C. B.

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21 Marzo, anno 2018
Da qualche parte imprecisata,
Blossom.

In tutta la mia vita credo sia la prima volta che io mi ritrovi a raccontare la mia storia, sempre data per scontata, insignificante, di poco spessore, soprattutto per la tragicità che si porta dietro e che, a tratti, sembra stare al limite dell'incredibile.
Dicono che una vita inizi dalla nascita. Io, per ciò che mi riguarda, posso dire che la mia sia iniziata molto prima, da quando mia madre, giovane donna incasinata, ha deciso per tutti che avrebbe portato avanti quella gravidanza imprevista, costi quel che costi.
Di lei so solo che era una ragazza bellissima, folti capelli neri – di cui ne porto dei ciuffi lunghi fino alle spalle – occhi da cerbiatta, sorriso da "ragazza della porta accanto".
So solo che il suo nome inizia per N. e che era appena maggiorenne quando mi ha partorita; mi chiamava "il mio piccolo fiore" già quando abitavo, senza saperlo,il suo ventre.
«Rakefet, piccolo amore di mamma... che ne dici di uscir fuori e prenderti tutti i fiori?»
Lo ripeteva sempre, come se fosse una cantilena. So che in giro diceva che avrebbe partorito il fiore più bello di tutti e che lo avrebbe custodito anche a costo della sua stessa vita. Ha perfino preso un aereo per volare fino Blossom, la terra dove fiorisce anche in inverno e i boccioli spaccano il ghiaccio che la ricopre, perché potessi nascere in mezzo a loro...    

    N. era così felice della creatura che le germogliava dentro che i suoi nervi non hanno retto di fronte al viso turbato dell'ostetrica. Suor Miryam era di turno quella notte e, come dice lei, Dio solo sa quante lacrime N. abbia versato quando è uscita dalla sala travaglio.
«Vuole prenderla in braccio?»
Suor Miryam ha provato a convincerla. N. diceva che quell'essere non era il suo piccolo fiore, che doveva esserci uno sbaglio.
Sono uscita dalla clinica fra le braccia della suora.
Questo è tutto ciò che so di N., della vita prima della vita, una rinascita che non ha cessato di portarsi avanti e addosso e dentro tutto il peso di non riuscire ad essere quel piccolo fiore in boccio.    

    Forse sarebbe meglio che vi spiegassi il perché, ciò che l'ha convinta ad abbandonare la sua bambina fra le braccia di una religiosa di passaggio; ma, per una volta, vorrei che questo dettaglio venisse chiarito solo alla fine di ciò che vi voglio raccontare, che voi possiate vederla come una storia fra le altre e immaginare, fantasticare, immergervi, come avreste fatto normalmente, senza portarvi addosso il fardello e il peso di quella cosa che ha cambiato così bruscamente le idee di N. nel giro di qualche ora.

    Qualcosa mi dice che so cosa state pensando, che lei sia stata ingiusta, che non lo meritavo -qualsiasi cosa sia quella cosa, non si abbandona un figlio in questo modo- e forse vi darei anche ragione se non fosse che di persone come N. ne ho incontrate così tante nella vita che ho smesso di biasimare anche lei, dopo qualche anno di consapevolezza.
In certi orfanotrofi, e non ne faceva eccezione quello in cui Suor Miryam operava, ci sono come dei cataloghi che, con qualche soldino in più, passano sottobanco affinché si possano vedere le foto dei bambini in lista e vi si possa scegliere quello più adatto, o il più bello, quello che somiglia più i genitori...
In quelle foto non apparivo nemmeno. Suor Erzin diceva che sarebbe stato inutile (glielo sentii dire una sera, mentre fumava con altre suore sotto i portici su cui si affacciava la mia camera.)
Ricordo che ne piansi, soprattutto quando iniziai a vedere i bambini andare via, uno dopo l'altro, altri nuovi arrivare e andar via prima di me che ormai ero fra i 'vecchi' – eravamo rimasti solo io e Ludgwig, cui diagnosi di schizofrenia l'aveva fatto alloggiare "altrove".    

    Stare in un angolino, rannicchiata con le ginocchia quasi in bocca, era diventato un habitué. Ero l'unica bambina ad avere il 'privilegio' di poter scegliere se entrare nella camera dove stavano, volta dopo volta, giovani coppie dai visi sorridenti e felici di poter scegliere quale cucciolo tirar via dallo scatolone. Lo sentivo già, come se avessi dei sensori attaccati all'epidermide, come la temperatura sbalzava di colpo quando entravo in camera seppure occupassi uno spazio minimo in un angolino remoto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 14, 2018 ⏰

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