Alle quattro di mattina ero ormai stanca di fingermi ubriaca. Le parole di quel ragazzo avevano irrimediabilmente riportato a galla il mio dolore e, non so perché, quella volta affogarlo nell'alcol non mi sembrava corretto. Le mie amiche, invece, stavano per crollare a causa di tutti gli shot che avevano buttato giù, ma sembravano ancora divertirsi in pista. Così, mi feci spazio tra i corpi sudati dei ragazzi che mi circondavano, fino a raggiungere l'uscita del locale.
La strada, illuminata dalla luce dei lampioni, era pressoché deserta, fatta eccezione per qualche coppietta che si baciava e un gruppo di persone che sghignazzavano sonoramente.
Avevo bisogno di più calma: feci il giro dell'edificio che ospitava la discoteca e raggiunsi il parapetto che divideva la strada dalla spiaggia, scavalcandolo. Le mie scarpe da ginnastica affondarono nella sabbia con un tonfo sordo e io iniziai a procedere verso l'acqua, dove la luce artificiale non arrivava più, sostituita solamente da quella lunare.Inizialmente scorsi solo una figura china sulla battigia, con una felpa chiara buttata sopra le spalle. Poi, però, una folata di vento gelido fece svolazzare dietro una di quelle spalle un orecchino a forma di piuma e tutti i miei dubbi furono cancellati. Presi ad avvicinarmi in silenzio.
Il ragazzo si voltò verso di me soltanto quando giunsi a pochi metri da lui, ma ebbi la sensazione che si fosse accorto della mia presenza già molto prima. Fece scivolare il suo sguardo su di me. Quando io feci lo stesso con lui, notai che stava tenendo appoggiato ad un ginocchio un foglietto spiegazzato, mentre nella mano destra stringeva una semplice penna.
"Scusami se ti ho disturbato." Sussurrai con insicurezza "Volevo solo dirti che mi dispiace per le cattiverie che ti ho detto prima."
In realtà, nemmeno sapevo il motivo per cui avrei dovuto sentirmi in dovere di scusarmi. Lo dissi e basta.
"Non mi stai disturbando." Ribatté inclinando appena la testa da una lato.
Silenzio. Nella leggera brezza che respiravo sentivo il sale dell'acqua poco distante. Aria di mare.
Quando lui riprese la parola, era passato così tanto tempo che ormai pensavo che non avrebbe detto più niente: "E quelle, comunque, non erano cattiverie, solamente verità."
"La verità può essere molto cattiva."
Abbassai gli occhi, lasciando che il silenzio inghiottisse le mie parole, aspettando non so cosa. Vidi che vicino al ragazzo c'era una cassa di lattine di birra e mi chiesi perché qualcuno, andando sulla spiaggia da solo, avrebbe voluto portarsi dietro una cosa del genere.
"Prendi una birra e siediti, se vuoi. Ma dammi un attimo." Disse infine Irama indicandomi la cassa con un cenno della testa e riportando lo sguardo sul foglietto.
Sorpresa dalla sua gentilezza, mi chinai per prendere una lattina, sedendomi poi sulla sabbia, ma mantenendo comunque una certa distanza tra me e lui. A quel punto, non potei fare a meno di rimanere a fissarlo: stava facendo scorrere freneticamente la penna sulla carta, i capelli scompigliati dal vento, gli orecchini che mandavano riflessi argentei ad ogni minimo movimento. Anche vedendolo così, seduto scompostamente sulla sabbia, si poteva indovinare sotto la camicia bianca, la felpa e i jeans scuri un fisico asciutto e muscoloso. Continuai a studiarlo e sorseggiai la birra finché la sua mano non si fermò e lui, dopo aver dato un'ultima occhiata al foglietto, lo piegò in quattro e se lo mise nella tasca posteriore dei pantaloni, insieme alla penna.
Gli attimi scorrevano senza fretta, scanditi dal rumore lieve dell'acqua.
Quando iniziai a rilassarmi, la mia mente scivolò immancabilmente verso gli avvenimenti degli ultimi mesi. La paura mi attanagliò lo stomaco. Non volevo pensarci. Non stasera."Perché sei venuto qui?" domandai per non restare sola coi miei pensieri.
"Perché non ce la facevo a rimanere dentro."
"In troppe volevano ballare con te?"
Vidi con la coda dell'occhio le sue labbra incresparsi in un sorriso, ma continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, in silenzio, così lo imitai.
Mentre entrare in mare non mi entusiasmava molto, osservarlo aveva sempre avuto un effetto terapeutico su di me: trovavo rilassante il ritmico rumore provocato dall'infrangersi delle onde e la superficie dell'acqua che, increspandosi, mandava bagliori chiari, proprio come gli orecchini di Irama. Sarei potuta restare lì incantata tutta la notte.
"Perché mi hai chiesto scusa?" chiese improvvisamente il ragazzo. "Insomma, lo so che mi stavo comportando da cretino. Lo faccio spesso."
Già. Non so come, ma lo avevo immaginato.
"Sinceramente non lo so. " Risposi candidamente. "Credo che sia stato perché non ho pensato prima di parlare."
Lui continuava a guardare il mare. "Lo fai sempre?"
"Cosa?"
"Pensare prima di parlare. Significherebbe che spesso non sei completamente sincera."
Quella domanda mi lasciò un attimo perplessa.
"Ultimamente sì, lo faccio sempre. Se dicessi la prima cosa che mi viene in mente, molte persone non capirebbero e molte altre fingerebbero di compiangermi, senza poterlo fare veramente."
Fui ancora una volta sorpresa dalle mie stesse parole. In quel momento sì che ero stata davvero sincera, sincera come non ero da molto tempo.
"Come ti chiami?"
"Arianna." Mi ero dimenticata che io ovviamente sapevo il suo nome, ma lui ignorava ancora il mio.
"Facciamo un gioco?"
Questo capitolo sarebbe dovuto essere lungo il doppio, ma ho deciso di dividerlo per incuriosirvi un po'.
Che ne pensate fin'ora?
Se vi piacerebbe che continuassi, lasciate una stella ⭐- Reddplume
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Una storia senza una trama. [IRAMA]
FanfictionArianna è una ballerina e una ragazza distrutta. Tutto nella sua vita è filato liscio per diciannove anni, finché a sua sorella non è stata diagnosticata una patologia terminale che nel giro di sei mesi se l'è portata via. Aria si ritrova così con u...