Settimo capitolo: Loto incantatore.

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Credevo che la pioggia avrebbe lavato via tutta la mia tristezza, invece ogni goccia che cade sul mio viso è una lacrima nel mio cuore.

Sakura rimase realmente sorpresa e senza parole, torturandosi intimidita le dita delle mani strette in grembo, nel frattempo che avvampava, a disagio, al cospetto di quelle iridi luminose; la analizzavano, attente ed incuriosite, con un pizzico di compiacimento da lei difficilmente interpretabile.
Respirare l'odore conosciuto del tatami, però, la aiutò a rilassarsi: il particolare profumo di legno e polvere, misto ad erba e paglia, la fragranza tipica del jinja che aveva imparato a considerare casa. Un rifugio fidato.
Educata s'inchinò leggermente in segno di saluto, rivolgendo poi un nuovo sguardo ammirato all'estranea. D'una bellezza inumana.
La donna indossava un complesso ed arzigogolato junihitoe a dodici strati, un kimono tradizionale d'antica fattura, probabilmente visto da Sakura soltanto in televisione, durante qualche sfarzoso matrimonio imperiale. La flebile luce delle lanterne da interno scivolava finemente tra le pieghe della preziosa stoffa dal colore aranciato e bianco e, gli ornamenti delle ampie maniche, così come i disegni ricamati sul petto florido, parevano quasi veri filamenti d'oro.
Il viso della sconosciuta era pallido e scarno, coperto da un velo di cipria e le labbra erano state truccate alla perfezione, come la più aristocratica delle geishe, da una tinta ciliegia; le folte ciglia nere formavano piccole ombre danzanti sugli zigomi alti e femminei, incorniciando i due occhi rubino, ancora rivolti all'umana.
Incantevole e volutamente seducente, trasudava eccitazione e pericolo.
Riconobbe qualcosa di anomalo e familiare in quella meravigliosa creatura, nella maniera in cui la guardava, mesta e deliziata allo stesso tempo. Sprigionando un'incontenibile malinconia.
Ancora Sakura, nonostante fosse terribilmente mortificata da quelle emozioni, non poté fare a meno di soffermarsi sui lisci capelli d'ebano, acconciati elegantemente all'indietro con fermagli floreali; una lunga ciocca sfuggita alla macchinosa capigliatura carezzava il collo da cigno e le mani affusolate, dalle unghie curate dipinte d'un cupo violetto, reggevano il rigido uchiwa bianco e rosso, che di tanto in tanto muoveva delicatamente dinnanzi al viso algido e nobile.
Dopo secondi che parvero un'eternità le mostrò i denti appuntiti, parlando per la prima volta "Avresti dovuto legarti i capelli, fortunatamente hai gusto nel vestirti... -Prese una pausa, quasi stesse valutando cosa dire, poi sospirò intristita- Sei molto bella".
La ragazza sfiorò le ciocche rosa, lasciate libere, in un gesto istintivo, rimanendo sbalordita dal tono della sua voce: dolce, zuccherosa, eppure nascondeva una punta rude e tagliente, simile al metallo. Al suono della ruggine.
"D-domo arigatou, la prossima volta... Io..." Biascicò in difficoltà, incapace di concludere, malgrado quell'apprezzamento l'avesse stranamente resa felice e fatto imporporare ancor di più le gote morbide.
"Siedi vicino a me, Sakura".
Lei annuì, assecondandola, ma subito dopo voltò il capo alla sua destra quando sentì i passi pacati di Neji avvicinarsi; inclinò il collo e lo scrutò zelante seppur, a parte un paio di raffinati occhiali da vista, non ci fosse nulla di differente dal solito nel suo aspetto.
Ironicamente lo vide bloccarsi e soffermare dall'alto in basso l'estranea bellezza che aveva dinnanzi, forse lui stesso affascinato...
"Non dobbiamo incontrare l'imperatore, Madara-dono. -Lo scoraggiò, spietato- Il tuo modo eccessivo di fare, prima o poi, ci metterà nei guai" Concluse, senza peli sulla lingua.
La mascella di Sakura per poco non cadde a terra, sbiancando poi alla successiva affermazione di Kurama, che era saltellato nella stanza, seguendo lo Yosuzume "Che schianto, procione! Ti preferisco in questa forma, sai? Oppure morto".
Madara?
Il cuore della giovane Dea perse un battito, al rendersi conto che non era stata una donna qualsiasi a complimentarsi per il suo aspetto, bensì quel demone dai comportamenti spesso incomprensibili e rozzi, da cui però, ormai era palese anche a se stessa, desiderava ricevere attenzione.
Ancora sgomenta seguì i suoi movimenti, mentre fulminava con sguardo incarognito la piccola volpe e lo minacciava digrignando i denti. Si comportava davvero come un animale con la rabbia, alle volte.
"Dannati, sono stato costretto a rendermi ridicolo! Di certo non mi sarei mai trasformato in una sciatta borghese!".
L'incantesimo s'era infranto. D'istinto Sakura alzò gli occhi al cielo, nessun dubbio: era proprio Madara.
In mite silenzio decise comunque di sedersi vicino a lui, posò le mani sulle proprie ginocchia unite e cominciò a tormentare l'orlo del leggero abito primaverile, che a malapena le copriva la pelle candida e liscia. Per fortuna nessuno s'era accorto della brutta figura.
Fino a pochi minuti prima aveva avuto la certezza che il Tanuki non si sarebbe mai spinto a tanto solamente per aiutarla, abbassandosi a trasformarsi in una donna, invece era lì, a qualche centimetro di distanza, impegnato a lamentarsi del trucco fastidioso e del vestiario pesante. Malgrado lo avesse scelto lui.
Ridacchiò spontanea ed impercettibile, scrutando il profilo astioso, eppure aggraziato, intenerita dalla tenue ruga d'espressione nata sul naso arricciato d'irritazione; aggrottò le sopracciglia chiare, però, quando s'accorse della lievissima differenza di grandezza fra i loro petti, e di come Madara ne faceva bella mostra senza pudore.
"Il seno è troppo grosso" Disse acida.
Lui inclinò il capo in sua direzione, per poi sogghignare carico di sadismo "È invidia quella che sento, Pettanko? Vuoi il mio aiuto per ingranare la marcia, oppure preferisci rimanere indietro?".
A Sakura quasi non si rizzarono i capelli dietro la nuca; furiosa si sporse verso lo yokai, unendo con forza i lembi del kimono, dato che, nonostante strati e strati di stoffa, la scollatura era ben visibile ed indecente.
"No, grazie! -Sputò fuori, inviperita- La mia è educazione e contegno. Devi recitare il ruolo di una madre di famiglia, non quello di una prostituta in un bordello! Mi auguro tu sappia la differenza!".
Madara le sollevò piano il mento, avvicinandola "Sei gelosa".
Non sembrava neppure una domanda.
"Smettila di interpretare i miei gesti a tuo piacimento!" Sbottò, colpita sul vivo, liberandosi dalla presa leggera. La indisponeva così facilmente da farle girare la testa.
Neji li ascoltò contrariato e rassegnato, chiedendosi com'era possibile avessero la voglia e la forza di bisticciare costantemente, anche in situazioni del genere; guardò la ragazza, distratta dallo sforzo fisico compiuto nel cercare di distanziarsi da Madara che, seppur in forma femminile, non aveva rinunciato ad approcciarsi a lei, circondandole le spalle e sussurrando altre battutine sarcastiche al suo orecchio.
La frustrazione e il rimpianto provati lo stavano facendo agire troppo impulsivamente.
Di certo l'idea avuta da Hashirama di renderla un Ujigami non era stata per nulla malvagia, soprattutto se l'intera vicenda si fosse evoluta come, immaginava, anelasse l'ex protettore di Konoha. Il vero problema era Madara che, per quanto tenesse profondamente a Sakura, a ciò che rappresentava, non riusciva proprio ad accettarla nel ruolo di Dea...
In fondo lo capiva, e un po' lo commiserava.
Tornare a vivere a stretto contatto con qualcuno considerato perso sino a poco più di una settimana prima, ritrovarlo differente da come lo si ricordava e senza la minima reminiscenza di quel che li legava in passato, era stato un duro colpo anche per uno yokai all'apparenza glaciale e privo di emozioni come lui.
Madara la rivoleva. Era evidente.
Per quanto sembrasse lottare perfino contro se stesso, stava cercando di conoscerla di nuovo, apprezzare anche le lievi differenze nel carattere, e guidato dalla frenesia ingestibile di poterla riavere fra le braccia, non comprendeva l'errore nell'accelerare tempi ancora non abbastanza maturi. Allontanandola dai doveri che, da quel momento, Sakura doveva rispettare e far propri, per essere un buon Kami.
Esattamente per questo motivo Neji veniva costretto, il più delle volte, ad interpretare la parte del cattivo. Dividendo i bambini.
Tossicchiò, interrompendo la bassa risata del demone, poi lo riprese "Madara-dono, cerca di comportarti in modo femminile, i nostri ospiti saranno qui fra poco. E lei, Sakura-sama non penso tratterebbe in questa maniera sua madre, abbia un minimo di contegno".
"Hai ragione, scusaci" Rispose sincera, lanciando un'occhiataccia al Tanuki. Era insopportabile, pareva averla scambiata per un giocattolo.
Lui fece una smorfia seccata, assecondando lo spettro. Poco dopo, però, afferrò delicato la piccola mano dell'umana, intrecciando le dita con le sue e ricambiando, nell'istante in cui Sakura rialzò il viso, lo sguardo sorpreso con estrema tranquillità.
"Stai calma e composta, oppure inizieranno a fare domande. Comportati in modo naturale, intesi?" La istruì, acre.
Annuì, inflessibile, malgrado diverse domande s'annidarono nella sua mente durante quei pochi secondi. D'un tratto Madara la stava confortando, a modo suo.
Possibile che fin dall'inizio avesse intuito la sua angoscia? Che l'avesse infastidita tutto il tempo unicamente per distrarla?
"Alle volte non riesco a capirti, ma... Grazie" Le uscì spontaneamente.
"Non sei la sola".
Perché alle volte le sembrava inconsolabile?
Il sonoro e improvviso trillo del campanello catturò l'attenzione dei quattro inquilini, mettendo in secondo piano ogni antecedente discorso; la ragazza s'irrigidì ancor di più, ignara di ciò che li aspettava e chi potessero essere gli sconosciuti che, da lì a poco, inconsapevoli, avrebbero varcato la soglia della loro dimora per farsi ingannare da quegli ayakashi. Fin troppo tranquilli.
In quel momento sentì, appunto, Kurama sbadigliare profondamente, tediato dagli inconvenienti umani in cui s'era ritrovato coinvolto, visto che, dopo l'iniziale ilarità e le risate di scherno, anche la presenza di Madara in versione femminile era diventata vittima del suo menefreghismo.
Al che il Tanuki gli premette violento la mano sulla fronte, dov'era magicamente apparsa una foglia di loto, facendo scomparire all'istante orecchie e coda pelosa della piccola Kitsune che, in tutta risposta, arricciò il labbro superiore, ringhiandogli contro e cercando di morderlo. Odiava essere toccato da quel procione malefico.
"A cuccia, sgorbio" Lo colpì in testa con un pugno.
"Kisama!" Fumò dalle narici per la rabbia, promettendo vendetta.
Sakura decise di distogliere lo sguardo, per il bene della sua sanità mentale, seguendo in apprensione Neji mentre, con la solita antica signorilità, si dirigeva fuori dalla stanza, andando ad accogliere gli ospiti; provò ad affinare l'udito ma, a parte un chiacchiericcio di fondo, in pratica non comprese nulla della breve conversazione che si stava concludendo all'ingresso.
Seriamente in pena cominciò a mordicchiarsi l'interno di una guancia, accennando poi un sorriso educato, a tratti isterico, quando due distinti uomini d'affari varcarono la washitsu. Inspirò quindi una boccata d'aria, tenendo salda la presa sulla mano di Madara che, con il pollice, le carezzava il dorso della sua per rincuorarla. Inaspettatamente riuscendoci.
Lo Yosuzume indicò ai visitatori due comodi zabuton, invitandoli a sedersi ai piedi del basso tavolino, proprio di fronte alla ragazza, accomodandosi lui stesso e riferendo, cordiale "Signor sindaco, Hatake-san, per noi è un onore ospitarvi. Permettetemi di presentarvi la mia famiglia".
È intervenuto addirittura il sindaco di Konoha?
Di nuovo Sakura analizzò di sottecchi l'uomo dagli arruffati capelli biondi, incuriosita dal suo tremulo stiramento di labbra e dall'espressione gentile. Pareva però a disagio quasi quanto lei, come se non volesse essere lì.
Era davvero molto giovane, probabilmente nemmeno quarantenne e, di tanto in tanto, si voltava verso il collega: un ragazzo cupo, dagli affilati occhi d'onice, simili a lame di rasoi, ma palpebre pesanti e sguardo tediato.
Fu esattamente quest'ultimo a parlare, senza perdersi in convenevoli "Immagino siate a conoscenza del motivo di questa visita e della proprietà del tempio, signori...?".
Madara s'indispettì al tono saccente del moccioso, eppure, recitando alla perfezione il suo ruolo, provò ad ammaliarlo con la sua figura prosperosa e seducente, presentandosi "Uchiwa. Mio marito ha scelto di prendere il cognome della mia famiglia, in rispetto delle tradizioni della nostra nobile dinastia. -Spiegò mieloso, così tanto affabile che, nonostante fosse cosciente di chi si nascondeva dietro quel corpo femmineo e dalle curve abbondanti, persino la novella Divinità stentò a riconoscerlo- In realtà, e con imbarazzo, mi vedo costretta ad informarvi del grossolano errore da voi compiuto. Il jinja di Konoha è sempre stato gestito da noi Uchiwa, non esiste nessuna irregolarità" Concluse con delicatezza.
Minato si grattò una guancia, impacciato "Purtroppo non ci è mai stata riferita questa informazione, nemmeno l'ex sindaco ne era a conoscenza...".
"La struttura versa in stato di completo abbandono da oltre trent'anni, volete farci credere che è stata abitata tutto questo tempo, malgrado la pericolosità dell'edificio?" Domandò aspro Kakashi, immune al fascino della donna.
"Assolutamente no, Hatake-san. -Disse lei a denti stretti, provando a riacquistare calma- I miei genitori si trasferirono lontani da Konoha per gravi motivi familiari e, solo adesso, sono riuscita a tornare a vivere nella mia città natale. Se volete controllare, è tutto scritto qui" Protese al ragazzo dai capelli argentei una cartellina stracolma di varie documentazioni, ordinate meticolosamente per anno e rilevanza.
Neji parve soddisfatto del loro sconcerto, tanto che tutta la sicurezza trasparita da lui, la sentì chiaramente anche Sakura, ormai del tutto rilassata e fiduciosa nei riguardi dei due famigli. Erano davvero maestri dell'inganno.
Le setose ciocche more gli sfiorarono la guancia pallida mentre lo spettro si sporgeva, appoggiando sulla superficie lignea dello zataku due fotocopie e indicandole poi con le dita affusolate "La prima è l'atto di proprietà del tempio, firmato dal notaio, mentre questo è il certificato d'adozione di Sakura Haruno".
"Siamo così desolati per gli inconvenienti creati" Sorrise vittorioso Madara, non riuscendo a trattenersi.
"Vi chiediamo scusa. -Intervenne ancora Neji, spostando l'attenzione degli umani su di sé, dato che l'altro sembrava fin troppo contento di averli messi in difficoltà- Eravamo sinceramente convinti che tutta la documentazione fosse stata spedita mesi fa al Comune, ci siamo comportati in maniera troppo superficiale".
"In realtà... -Namikaze lesse e valutò attentamente i fascicoli magicamente apparsi di fronte a lui; c'era qualcosa di strano, seppur fossero indiscutibilmente reali, firmati e timbrati, ma tutta quella storia aveva un che d'incomprensibile- Forse è stato a causa dei nuovi archivi elettronici, possiamo prenderli per un controllo?" Chiese, rivolgendosi al capo famiglia.
"Certamente, abbiamo fatto delle copie a fronte di ogni eventualità".
Kakashi s'incupì maggiormente, rimanendo in silenzio. Teneva le braccia conserte e lo sguardo fisso in direzione della donna adulta, notando alcuni comportamenti anomali in lei, nel modo in cui continuava a studiarlo con le iridi rossicce, quasi lo stesse sfidando. In seguito gli venne naturale spostarsi ad osservare Haruno che, a differenza della presunta madre adottiva, abbassò il visino a forma di cuore, celando gli occhi smeraldo dietro le ciocche pastello.
Tornando a mostrare la propria agitazione.
Un'incomprensibile brivido d'avvertimento serpeggiò lungo la spina dorsale di Hatake, intanto che i tizzoni ardenti della signora Uchiwa s'erano fatti più intensi, infastiditi e, forse, il giovane immaginò soltanto il lampo di gelosia che li attraversò quando tornò ad incrociarli.
Le sue speculazioni mentali, però, vennero bruscamente interrotte dal lamento del bambino, rimasto sino ad allora composto ad annoiarsi, avendo deciso repentino di rendere l'intera faccenda più movimentata.
"Mama, io ho fame!" Esclamò imbronciato, dopodiché si lanciò fra le braccia della 'donna', rannicchiandosi innocentemente sopra il soffice seno e ghignando strafottente in direzione del Tanuki. Facendolo tremare di rabbia repressa.
Idiota di un procione, pensavi davvero che non mi sarei vendicato alla prima occasione?
L'adulto sentì scorrere nelle vene il desiderio fracassargli il cranio con un pugno tuttavia, costretto a far leva sulla razionalità, carezzò gentilmente la nuca scarmigliata, dichiarando premuroso "Abbiamo degli ospiti, tesoro, non essere maleducato".
"Rimangono anche loro per cena, mama?" Sfarfallò le corte ciglia.
Ti ammazzo, schifosa Kitsune!
"Per noi sarebbe un onore, oltre che un piacere" S'intromise Neji, augurandosi un miracolo ed un rifiuto. Madara non avrebbe resistito così a lungo in quella forma.
Sakura tossicchiò una risatina, ma in seguito, percependo la rigidità di Madara che, in maniera meccanica, stava ancora sfregando la chioma rossa di Kurama, quando in verità era palese, almeno per lei, stesse pensando a come staccargli il collo, gli rivolse un piccolo sorriso d'incoraggiamento.
"Un... Immenso piacere" Recitò controvoglia, adocchiando l'espressione angelica della ragazza. Non lo aiutava per nulla, non se cominciava a preoccuparsi in modo così adorabile di lui.
La fortuna sembrò baciare lo ayakashi, dato che, sistemando accuratamente i documenti all'interno dell'apposita cartellina, Minato Namikaze rivolse loro un cenno di commiato; ritornò in piedi, inchinandosi educato e alla fine disse "Abbiamo abusato sin troppo della vostra gentile disponibilità, mi scuso per tutti gli inconvenienti che si sono venuti a creare".
Lo Yosuzume annuì serio e comprensivo, poi strinse con fermezza la mano del sindaco di Konoha e salutò anche il giovane assistente che, in completo silenzio, s'era già incamminato verso l'uscita.
"Sakura-sa... Figliola, potresti accompagnarli all'uscita?" Corresse appena in tempo la possibile gaffe.
"Sì, Uchiwa-san" Biascicò, raggiungendoli e invitandoli a seguirla in direzione dell'ingresso. Ma prima di andarsene, dopo aver indossato di nuovo le loro scarpe, il maggiore si passò una mano fra i capelli biondi, in imbarazzo. Probabilmente dispiaciuto di aver, all'apparenza, scomodato delle brave persone, considerando anche tutto ciò ch'era accaduto nei mesi passati alla ragazzina che aveva di fronte.
"Per favore riferisci ai tuoi tutori che parlerò io con la scuola per la tua ammissione, vi informerò fra qualche giorno di ogni cosa".
"N-non deve disturbarsi!".
"È il minimo, nessun disturbo" Dichiarò, visibilmente più rilassato all'esterno del jinja.
Rendendosi conto di quella determinazione Sakura lo ringraziò ancora una volta, incrociando successivamente le iridi scure di Kakashi che, nonostante tutto, continuava a studiarla con velato interesse e lanciare strane occhiate all'interno dell'abitazione.
Dubbioso nei riguardi di quella famiglia piena di misteri.
"Ci faremo sentire" Disse pungente, sentendosi quasi ingannato.
"S-sì, certo...".
Aveva risposto a malapena, riflettendo su quel comportamento scontroso mentre i due procedevano lentamente in direzione della ripida scalinata, che li avrebbe portati al di sotto della verde collina dove l'unica struttura era proprio il tempio di Konoha.
Alzò gli occhi smeraldo ad un cielo insolitamente plumbeo, rimanendo all'esterno, coperta dal porticato di legno, per ancora qualche minuto. Portò una mano al petto, liberando un sospiro e scacciando la precedente ansia, consapevole che sino ad allora tutto s'era risolto nel modo migliore e, ancora una volta, avrebbe dovuto ringraziare Madara di questo.
S'adombrò, domandandosi per quale motivo una serie di sentimenti contrastanti sbocciavano nel suo cuore non appena si soffermava troppo sulla figura sfuggente dello ayakashi.
Perché si sentiva invischiata in un legame che non comprendeva?
Fu quasi rassicurante, e allo stesso tempo spaventoso, riconoscere il suono dei suoi passi intanto che le si avvicinava in silenzio, e sobbalzò quando la abbracciò da dietro, voltando poi il viso per mostrare il proprio sconcerto a quel gesto troppo familiare.
Bambinesca gonfiò le guance nel momento esatto in cui il mento di Madara venne appoggiato sopra la testa rosa, tornando a guardare davanti a sé e cercando inutilmente di ignorarlo.
Perché non lo scacciava?
"Insopportabile" Soffiò lui, indispettito. Dal modo in cui trascinava la voce pareva stanco.
Sakura arcuò un sopracciglio chiaro. Nemmeno un secondo dopo che il sindaco e il suo scagnozzo s'erano eclissati, ovviamente, quell'idiota permaloso aveva ripreso la sua vera forma, iniziando a lamentarsi. Ed era certa sarebbe rimasto infuriato giorni e giorni.
"Il miglior modo che hai trovato per vendicarti è soffocarmi?".
Sbuffò irritato. Le braccia muscolose la strinsero ancora di più, spingendola verso il torace.
"Davvero insopportabile".
"Sei così infantile! Non ti ho obbligato ad aiutarmi!".
"L'umano... -Sussurrò digrignando i denti come una belva, fermando le sue proteste- Ti ha guardata, tutto il tempo".
La ragazza all'inizio non parlò, poi tossicchiò una risata isterica e scacciò l'assurda sensazione che Madara fosse geloso di lei; si morse il labbro inferiore, puntando gli occhi al pavimento.
Presumibilmente stava soltanto scaricando la rabbia repressa per esser stato costretto a fingersi una donna. Ed aveva deciso di utilizzarla come capro espiatorio.
Niente di più.
Delicata e di malavoglia si distaccò da quella piacevole costrizione, appuntando una ciocca di capelli rosa dietro l'orecchio, gesto sintomo del suo nervosismo "Se ti riferisci a Kakashi Hatake era sospettoso nei riguardi di tutti noi, non ho fatto nulla per attirare la sua attenzione... O forse sei infastidito perché non ha riconosciuto il tuo fascino? -Lo punzecchiò, provando a cambiare discorso. Ma appurò che lui non le avrebbe mai risposto, preferendo continuare ad incenerirla con lo sguardo, quindi disse seria- Sei arrabbiato, vero? Mi dispiace. Sono desolata per aver di nuovo messo tutti voi in difficoltà a causa dei miei capricci e ormai credo di averlo capito: non posso più pensare soltanto a me stessa.
Però ho sempre agito di testa mia, credevo di essere forte e indipendente, quando in realtà mi sono resa conto che ho ancora molto da imparare. Io non voglio essere un peso per nessuno, non voglio esserlo per te.
Quindi... -Prese un profondo respiro, poi parlò carezzevole- Grazie di essermi stato vicino anche questa volta. Perdonami" Chinò leggermente il capo in avanti.
"Tu. -Il tono grave s'era fatto maggiormente rauco, come se un peso nel fondo della gola gli impedisse di esprimersi- Tu sei una sciocca".
"Ehi! Mi sono scu...".
Le rimostranze le morirono in gola quando il demone afferrò aggressivo le sue spalle e avvicinò il visino sconvolto al proprio; gli occhi verdi si sgranarono d'istinto, poiché, per un millesimo di secondo, ebbe l'assurda impressione volesse azzerare i pochissimi centimetri che dividevano le loro labbra. Baciandola.
La bocca di entrambi era leggermente schiusa, il fiato corto e pesante, mentre le iridi rubino la infiammavano con intensità e le mani grandi di Madara scivolavano verso il basso, sfregandosi sulle braccia congelate allungate contro i fianchi, sino ad arrivare ai polsi sottili, rinchiudendoli nell'ennesima stretta.
Le tremavano le gambe. Che doveva fare?
Non capiva più nulla, né sapeva dare una spiegazione a quelle emozioni; un calore familiare, però mai provato prima di allora, le stava bruciando lo stomaco e la tipica fragranza dello yokai le inebriava i sensi.
Aveva sete. Fu quello l'unico e ridicolo pensiero che attraversò la mente di Sakura in quel momento. Aveva una gran sete.
"Madara, sono qui..." Mormorò quell'accorata rassicurazione non conoscendone il motivo e dopo sollevò lentamente un braccio, in modo da sfiorare, con la punta delle dita, il mento squadrato dell'uomo. Le gote si imporporarono d'imbarazzo e piacere quando le baciò l'angolo della bocca, scendendo poi verso il collo affusolato e respirando il suo profumo.
Fiori. Rimpianto.
L'odore di un destino crudele scolpito nella roccia.
Sakura strinse la stoffa del kimono scuro all'altezza del petto e in seguito socchiuse le palpebre, a celare gli occhi liquidi. Avrebbe dovuto allontanarlo prima di commettere un grave errore. La maniera disperata in cui la avvolgeva e sfregava le labbra sottili sulla pelle accaldata, però... La distruggeva. Polverizzava la razionalità.
Senza conoscerne il motivo le guance rosate vennero solcate dalle lacrime, quasi non avesse atteso altro che quel contatto. Da tutta la vita. Come se l'anima frammentata avesse dormito all'interno di una crisalide, immobile, ad attendere lui. Il suo risveglio.
La giovane singhiozzò confusa, aggrottando la fronte spaziosa quando fu Madara il primo a distanziarsi; desolato, nel pieno di un sanguinoso conflitto contro se stesso.
"Sono così debole! -Sputò fuori, irato, rivolgendosi più a se stesso rispetto a lei- Il mio compito era quello di istruirti, invece riesco unicamente a metterti a disagio con il mio masochismo".
"Per quale motivo ti consideri un masochista?".
I lineamenti nobili e pallidi del demone si distorsero a quella domanda "Stare vicino a te... -Iniziò affaticato, costretto a portarsi la mano alle tempie pulsanti- Stare vicino a te è peggio di quanto potessi immaginare. Non sono adatto... Non resisterò...".
Fu come ricevere un gancio allo stomaco per Sakura, che non avrebbe mai creduto di poter provare un dolore del genere e prominente, soltanto all'udire le frasi deliranti d'una creatura inumana ancora circondata da fitti misteri.
Il corpicino tremante di frustrazione però sembrava voler agire unicamente guidato dall'istinto e da un'incomprensibile sofferenza, dato che a dispetto della logica, tornò a gettarsi contro il suo petto; circondò la vita ampia, trattenendolo dal fuggire, e si nascose nell'incavo del suo collo.
Sentendosi di nuovo al sicuro.
"Sta' zitto una buona volta e continua a stringermi" Espresse quell'unico desiderio con foga.
E indubbiamente, in quell'intimo secondo, Sakura parve molto più forte.
Persino più di Madara.

Fra i selvaggi altopiani di Iwa, dalle ripide vette costantemente innevate, sorgeva un antico villaggio di montanari. Un luogo dalle radicate tradizioni, ove il cielo appariva costantemente cupo, simile ad una grande cappa grigia e pesante. Minacciava neve, quel giorno molto più del solito.
Le colline ammassate riparavano dal vento artico le case di legno costruite sotto di loro, dai tetti coperti d'un candido manto bianco. Il fiume che scorreva placido fra le rocce era divenuto un'immensa lastra di ghiaccio, pericoloso e infruttuoso per gli abitanti del posto.
Il terreno era gelido, ma soffice, dove v'erano impresse le impronte di uomini e animali, i rami rinsecchiti degli alberi spogli si protendevano verso l'alto, come dita scheletriche, nel silenzioso grido della bufera durante l'ennesima lunga notte priva di stelle.
Il monte Chidori vegliava insormontabile sull'intero paesaggio e la vetta era incoronata di neve perenne, nominato così dai nativi fin da secoli prima, poiché da che se ne aveva umana memoria nuvoloni nerissimi ricoprivano la sua cima, rendendola impossibile da scorgere ad occhio nudo. E quando i fulmini s'infrangevano sulla sommità, un suono ruggente scuoteva le fondamenta del paesino nascosto, come fosse il grido di un'anima in pena...
Incubo dei bambini, timore primordiale degli adulti.
Le ciocche scure della belva vennero nuovamente falciate dall'aria fredda che, simile ad una lametta, tagliava le fragili carni in ipotermia, provocandogli un dolore indescrivibile, insieme alle ecchimosi nere provocate dalle catene che gli bloccavano braccia e gambe. Le enormi ali color petrolio erano state violentemente piantate, con spessi chiodi, sulla roccia della montagna, nel punto più alto, dove le intemperie della natura rendevano impensabile il progredire di qualsiasi forma di vita.
Ancora le fauci distorte del Tengu si spalancarono in uno straziante urlo di rivolta, gridò bestemmie ai fulmini che illuminavano ad intermittenza l'oscurità, cantò vendetta e frustrazione mentre il sangue scarlatto colava dalle labbra al mento appuntito.
Occhi dell'ossidiana più dura e impenetrabile si sgranarono in frenesia quando un masso franò a causa della potenza dirompente di quella tormenta, colpendogli la spalla; una smorfia sofferente si fece largo sul viso di porcellana nel momento in cui il braccio sinistro venne liberato dalla costrizione metallica. L'arto rotto penzolava verso il dirupo, da cui non si vedeva la fine, il corpo era sporto in avanti e, i lunghi chiodi benedetti che tenevano la creatura tutt'uno con la montagna, s'erano pericolosamente allentanti.
Sasuke sorrise. Sorrise follemente mentre rialzava la mano insanguinata al viso e contraeva le dita congelate.
Libero.

Note ♫
La frase all'inizio del capitolo è una citazione all'anime di Fullmetal Alchemist. Ricordate le puntate di Nina? Ecco, i traumi.
Junihitoe: è una tipologia estremamente elegante di kimono che veniva indossato soltanto dalle donne di corte.
Uchiwa: è un ventaglio rigido, importato dalla Cina. Da questo deriva il nome Uchiha, ma siccome nella storia ho deciso di abolire i cognomi per gli yokai (Quindi nessun legame di parentela lega Madara e Sasuke, anche perché sono due 'specie' diverse di ayakashi), allora ho lasciato il nome originale, senza alcuna modifica ^^
Domo arigatou: Grazie.
Pettanko: slang giapponese il cui significato è ragazza priva di seno.
Iwa: capitale del Paese della Terra.
Kisama: bastardo.
Washitsu: stanza tradizionale.
Zabuton: cuscino.
Zataku: tavolino basso non riscaldato.

Percorrendo il sentiero tracciato dall'incontro fra terra e cielo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora