Capitolo undici

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Maggio 2018

Ero sdraiata sul mio letto a pancia in su con le cuffie nelle orecchie, ascoltavo i Beatles e provavo a rilassarmi, ma la mia mente non faceva altro che pensare al fatto che erano passate ormai alcune settimane da quando avevo sentito Michela e Alejandro discutere in laboratorio. Avevo aspettato che lui me ne parlasse ma, appunto, a distanza di settimane non mi aveva ancora detto nulla. Ed io lo osservavo comportarsi come se fosse tutto normale, come se non avesse un peso sulla coscienza: mi sorrideva, mi abbracciava, mi baciava. Mi prendeva in giro, mi mentiva. Ed io non avrei sopportato questa situazione di apparente normalità un secondo di più. Se lui non voleva affrontarmi lo avrei fatto io. Mi alzai di scatto dal letto, mi infilai le scarpe, presi al volo la borsa e mi precipitai giù dalle scale correndo. Presi la bici appoggiata alla recinzione che circondava il giardino ed iniziai a pedalare il più velocemente possibile. Sfrecciai per le strade di Roma che si beavano degli ultimi raggi di sole e del calore che maggio portava con sé. Quando arrivai davanti al campanello di casa sua, valutai l'ipotesi di tornare indietro: così sarebbe stato tutto più facile, ma al tempo stesso sarebbe stata la scelta sbagliata perché così facendo avrei ignorato il problema e questo comportamento codardo non mi si addice proprio. Feci un bel respiro e suonai, mi rispose la voce squillante di Michi -Chi è?- un altro respiro profondo -Sono io, sono Fra... C'è Ale? -dissi con voce incerta -Certo! Ora ti faccio salire.- prontamente replicai -No, no Michi è meglio se viene lui in giardino.- lei fece una pausa.
-Va tutto bene Fra?- esitai, l'ultima cosa che volevo era mentirle -No.- detto ciò chiusi la comunicazione. Sentii il cancellino scattare ed aprirsi, lo oltrepassi lasciandolo poi socchiuso. Entrai in giardino, subito la mia attenzione venne richiamata da un cespuglio di rose bianche: me ne aveva regalata una bellissima per il nostro primo mese insieme. Prima che i miei pensieri potessero andare oltre, scavando nella mia memoria, sentii la sua voce -Ciao amore.- mi abbracciò da dietro, ma subito mi scansai. Girandomi, notai la sua espressione ferita, ma non ci diedi peso. Non era lui che era stato ferito. Inchiodai i miei occhi nei suoi
-Dimmi la verità.- Impallidì, avevo fatto centro. Cercò comunque di ricomporsi -Di cosa stai parlando?- lo incenerii con lo sguardo -Ti ho sentito parlare in laboratorio con Michela, cos'è che mi tieni nascosto?- cercò di controllarsi, non voleva far trasparire ciò che davvero pensava -Non ti tengo nascosto nulla... Non so nemmeno di cosa tu stia parlando...- lo attaccai ancora, con più forza -Basta! Ne ho basta delle tue bugie! Ho aspettato che me ne parlassi, ma non l'hai fatto. È da settimane che mi prendi in giro!- ora ero veramente furibonda, stava venendo fuori tutto quello che avevo represso in quelle settimane: dubbi, frustrazione, rabbia.
-Okay... Okay, Fra... Ti dirò tutta la verità, vieni, siediti.- ci sedemmo su una vecchia panchina in ferro battuto vicino ad un vaso di variopinte azalee, incrociò il suo sguardo con il mio -Mia mamma aveva il dono di sapere come tenere unite le persone. Era lei il legame tra mio padre e me. Quando avevo dodici anni è morta, e da allora mio padre ha iniziato ad entrate in un brutto giro... Tornavo a casa da scuola e lui non c'era... Lo sentivo rientrare quand'era notte fonda ed io facevo finta di dormire: avevo paura di lui e della gente che frequentava. Era gente meschina e senza scrupoli, gente che, con il passare degli anni, ha ingannato anche me con false promesse e finte amicizie. Potrei giustificarmi dicendo che ero solo un ragazzo, avevo sedici anni, ma non lo farò. Spacciavamo droga, io e mio padre, questa è la verità. Siamo andati avanti così per parecchi mesi, durante i quali ho perfino lasciato la scuola. Una notte eravamo in calle de Santa Cruz e vendere la roba, gli amici di mio padre avevano detto che era un appostamento strategico: niente controlli e tanti clienti.- fece un sorriso amaro - Ci hanno arrestati entrambi: lui è finito in prigione ed io in una casa famiglia, dove rimasi per alcuni mesi. Mio padre aveva deciso di collaborare con la polizia, ma qualche giorno prima dell'interrogatorio l'hanno trovato morto nella sua cella. Era chiaro che i suoi amici non volevano che parlassimo dei loro affari. Visto ciò che era successo a mio padre, decisero che avrei dovuto lasciare l'Argentina. Così contattarono gli agenti italiani ed in pochi giorni mi spedirono qui. Il padre di Michela è un agente incaricato di proteggermi ed io non sono un exchange student, ma un fuggitivo.- non riuscivo a dire nulla, non ero nemmeno in grado di guardarlo negli occhi
-Non mi chiamo nemmeno Alejandro, il mio vero nome è José.- ed eccola lì la pugnalata finale. Lentamente mi alzai dalla panchina -Fra, ti prego, dimmi qualcosa...- mi girai verso di lui, ero delusa come non lo ero mai stata -Esci dalla mia vita, non ti voglio più vedere.- lui abbassò lo sguardo, mi girai ed iniziai a correre, aprii il cancellino, presi la bici e iniziai a pedalare verso casa mentre le lacrime scendevano copiose sulle mie guance.

Spazio autrice:
Ciao bella gente di Wattpad📖
Come state?☀️
Che ne pensate di questa scioccante rivelazione da parte del nostro protagonista?🙊Scrivetemelo qui sotto nei commenti💬 e votate il capitolo⭐️
Io vi mando un beso😘 e ci vediamo al prossimo aggiornamento!!!

-giuls

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