La disordinata colonna avanzava con ostentata lentezza. Il gelo penetrava le ossa, a poco servivano le magre e scarse armature dei soldati, quelle di metallo erano ormai ricoperte di neve e congelate, quelle di cuoio, invece, erano troppo poco spesse per contenere del calore. Gli unici rumori udibili erano lo stanco scalpettio di uomini appiedati e un raro zoccolio ripetuto, nessuno osava parlare, tantomeno lamentarsi per paura di suscitare l'odio di un superiore vicino che lo avrebbe punito più o meno severamente senza pensarci troppo su.
In tutto questo Carlo osservava, muovendo la testa velocemente, quasi facendo scattare il collo verso ogni direzione possibile senza dar fastidio ai compagni vicini. L' elmo che indossava lo aveva ereditato dal padre e gli stava un po' stretto, ma non aveva mai provato a toglierselo per paura di cadere ucciso come il padre in un'imboscata.
Il panorama non era granchè, un continuo e ripetuto verde scuro e marrone intervallato da un bel più presente bianco neve, talvolta qualche chiazza gialla appariva nel bianco, di non molto dubbia origine. Si continuava a guardare in giro per evitare di concentrare la propria mente su altri sensi quali l'olfatto o il gusto, sentendo un costante olezzo di sangue raggrumato e altri odori prettamente umani, mentre in bocca sentiva ancora il sapore del rancio servitogli quella mattina, poche ore prima.
L'unica consolazione del ragazzo nelle retrovie era il carro antistante delle schiave catturate nello scorso villaggio, stuprate nel corso dell'incursione e perciò nude o con qualche straccio addosso, la più fortunata con tanta paglia da ricoprire almeno le parti intime, ma giudicando dall' azzurrino colore della pelle non bastavano per fornire il benchè minimo calore. Pietà e eccitazione erano i sentimenti che provava per quelle ragazze, ma i diversi sguardi più o meno repentini dei compagni e il loro piccoli ma volgari commenti gli fecero intuire che era l'unico a provare almeno qualche goccia di compassione.
La marcia continuò per ore e Carlo iniziò a sentire tutta la spossatezza della marcia riflettersi sulle gambe infreddolite, iniziò a massaggiarsele ma non ottenne sollievo in quel rapido gesto. L'unica cosa che ottenne fu l'attenzione del compagno dietro di lui "Se ti blocchi un'altra volta giuro su Dio Onnipotente che i Cremonesi saranno l'ultimo dei problemi". Il ragazzo scattò con lo sguardo verso la fonte della minaccia, due larghe spalle e un enorme ventre fermarono il tentativo di una qualsiasi ribattuta. Si soffermò anche sul viso, due guance incavate ricoperte da una sparsa ma decisa barba dominavano sulla figura, una sottile bocca che centrava una mascella tozza e squadrata e due piccoli occhi scuri e piccoli, che lo fissavano, completavano la figura.
Carlo si rigirò subito, intenzionato a non suscitare antipatie al grosso compagno e accellerò il passo, quasi intralciando il compagno davanti con una forza ritrovata chissàdove. La voce si fece risentire poco dopo, molto più calma e accogliente, quasi paterna "Scherzo ragazzo, ma stai al passo, sia mai che il sergente ti veda incespicare, quelli che hanno provato anche solo un sua punizione sono pronti a vendere propria madre pur di non provarne un altra". Dopo aver mugolato un cenno di ringraziamento misto a paura, continuò a camminare, questa volta sicuro che non avrebbe mai più incespicato fino all' arrivo.
L' accampamento fu eretto velocemente e senza troppe cerimonie in una grande pianura, l'erba era alta e non voleva in alcun modo piegarsi davanti al peso dei soldati esausti, così il comandante ordinò di tagliare un area cospicua di quell'immenso prato. La cosa si rilevò impegnativa, ma con lo sforzo di milletrecento soldati, si risolse in poco tempo. Infine fu ordinato il riposo, qualcuno piazzò la propria tenda, altri cercarono di costruirne una di fortuna, unendo insieme qualche straccio o telo e dei bastoni stancamente fissati nel terreno freddo e duro, ma per ogni tenda c' erano almeno dieci soldati stesi uno accanto all'altro per sfruttare il calore umano dei loro corpi. Nel mentre, molti altri si erano affollati attorno alle salmerie, cercando di reclamare la propria porzione di rancio e talvolta di carne o pane, qualcuno per se stesso, qualcun altro per i propri compagni troppo stanchi e già ritirati sotto coperte umide e troppo leggere.
Carlo era uno di quelli, cercava di spintonare e ricevere il prima possibile del cibo ma la sua statura media e la costituzione nè prestante nè mingherlina non gli permise di ottenere il risultato sperato e si decise di fare la fila aspettando il proprio turno. Tempo dopo, mentre stava ammirando con brama ma anche disgusto il contenuto fumante della ciotola in legno, un gesto lontano catturò la sua attenzione, un braccio si muoveva ripetutamente in segno di saluto nella sua direzione. Indeciso, si bloccò e mantenne la stessa posizione finchè la mano si arrestò e si abbassò a livello della bocca del proprietario, formando con l' altra mano una specie di conchetta sulla bocca "Oh, tu lì con la zuppa, non mi riconosci? Sei nelle retrovie giusto? Non ti ricordi di me?". L' individuò si alzò e iniziò quasi a saltellare, facendo volontariamente o non percuotere l' immensa pancia che seguiva il ritmo del resto del corpo. Carlo lo accostò mentalmente al soldato dietro di lui nella marcia ma non servì ad altro che a lasciarlo ancora più imbambolato. Non si decise ad andare dal (?) finchè non fu quasi minacciato dallo stesso che stava per andare a prenderlo di peso e così si unì a quel gruppo di soldati.
Dopo essersi seduto su un tronco tagliato di fresco, fu accoltò rapidamente, sia dall'omone che dal resto di quel gruppo pieno di facce amichevoli. Fu quasi sul punto di sentirsi accolto quando uno di quelli non accolse il suo sguardo con occhi glaciali che arrestarono di colpo il suo viso. L'omone scoppiò a ridere e ne seguitò una risata di massa mentre quel misterioso individuo continuava a penetrarlo con quegli occhi azzurri, quasi bianchi. La cosa continuò finchè un altro del gruppo gli spiegò "Siediti, siediti. Non fare caso a Taras è sempre di pessimo umore quando si tratta di nuovi arrivati, la prima volta mi fece pisciare addosso per la paura". Un altro si alzò improvvisamente contenendo le risate "Sì, testimonio a difesa di Aristo, dovette venire sua madre per calmarlo" la cosa fece sprizzare di nuovo l' ilarità nel gruppo e le risate continuarono, persino il gigante glaciale Taras modificò la sua espressione in un ghigno. L'omone che l' aveva chiamato lo invitò nuovamente a sedersi e Carlo scoprì che non era più intimorito dallo sguardo di Taras, le gambe si sciolsero e si ritrovò con piacere sul tronco, duro e scomodo, ma almeno la schiena provò sollievo.
Carlo non avrebbe saputo dire per quanto tempo stette sveglio con i suoi nuovi compagni, mangiò e rise con loro fino a che il cielo si fece di un blu scuro intenso, interrotto solo da piccoli punti bianchi luminosi. Fece conoscenza anche con altri due ragazzi, uno, Marco, era il meno robusto del gruppo, ma la costituzione non fermava di certo la sua arroganza, essendosi proclamato il miglior arciere del Nord Italia. A tale affermazione Taras scoppiò a ridere e per poco non si scatenò una rissa. La situazione fu risolta con una prova sul campo delle sue abilità che si dimostrarono nella quasi uccisione di un soldato che stava pisciando indisturbato tra i cespugli. Il secondo, Anneo, era di carattere mite, sempre pronto a partecipare a una risata, ma mai al centro dell' attenzione. Seppe più di lui solo più tardi dall' omone che si era infine presentato come Gerone.
"Come ti sei trovato ragazzo?", fu la prima cosa che gli disse dopo essersi accertato del pesante e inoltrato sonno di Taras. "Bene, ti ringrazio, anche se non capisco il motivo della mia presenza qui, posso dire di aver riso a crepapelle quando Anneo si è addormentato su quella palla fumante di sterco o quando Marco cercava di scusarsi davanti al soldato che aveva quasi centrato". La cosa fece ridere Gerone che gli spiegò ancora tra le risate "Non so perchè, ma durante le ultime ore della marcia, quando hai incespicato, mi hai ricordato mio figlio, Luca" ciò lo fece smettere di ridere quasi all' istante "Diciamo che se n'è andato e diamine se ho fatto bene a tirarti bene". Il sorriso gli tornò raggiante in faccia, anche se enorme poteva contare su una delle espressioni più coinvolgenti che Carlo aveva mai visto nei suoi vent'anni di vita. "Allora ragazzo, oggi le presentazioni sono state sbrigative, ma non c'è molto da sapere su di noi, Taras è un gigante, forse più grande di me" disse voltandosi verso di lui "proviene dall' Est e dice che abba combattuto persino gli Arabi, cosa ovviamente falsa, ma glielo lasciamo dire, nessuno osa contrariarlo. O almeno, lo fa a suo rischio e pericolo, come Marco che per poco non si stava per... diciamo ritrovarsi un bastone nel fondoschiena. Il resto di noi è composto da locali, Marco è figlio di contadini, come me e hai potuto già assaporare la sua arroganza, ma devo riconoscere che se non fosse stato ubriaco prima, il bersaglio l' avrebbe preso senza problemi. Aristofane, o come lo chiamiamo, Aristo è un fante, se la cava con la lancia ed è molto premuroso verso tutti, anche se non ci ha mai svelato il suo passato o le sue origini, alcuni lo riconoscono come figlio di mercanti. Anneo è un... uno scrittore ecco, non se la cava per nulla nel combattimento, ma il suo compito è di tenere l' inventario delle salmerie e riportare il valore e la quntità del bottino che razziamo dai villaggi o dopo le battaglie. E io non sono altro che un bastardo duro a morire" disse partendo con un ennesima risata e iniziando a slacciare l' armatura di cuoio. Non ci volle molto a Carlo per assumere una faccia che conobbe più espressioni in poco tempo, passando dalla curiosità allo stupore e finendo con un certo disgusto. Sul petto del suo nuovo amico vi era una lunga e deturpante cicatrice, probabilmente risalente a non più di un anno. Gerone ricominciò a parlare dopo aver notato il viso di Carlo "Bella eh? Me l' ha fatta uno stronzo in Liguria, ora io allontano le donne, ma a lui si sono avvicinati molti cani e corvi dopo che gocciolava sangue dalla gola" disse e si girò per sputare in segno di disprezzo. "Ora però è tardi" mentre si riallaciava il vestito "Io vado a competere con gli asini a forza di russate per decidere chi raglia più forte, ma anche tu dovresti dormire ragazzo o domani camminerai sicuramente non sulle tue gambe".Carlo si svegliò il mattino seguente dallo strombazzare di qualcuno in lontananza, riconoscendo il corno dell' ufficiale, senza fretta, iniziò a stiracchiarsi le ossa e a stropicciarsi gli occhi. Era stanco anche aveva seguito il consiglio del gigante panciuto e non si mosse nemmeno quando il sole cominciò ad affiorare dai monti vicini e a scaldare il terreno gelato.
Carlo aveva appena indossato il suo prezioso elmo grigiastro quando una forza incredibile sulla spalla sinistra non lo fece per poco crollare a terra, alla sua sinistra si era presentato silenzioso, nonostante la stazza, Gerone "Pronto ragazzo o vuoi che Taras ti risvegli a sberle?". A quella informazione Carlo reagì come una lepre braccata e quasi saltando via d Gerone, fece muovere gli occhi senza sosta alla ricerca del gigante dell' Est, identificandolo lontano una ventina mìdi metri intento a ""farsi prestare"" una pagnotta da una recluta. "Per le palle di Anneo, Gerone!", Anneo, poco distante lo sentì e si ricacciò una mano come per controllare l' effettiva presenza dei genitali, arrossendo per l' imbarazzo dopo aver constatato la sua stupidità.
Dopo la dovuta risata, tutti si rimisero in marcia ai propri posti e Carlo vide la maggior parte dei suoi compagni partire per altri reparti, finchè, dopo frettolosi saluti, non rimase solo con Gerone e Marco. Sorpreso, chiese a Marco il perchè della sua presenza e gli giurò di non averlo mai notato nei giorni precedenti. A questo Marco rispose con un sorriso misto imbarazzato e orgoglioso "Non mi hai mai visto perchè cammino come un'ombra e nessuno riesce mai a veder..." fu interrotto da una sonora e grassa risata "Ragazzo mio, non l'avrai mai notato perchè è sempre attaccato al carro delle schiave implorante anche per un pezzetto di figa".
I tre quindi si unirono la colonna e ricominciarono la silente e dolorosa marcia verso Cremona sotto il comando di Ermellino di Monferrato, ingaggiato dai nobili milanesi per sopprimere una rivolta. Marco inizialmente si mise, quasi per contrariare Gerone, negli ultimi posti della retrovia, ma già all' ora di pranzo, Carlo lo notò accellerare il passo e senza essere visto dagli ufficiali, si affiancò al carro delle schiave, fingendosi la scorta. Carlo soffocò una risata, seguita da un "te l'avevo detto" da dietro, riconobbe la voce del gigante.