PROLOGO

365 26 25
                                    

29 agosto 1988

Ore 6.47

Margit si svegliò nella mansarda della casetta che sbucava lontano dalla strada, al 31 di Dorfstraße. Era l'ultima abitazione della via, poi la curva si interrompeva in uno spiazzo di ghiaia e terra e poco più in là si apriva una distesa dorata di campi di frumento e ancora più distanti, altri prati verdissimi.

Era la metà di agosto, le spighe erano mature e le trebbiatrici iniziavano a tagliare il grano mentre l'odore di fieno riempiva l'aria. Un lieve tepore finalmente iniziava a scaldare le mattine.

Una lama sottile di luce penetrava dalla finestra, tra le tende, e andava a colpire un braccio di Margit. La ragazza si stiracchiò e si massaggiò il ventre, poi salì con le mani verso i seni e di nuovo tornò verso il ventre. Spalancò gli occhi e nella penombra fissò le travi di legno del soffitto, in silenzio. Rifletté su ciò che era accaduto, rivivendo al tempo stesso ogni istante.

Sentiva il suo fiato sul collo, la lingua umida correre su tutto il suo corpo, i denti che le mordicchiavano i capezzoli. I suoi occhi chiari la fissavano e lei quasi se ne vergognava, perché aveva paura di non essere così bella come lui le aveva detto. Se non fosse stata abbastanza? Lui sarebbe scappato?

Lo amava alla follia. Era stata con lui per settimane mentre terminava gli studi alle scuole superiori e avevano passato lunghi pomeriggi insieme, seduti sull'erba, a guardare il cielo e le nuvole bianchissime. Avevano trascorso tante sere nella gelateria vicino casa e poi una notte, sotto la grande quercia vicino al lago, lei lo aveva baciato.

Nessuno l'aveva forzata a farlo, neppure lui. Semplicemente Margit sentiva quella cosa, quell'azione, come un gesto quasi obbligatorio, che doveva fare assolutamente prima che fosse troppo tardi. Si era alzata sulle punte, aveva intrecciato le braccia attorno al suo collo e infine aveva avvicinato le proprie labbra alle sue, assaporando quell'aroma agrodolce che sapeva di alcol.

Lui era rimasto immobile per qualche secondo, finché l'istinto animale aveva ceduto e allora aveva afferrato Margit con entrambe le mani, l'aveva stretta a sé e l'aveva baciata con passione. Entrambi si erano stesi sotto la grande quercia, circondati dall'oscurità e accarezzati dalla brezza leggera. Si erano spogliati e avevano fatto l'amore per delle ore.

Margit non aveva resistito alla sua voce suadente, alle sue carezze, ai suoi baci e al suo calore; al culmine del piacere, aveva incrociato le gambe dietro la schiena sudata di lui e l'aveva sentito dentro di sé, prepotentemente. Lui aveva ondeggiato ancora, avanti e indietro, infine si era piegato sulle ginocchia ed era crollato sull'erba, ansimando.

Margit era rimasta in silenzio, sospirando dal piacere; si era aggrappata a lui con foga, alle spalle, alle braccia, gli aveva graffiato la schiena, gli aveva morso la pelle e alla fine anche lei si era lasciata andare. Sarebbe scoppiata a piangere se non avesse sentito infilarsi dietro le proprie spalle il lungo braccio dell'uomo con i corti peli che le solleticavano la pelle. A quel punto allora si era rannicchiata contro quel corpo forte e nervoso, si era fatta piccola piccola e aveva nascosto il viso, imbarazzata.

Lui non aveva parlato, ma l'aveva semplicemente cullata, le aveva dato qualche bacio sulla testa e poi era tornato a fissare il cielo e ad ascoltare le acque scure del lago. Le stelle erano più luminose quella sera e poi, fuori dalla città, senza luci, parevano ancora più vicine, quasi da poterle accarezzare.

«Mi ami?» aveva sussurrato Margit, di punto in bianco. Sollevando gli occhi, li aveva posati sul volto dell'uomo e aveva atteso la risposta. Improvvisamente si era sentita una stupida e aveva iniziato a sentire quel pungolo doloroso di chi sa di aver fatto una sciocchezza.

Lui aveva meditato prima di parlare, con uno dei suoi sguardi profondi che si posavano lontano. Alla fine aveva solo accennato a un sorriso e aveva mormorato all'orecchio della ragazza: «Ti voglio bene.»

Margit aveva sentito bene quelle parole. Le aveva detto "ti voglio bene" e lei si era sentita felice. La parte più ingenua di Margit aveva gioito, come qualunque altra ragazza che si fosse trovata nella sua stessa situazione, eppure un'altra parte del suo animo, forse quella più razionale, quella aveva avuto paura, aveva tremato per qualche istante prima di tranquillizzarsi. Non erano quelle le parole che avrebbe desiderato udire, ma ormai lei era felice.

E poi, all'improvviso, mentre era stesa sul letto della mansarda ripensando a quel "ti voglio bene", scialacquato con così tanta noncuranza, sentì salire un conato di vomito. Si mise a sedere e sospirò. Le girava la testa e aveva un po' di nausea.

Di nuovo un altro conato.

Margit saltò su e corse in bagno, si chiuse dentro e s'inginocchiò davanti al water rigettando succhi gastrici, bile giallastra e qualche rimasuglio della cena della sera precedente.

Si rialzò appoggiandosi al muro e respirò rumorosamente. La stanza ballava tutta. Sentiva le gambe che stavano per cedere. Si sedette sul bordo della vasca e afferrò il capo tra le mani. Erano ormai diversi giorni che succedeva: la mattina si svegliava con la nausea e doveva correre in bagno a vomitare. Nessuno si era accorto di nulla, neppure i suoi genitori, ma era stato quello uno dei primi campanelli d'allarme. Quello e il ciclo che le era saltato da un paio di settimane. Era sempre stata puntuale come un orologio svizzero e quel ritardo... non poteva essere un caso.

Tornò in camera e si lasciò cascare sul letto. Di nuovo prese a massaggiarsi il ventre e pensò che forse era venuto il momento. Si sollevò di nuovo, barcollando per la stanza e andò a inginocchiarsi accanto al guardaroba, aprì una delle ante, frugò sotto una pila ordinata di vestiti e finalmente trasse la scatoletta rettangolare di cartone che aveva acquistato il giorno precedente in farmacia: era bianca con delle scritte colorate sopra, una delle quali recitava "test di gravidanza".

Tornò in bagno, si chiuse dentro una seconda volta, si sedette sul water, lesse le istruzioni, dopodiché tolse lo stick di plastica dalla confezione, lo scartò, osservandolo con curiosità e infine urinò sopra l'estremità più voluminosa dove la striscia si sarebbe dovuta colorare di rosso se il test fosse stato positivo o di blu se fosse stato negativo.

Con impazienza lasciò gocciolare lo stick. Attese provando a chiudere gli occhi e a rilassarsi, senza successo. Contò fino a dieci e controllò lo stick. Era apparsa una striscia, quella rossa.

A un tratto si sentì felice e terrorizzata insieme. Sarebbe diventata madre, ma come avrebbe fatto a dirlo ai suoi genitori? Come l'avrebbero presa loro? Sarebbero stati felici o l'avrebbero cacciata di casa?

Si ripromise di non raccontare nulla a nessuno finché il padre del nascituro non fosse stato a conoscenza di quella notizia, ma quando Margit andò da lui e gli rivelò che era in dolce attesa, la faccia di quel suonatore di strada si fece scura, la bocca si chiuse in una striscia affilata e sottile e non ne uscì neppure una sillaba. Le braccia si aggrovigliarono sul petto, le mani si infilarono sotto le ascelle e la mascella scricchiolò. Il suo sguardo era duro e pensieroso.

Margit lo fissò. «Stai bene?» gli chiese.

L'uomo non replicò. Alzò lo sguardo e fece un ghigno strano, a metà tra un sorriso e una smorfia. «Certo», borbottò. «È tutto ok.»

Erano nella gelateria ed era sera, come tutte le altre volte. Avevano mangiato un gelato e avevano parlato a lungo prima che Margit si decidesse a rivelargli la gravidanza. Lei era apparsa felice, lui non così tanto e alla fine quell'alone scuro sul volto dell'uomo aveva contagiato anche la ragazza.

Infine lui si alzò, le appoggiò una mano sulla spalla, andò a pagare e uscì. Margit Wolfe lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la porta della gelateria, ma non gli corse dietro e non lo rivide mai più.

[

E le tenebre scesero sopra FriburgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora