Il giardino dell'Oltre

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"Ecco questo è il posto giusto"

pensò il giovane dai capelli bianchi sedendosi sotto l'albero. Il giovanotto non era del tutto soddisfatto della sua vita e voleva sistemare una volta per tutte la questione, voleva andare oltre, dove nessuno mai s'era spinto e per lui quello era il posto giusto per cominciare. Era un piccolo avvallamento di mezza montagna, a nord, sospeso tra cielo e terra. Dietro le spalle, un muro di roccia a strapiombo; davanti, l'immensa valle, incorniciata all'orizzonte dalle montagne innevate. Da lì, avrebbe potuto gustare ogni alba, ma non il tramonto.

L'albero? Era un cipresso. Cosa ci facesse un verde e slanciato cipresso lassù tra le querce e gli ulivi era un mistero ma a lui non importava, quello era il posto giusto, lo sentiva. Il ragazzo dai capelli bianchi avrebbe messo là le sue radici. Si sedette comodo, all'orientale, gambe incrociate schiena diritta ma non rigida, respiro calmo e profondo. Venne la notte e poi il giorno. Le gambe si erano un po' intorpidite, ma al terzo giorno non le sentiva più. "Meglio così!" pensò. Il quarto giorno, incominciò a sentire fame ma scacciò lo stimolo osservando un uccello che aveva deciso di fare un nido su un albero poco più giù. "Adesso ho anche compagnia." fu il suo pensiero e sorrise. Il quinto giorno, ebbe una potente erezione, sentiva il suo pene scoppiare, a poco a poco il caldo stimolo salì lungo la schiena arrivando al cervello. Ebbe visioni di donne stupende, bionde, more, rosse, tutte ai suoi piedi; sentiva le sue mani accarezzare seni e grembi caldi, lisci, tumidi. Tutte le donne del mondo tra le sue mani lo accarezzavano, lo guardavano dolci e sorridenti con le loro labbra socchiuse e invitanti. Le idee più geniali e creative attraversavano festose la sua mente. Rimase in questo stato altri tre giorni, tre giorni di orgasmi. Si accorse che del muschio si era sviluppato sulle sue scarpe e le piccole radici entravano in contatto con i piedi per i fori dei lacci.

 Quella notte, si svegliò inquieto. Sotto la luna, vide seduta accanto a lui una splendida donna, bianca di pelle, nuda, coperta soltanto da neri e lunghi capelli. Nei suoi verdi occhi il giovane vedeva come dei laghi lontani e infiniti.

"Chi sei?" le chiese.

"Sono Anima!"

"Che ci fai qui?"

"Non lo sai? Sono qui per te."

"Per me?"

"Non mi riconosci? Sono te."

"non capisco." Il giovane dai capelli bianchi, forse per il lungo digiuno, non aveva le idee molto chiare. "Sei me?" ripeté inebetito.

"Se non mi riconosci dovrò andarmene" Anima, la donna, si alzo con gesti eleganti. In piedi era ancora più bella; con gli occhi offuscati dalla tristezza scese lentamente a valle.

"Aspetta, dammi tempo. Non lasciarmi solo", implorava il ragazzo, ma anima era già scomparsa nella nebbia.

Aspettò altre due notti in silenzio, Anima non tornò. Nel frattempo un piccolo germoglio di quercia era nato tra le sue gambe. Il giovane meditava di interrompere l'esperimento quando un nano con tanto di scarpe all'insù e cappello floscio sbucò tra le radici dell'albero:

"Ciao!" borbottò, "non dite forse così voi umani?"

"Ciao" rispose il giovane dai capelli bianchi e, dopo aver attentamente osservato quello strano essere, aggiunse: "Sembri proprio Brontolo dei sette nani."

"Sono Qtrzyw lo gnomo, il padrone di questa montagna, è un po' che t'osservo, cosa cerchi?"

"Me stesso."

"Buffi voi umani, ma non era qui l'altra sera?"

"Chi?"

"Come chi? Anima."

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