Riccardo
Fausto prestò quattrocento euro quella sera. Mi disse che glieli avrei restituiti quando avessi vinto altri soldi, ché lui era sicuro che avrei avuto qualche bella botta di culo. Mi misi a ridere quando me lo disse, ma quei garzoni davanti a me mi guardavano con fare molto serio, e già sapevo dalle loro facce che avrebbero voluto farmi a pezzi per l'invidia.
Chemin de fer era un gioco davvero insensato, in cui era vero che andavi avanti solamente con le botte di culo, e non mi dava gusto: non potevo assicurarmi che niente andasse storto, perché se andava storto era perché ero un po' sfigato. Dovevano capitarmi molti otto e nove tra le mani. Tutto qui. E me ne capitarono parecchi quella sera. Ecco perché era un gioco molto stupido, non mi facevo sudare il cervello in statistiche e probabilità e problemi di logica, mi sudavano solo le mani. Però finché avessi vinto, me lo sarei fatto andar bene.
Il banchiere era un proprietario di una ditta di cosmetici da uomo. Lo guardai per capire se fosse almeno un po' gay. Indossava una camicia bianca e un pantalone di seta rosa, e aveva un grande neo proprio cucito sopra il labbro, che si slinguacciava quando distribuiva le carte. Forse voleva portarsi fortuna. Mi uscirono un cinque e un asso. Chiamai un'altra carta. Fausto mi disse che ero matto.
<<Non si parla qui>> ammonì un barbuto all'altro capo del tavolo. Aveva una barba grigia molto folta, ingiallita sul lato destro del mento dove pendeva la sigaretta. <<Vuoi una?>>
<<No.>>
<<Non fumi?>>
<<Oh, solo!>>
Insistette per passarmi una sigaretta. Era una Philip Morris che mi fece ribollire un conato di vomito in fondo alla gola.
Il sabot sputò fuori un'altra carta. Un due. Cinque e asso e due uguale otto. Finii la Morris sforzandomi di succhiarla con goduria. Fausto si piegò sopra la mia spalla. <<Lo vuoi un suggerimento?>>
Scossi la testa. <<So già come fare.>>
<<Ma se hai appena iniziato!>>
<<Hanno delle facce che sono delle mappe di ciò che hanno tra le mani>> dissi.
Il banchiere con i pantaloni rosa contrasse la mascella e le labbra gli si riempirono di rughe. <<Niente suggerimenti.>>
<<Non mi sta dicendo nulla. Non ne ho bisogno.>>
<<Ah, no?>>
<<Non nei giochi di merda come questi.>>
Il barbuto sghignazzò e mi disse se volevo un'altra sigaretta. Gli risposi di no. Se volevo aveva anche altro, aggiunse. Anche io, risposi. Poi mi squillò il cellulare in tasca. Lo sentii vibrare sulla coscia e lo sentirono anche gli altri. Feci per prenderlo.
<<No>> udii.
<<Perché no?>>
<<Non si parla. Quando si gioca si gioca.>>
<<Che regolamento è?>>
Il banchiere mi tese una mano aperta. Il barbuto, in fondo, scrollò le spalle e sbuffò cerchi di fumo. Guardai lo schermo. Era Maddalena.
<<Devo rispondere.>>
<<No. Dammelo.>>
<<Non posso. E' la mia ragazza.>>
<<La tua mano verrà considerata morta se rispondi.>>
Gli consegnai il cellulare mentre l'ultima nota di Smells Like Teen Spirit palpitava in sottofondo. Mi dissero che lo avrei ritrovato al bancone di ingresso quando fossi uscito. Uno di voi mi tradirà, voleva dire Cobain, ed ero io quel Giuda bastardo. Continuai a giocare. Le mani successive non furono fortunate come le prime, però vinsi settecento euro quella sera. Quattrocento ne restituii a Fausto.
Mi portò fuori stringendomi per una spalla e battendomi una mano sul petto. Forse ero stato ricco secoli fa, e in quella vita ero magari anche un fortunato nobiluomo, e ora mi stavo riprendendo tutto, mi disse.
<<Può darsi. Ma la prossima volta fumo le sigarette mie.>>
Venni a sapere che quel banchiere con i pantaloni rosa era un padre di famiglia e che se la faceva con la cameriera tettona del casinò. A casa aveva tre figli piccoli che lo aspettavano a guardare i cartoni animati alla televisione.
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CarlaRiccardo quella sera aveva deciso di pagarci una nottata al Piper. Portai anche i pubici con me. Gli altri mi dissero che ero pazza, ché erano troppo piccoli quei demoni, ma erano già abbastanza alti e avevano fattezze da adolescenti imbrufoliti, quindi i buttafuori non avevano detto niente. Nella sala, oltre alle luci gialle, rosse, viola, verdi e blu, sciamava anche una canzone uscita proprio quell'anno mischiata ad un'altra canzone e tutto era house e orribile. Alcuni si baciavano sui divanetti. Altri aspettavano di farsi alcolizzare dietro i banconi, con tutte quelle bottiglie colorate che si alzavano e che si rovesciavano nei bicchieri di plastica. Altri si erano già fatti di beveroni prima di entrare, e si capiva perché si contorcevano in un angolo aspettando di vomitare.
Ci sedemmo a terra.
<<Ci sono due tipi di drink che dovete evitare: il Sex On The Beach e il Malibù Cola. Il primo perché non fa una minchia, il secondo perché fa schifo.>>
Ripeterono quello che avevo detto ridendo. Vollero assaggiare il drink che avevo preso io. Lo valutarono facendo scorrere la lingua sul palato molto attentamente. Non sembravano soddisfatti.
<<Cos'è questa puzza?>> chiese Mattia tirando su con il naso.
<<La svampata dei bomboni.>>
<<Cioè?>>
<<Le canne>> spiegai. <<'Na specie de droga.>>
Mi guardarono interdetti.
<<Tu ti fai i bomboni?>>
<<A intervalli sì, me li faccio. Smetto... riprendo... riprendo... smetto.>>
<<Fanno male?>>
<<Dipende come reagisce il tuo corpo.>>
<<Di che ne sanno?>>
<<Di avariato.>>
<<Ma i tizi addetti non controllano che la gente non si faccia i bomboni?>>
<<I tizi addetti sono come i genitori. Dovrebbero supervisionare, ma hanno sempre la testa sopra la superficie e non sanno quello che succede sotto.>>
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I cinque nomi di Roma
General FictionLa storia tratteggia le vite di cinque amici che vivono a Roma, un sottofondo pulsante e onnipresente, che annebbia agli occhi altrui le personalità di Maddalena, adolescente sensitiva dotata di poteri di chiaroveggenza, innamorata del bell'Alessand...