sofferenze e privazioni, lontana da chi amava, soltanto per i voleri di un clan ormai decadente. Nessun uomo Uchiha avrebbe privato Hazuki della dignità d'esser donna.
Né lei, né le altre.
Era tempo di ribellione. Di libertà. Mikoto avrebbe combattuto per questo, anche contro la sua stessa famiglia ed i principi morali che la animavano da secoli.
S'era fatta raccontare tutto, ogni minimo particolare. Di come durante una semplice missione di spionaggio Hazuki avesse capito d'essersi innamorata del compagno di squadra, della buffa dichiarazione giorni dopo, la corrispondenza segreta che avevano avuto per mesi e, infine, dell'ardua decisione di abbandonare il villaggio per riuscire a coronare il sogno d'una loro famiglia.
"Se non posso stare con lui preferisco morire".
Melodrammatica, ma sincera, aveva pronunciato quella frase colpendo in pieno il petto di Mikoto che, in una vita intera, non avrebbe mai creduto di poter considerare forte una donna preda delle lacrime. Capendo in quel momento esatto quanto, in realtà, servisse ben più coraggio per piangere e mostrare emozioni.
Allora le aveva sorriso e il viso porcellana s'era imporporato di un raro rosa pesca, mentre pronunciava calda "Morire per chi si ama è sbagliato, procura soltanto tristezza e rabbia. Devi vivere, continuare a combattere per loro e conquistare la felicità che desideri".
Ribelle sì, ma non sciocca.
Nonostante fossero passate diverse ore dalla discussione avvenuta, era ancora nervosa e avrebbe tanto voluto marciare dal vecchio capoclan, investendolo senza remore con la sua furia, nel frattempo che esponeva al plebiscito i loro diritti.
Tuttavia sapeva ch'era infattibile e mai sarebbe stata ascoltata, finendo soltanto per mettere ancor più in mostra il segreto di Hazuki. Trasformandolo in cibo per belve.
L'unica soluzione logica rimasta, quindi, era aiutarla a scappare.
La ragazza le aveva riferito, improvvisamente speranzosa, che quel fantomatico Satoru Nara aveva dei parenti che abitavano lontani da Konoha, a cui potevano rivolgersi, perciò non sarebbe stato difficoltoso per i due costruirsi una vita distanti dai loro soffocanti clan, il vero e unico dilemma restava come oltrepassare i controlli serrati degli Uchiha, incaricati di occuparsi di qualsiasi shinobi e civile entrasse o uscisse dalla città.
Dovevano agire in fretta, quella stessa notte.
Mikoto liberò un pesante sospiro e si asciugò la fronte lievemente sudata con il dorso della mano, in seguito raccolse le proprie armi dal terreno, resasi conto di aver indugiato troppo nei recenti ricordi; determinata a completare gli obiettivi che s'era prefissata quella sera e permettere così ad Hazuki una fuga senza testimoni, si disse di fare un ennesimo giro di controllo fra gli stretti vicoli del clan. Tanto per esser più sicura.
Disgraziatamente, malgrado fossero già le nove di sera, le strade del quartiere erano più affollate del solito, colpa dell'anomala afa di quei giorni e del fatto che anche gli Uchiha, alle volte, gradivano un minimo di socialità.
Avrebbero dovuto aspettare il calare delle tenebre per agire.
Non si sentiva nemmeno preoccupata. La sua famiglia, in fondo, era troppo sicura ed arrogante per pensare all'eventualità che qualcuno avrebbe potuto provare mai il desiderio di lasciare il clan. L'unico caso conosciuto, da quando era stata costruita Konoha, era proprio quello di uno dei fondatori, argomento che gli anziani non amavano rimembrare.
"Mikoto? Eri ancora ad allenarti?".
La kunoichi s'irrigidì al richiamo, disprezzando la consapevolezza di aver riconosciuto senza il benché minimo sforzo il tono di voce di Fugaku. L'antipatia provata nei suoi riguardi era così forte e radicata da procurarle fastidio persino il pensarci.
Educata, dovette però voltarsi in sua direzione; analizzò la linda divisa da jonin che indossava, intuendo che, probabilmente, quella notte sarebbe stato proprio lui di pattuglia.
La mia solita fortuna!
"Buona sera, Fugaku-san. Stavo giusto tornando a casa".
L'uomo, di qualche anno più grande della ragazza, si passò a disagio la mano sul retro del collo, massaggiandolo vigoroso per sciogliere la tensione, poi spostò lo sguardo su un punto indefinito "Mi hanno detto che hai fatto richiesta per un posto in Centrale...".
Mikoto schioccò la lingua contro il palato, qualsiasi parola espressa da Fugaku la considerava una provocazione "Sì, mi spiace di non aver seguito il tuo ottimo suggerimento".
"Sei veramente insensibile, Mikoto. -Accennò un sorriso sottile e malinconico, dopodiché tornò a guardarla- ...Credevo avessi capito cosa intendevo".
"Pensi mi interessi? Ti conosco e mi basta sapere quanto tu sia ipocrita, non serve altro".
"Per quale motivo lo sarei?".
"Non hai argomenti a parte te stesso. -Disse letale, incapace di trattenersi- Ti fingi l'emblema della perfezione e ti comporti come il migliore dei soldati, ma in realtà lo fai soltanto per raggiungere il tuo scopo. Sappiamo tutti qual è: vuoi essere nominato prossimo capoclan e per riuscirci calpesteresti anche tua madre, ammettilo".
Il silenzio aleggiò diversi secondi fra i corpi rigidi e nervosi, tanto che Mikoto credette ingenuamente non avrebbe mai risposto a quelle accuse, esposte come assoluta verità, e se ne sarebbe presto andato per la sua strada.
"Hai davvero una bassa opinione di me" Mormorò pacato, nascondendo maldestro un pizzico di delusione.
Fu stupefacente riscontrare in Fugaku Uchiha un'emozione diversa dall'apatia. Le iridi d'ebano della giovane tremarono d'incertezza ma, eccessivamente orgogliosa, incrociò le braccia al petto minuto in segno di chiusura e lo superò, aggiungendo testarda "Ho di te l'opinione che dimostri".
Non gli avrebbe mai concesso l'ultima parola, malgrado l'amaro in bocca percepito.
Ancora imbestialita, durante tutto il brevissimo tragitto in direzione di casa propria, senza che ne capisse la vera ragione, aveva avvertito la forte voglia di guardarsi alle spalle e il desiderio di ritrovare Fugaku dietro di lei, pronto a discutere animatamente ancora una volta... Ma, dritta come un fuso, si disse che non ne valeva la pena.
Anche se, probabilmente, il senso di colpa la stava divorando dall'interno, ritenendo d'esser stata forse troppo dura e spietata nei riguardi dell'altro Uchiha; quella volta in torto per la reazione esagerata avuta.
Provò comunque a scacciare quel tarlo mentre superava a grandi falcate la via in cui sorgeva la sua abitazione; saltò agilmente su un alto muro di cemento e si sedette lì, al sicuro da occhi indiscreti. Rivolse il naso alle stelle, contemplando l'immensa vastità del cielo, tela nera dov'erano stati dipinti microscopici punti di luce in grado di rasserenare anche la sua anima in subbuglio alla sola visione brillante.
Sapeva che gli anziani genitori non si sarebbero preoccupati del mancato rientro; avevano rinunciato da tempo a dare un freno a quella figlia troppo sognatrice e ostinata, in più, Mikoto aveva detto loro sarebbe rimasta a dormire da Hazuki quella notte.
Che stupida! Se tutto fosse andato secondo i piani la sua complicità nella fuga, alla fine, si sarebbe trasformata nell'ennesimo motivo di vergogna.
...Per la prima volta, dopo anni, la madre le aveva persino sorriso commossa, soltanto perché aveva ingenuamente creduto che avesse trovato un'amica. E lei la stava ingannando.
Le labbra rosee della giovane si assottigliarono ancor di più fra loro, tremando; puntellò la pianta del piede sul muretto e rialzò la gamba contro il torace, abbracciandola intanto che posata il mento sul ginocchio ossuto, abbassando poi le palpebre e scacciando ogni pensiero negativo l'avesse colpita. O almeno provandoci.
I suoi problemi in famiglia li avrebbe risolti un altro giorno.
Trascorsero così diverse ore e Mikoto ne apprezzò la quiete, trovando in questa un momento di riflessione per se stessa e dando un senso agli ideali e voleri che la animavano. Per poi infine, quando ormai nessun vociare s'udiva, nemmeno in lontananza, decise ch'era tempo di incamminarsi verso la casa di Hazuki.
Calpestò l'erba rada cresciuta nel giardino della villetta, che le solleticò la punta delle dita lasciate scoperte dai sandali, e si posizionò sotto la finestra della ragazza, indecisa se richiamarla oppure aspettare si affacciasse per conto proprio, notandola.
Neanche avesse espresso quel dubbio ad alta voce, le ante in legno si schiusero e il viso ansioso di Hazuki fece capolino da queste; la vide sorridere incerta e poi raggiungerla con facilità all'esterno, senza il minimo rumore sospetto.
"S-sicura di non esserti fatta seguire, Mikoto-chan?".
"Sono stata attenta!" Rispose quasi piccata, afferrando salda il bagaglio a mano dell'altra.
"Scusami. -Sussurrò colpevole, ma diede comunque voce alla sua preoccupazione più grande- Pensi che Satoru sia riuscito ad oltrepassare il cancello principale?".
"Lo spero per lui! Non andrò di certo a salva... -Si bloccò, conscia di non poter sfogare il risentimento accumulato quelle ore su Hazuki- Sono certa se la sia cavata. Andrà tutto bene" La rassicurò comprensiva, correggendo l'errore.
L'altra annuì, il corpo nervoso e le pupille scure saettanti in ogni direzione. L'angoscia provata però non sarebbe stata di certo una loro alleata, per questo, prima di avviarsi velocemente al di fuori del quartiere Uchiha, Mikoto le posò una mano sulla spalla, facendola singhiozzare di sconcerto.
"Calmati. Siamo kunoichi, possiamo farcela".
Hazuki afferrò delicata i suoi polsi, dopodiché chiuse le dita affusolate fra le proprie e inspirò lieve una boccata d'aria fresca, riprendendosi un po' "Grazie. Non avrei mai avuto il coraggio di farlo da sola, sei un'amica preziosa, Mikoto-chan".
Le guance magre s'imporporarono di rosso, poco abituata a tutte quelle confidenze; provò immediatamente a darsi un contegno e, liberandosi dalla stretta amichevole, le indicò la direzione da seguire, intimandole di fare silenzio.
"Rimandiamo i ringraziamenti e i saluti a dopo!".
Per avere una sicurezza in più di non essere scoperte, avevano stabilito di allungare di molto la strada, passando per il fitto e oscuro bosco che si estendeva oltre le abitazioni del loro clan e, successivamente, percorrere gli ultimi venti metri sulla via asfaltata, ritrovandosi infine a pochissimi minuti dall'enorme cancello principale della città. Avrebbero superato i jonin di guardia quella notte e, una volta incontrato Nara, si sarebbero divise.
In teoria pareva tutto abbastanza semplice...
In pratica Mikoto si rese conto che non sarebbe andata liscia come credeva. Non quando, a nemmeno trenta passi dalla meta, la figura ombrosa di Fugaku Uchiha le attendeva sotto la luce artificiale di un lampione e, per la prima volta, ebbe quasi timore della rabbia che genuinamente stava dimostrando, privo della solita patina di freddezza che lo caratterizzava.
La stessa Hazuki lo aveva notato. Il suo respiro s'era fatto pesante, spezzato, d'istinto aveva conficcato le unghie nella pelle fragile dei palmi e alla fine abbassato la testa, certa di doversi arrendere lì, rinunciare al brivido d'indipendenza da cui era stata appena sfiorata.
"Quindi era questo che avevi in mente?!".
Lasciarsi ferire le carni da una lama affilata avrebbe fatto provare ad entrambe una sensazione migliore, rispetto a quella data dalla voce roca e bassa che celava una collera latente e viva. Lo Sharingan pulsava, iniettava i suoi occhi di sangue e le vene in evidenza sulle tempie parevano star per scoppiare.
"Abbandonare il clan e coinvolgere altri in questa insensata fuga, non mi aspettavo un comportamento del genere da te, Mikoto".
"Cosa stai...?" La ragazza, accecata da un lampo di consapevolezza, bloccò le proprie rimostranze, riflettendo in fretta; scorse lo sguardo infiammato del giovane uomo sostare sulla valigia da lei trasportata e capì. In effetti, poteva dar da pensare di essere la fuggiasca e, forse, se Fugaku avesse continuato ad avere quella convinzione, Hazuki sarebbe stata libera di allontanarsi...
"Basta! La colpa è mia! -Peccato che il piano venne mandato in fumo, prima ancora di realizzarsi, da Hazuki stessa- Mikoto non merita di ricevere nessuna punizione, tanto più visto che sarebbe causata dalle mie scelte! Io... Io sono una codarda... Avrei dovuto..." Faticò a continuare, coprendosi poi il viso con le mani.
"Di cosa stai parlando?" La interrogò lui, privo di tatto.
"...Di come questo clan ci impedisca di vivere, libere di amare chi vogliamo. -Riferì con tono fermo Mikoto, non c'era cattiveria nella sua voce, soltanto verità amare e stanchezza- Le nostre leggi, dogmi stabiliti da uomini come te, hanno spinto una semplice ragazzina alla fuga, ad abbandonare la sua casa, la famiglia, il villaggio. E sai perché? Perché colpevole di amare qualcuno con un cognome diverso!
Ci hai fermate, sì, spero ne sarai fiero e che la notte, i tuoi incubi, non ti ricordino la persona indifesa a cui hai rovinato l'esistenza" Sorrise sottile, con un filo di sarcasmo.
Fugaku le si avvicinò lentamente e la kunoichi quasi non estrasse il kunai, per difendersi, quando le tolse il bagaglio dalle mani, senza guardarla in viso e informando ruvido "Stavo fermando te, non lei. -Disattivò lo Sharingan, rivolgendosi direttamente all'altra- Vuoi andartene? Vai pure. Non siamo carcerieri come la tua amica pensa" Concluse, porgendole stizzito i suoi effetti personali.
"Io non...".
Incapace di capire cosa fare, come comportarsi od interpretare quelle parole, incrociò gli occhi liquidi con quelli di Mikoto, ritrovando un minimo di speranza al notarla annuire e farle segno di andarsene davvero. Ora che poteva, prima di un improvviso cambio di idee.
"Scusami... -Cacciò il nodo in gola, provando a rivolgersi allo shinobi- Mikoto ha solo... Solo cercato di aiutarmi...".
"Vattene, o ti scorterò personalmente in prigione" La minacciò, malgrado apparisse palesemente meno infuriato che in precedenza.
Mikoto continuò ad osservarli, cercando di nascondere al meglio la sua confusione; seguire Hazuki con lo sguardo, sin quando non le fu impossibile distinguerla nella notte, quasi la rasserenò, anche se ancora non riusciva a capire perché l'avesse lasciata andare.
Proprio lui. Di solito ligio al dovere e amante delle regole.
"Vuoi i ringraziamenti?" Domandò, caustica come sempre nei suoi riguardi.
Fugaku scosse piano il capo "Perché l'hai aiutata a scappare?".
"Ti interessa?".
"Sì, molto".
La ragazza rimase spiazzata dalla sincerità di quella risposta, tanto che, di nuovo, sentì le guance andare a fuoco per l'imbarazzo e avvertì il prepotente desiderio di sotterrarsi.
"Perché mentre la guardavo piangere con il cuore spezzato, mi son detta che, fossi stata lei, avrei voluto un'amica che mi aiutasse a trovare il coraggio di fuggire" Dichiarò onesta, stringendosi nelle spalle magre.
"Quindi scapperesti anche tu?".
"Perché dovrei? -S'addentò il labbro inferiore, indecisa se valesse la pena esporsi e mettere a nudo i propri sentimenti davanti al nemico- Amo la nostra famiglia, malgrado i tanti difetti, e rispetto i miei genitori. Non ho mai pensato di arrendermi, anzi, voglio rimanere e conquistare i diritti che mi spettano, in modo da non vedere più le donne del nostro clan venir considerate deboli da voi. Non lo siamo!
Mi piacerebbe che i miei figli, semmai ne avrò, non sentissero sulla schiena il peso di questo cognome schiacciarli, liberi di amare chi vorranno, senza conseguenze. Finalmente integrati nella comunità di Konoha.
Non voglio mettere da parte le mie ambizioni e fuggire, né prendere la via più facile e sposarmi con il primo uomo che passa, come mi hai gentilmente suggerito..." Si bloccò di colpo quando udì la risata soffocata di Fugaku.
"Lo trovi divertente?" Inveì, velenosa. Quasi delusa da quella reazione.
Lui si morse la lingua, guardando ovunque, tranne che in direzione di Mikoto e, abbassando il viso mentre, maldestro, cercava di sciogliere i muscoli intorpiditi del collo, disse "Mi dispiace. Hai interpretato male le mie parole quella volta, non ti considero debole, però...".
"Però?" Lo incitò a continuare, rimanendo sulla difensiva.
Fugaku, stranamente in difficoltà, biascicò "...Era un modo per chiederti se io avessi potuto prendermi cura di te".
Fu come ricevere uno schiaffo in faccia, o un secchio d'acqua gelata in pieno Inverno. Per la prima volta in anni di conoscenza e accese discussioni, Mikoto s'era davvero soffermata a guardarlo, come se avesse indossato un paio di occhiali e scacciato la patina nebbiosa che li divideva. A differenza di ciò che aveva sempre creduto, le iridi nere non erano fredde e, per quel che poteva vedere durante quella serata luminosa, nemmeno intrise di cattiveria; gli zigomi marcati s'erano perfino macchiati di rosso a causa del profondo imbarazzo, intanto che, in modo decisamente comico, riprendeva a massaggiarsi la cervice dolente e lanciarle sguardi apprensivi.
Talmente timido da risultare adorabile...
"Non ho bisogno di essere protetta da un uomo" Le uscì spontaneamente, dispiacendosi un attimo dopo della malignità dimostrata.
Fugaku sospirò intristito, ma poi le sorrise "Allora prenditi tu cura di me".
In quel momento, sentendo un inusuale calore al centro del petto, Mikoto seppe di essere finita con le spalle al muro e, a vederlo avvicinarsi sempre di più, lo stomaco le si contrasse doloroso in preda all'ansia. Singhiozzò, sconcertata, quando le braccia del ragazzo le cinsero la schiena, il suo viso s'immerse fra i lunghi capelli corvini e il respiro leggero le riempì le orecchie. Concentrata unicamente su di lui. Loro.
"Va bene se mi odi, ma per favore non te ne andare, Mikoto".
"...Baka" Borbottò irritata, certa di essere davvero stata fregata quella volta.  

Tanto ti odio, quanto ti amo.Where stories live. Discover now