And I'm Home.

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«Che dolce melodia...», sussurrò un giovane, o forse, semplicemente pensò.
«...Che strano, ho come la sensazione di conoscerla.»
Egli si muoveva a lenti passi, senza riuscire a scandire lo spazio intorno. In realtà tutto sembrava bianco, avvolto da un'immensa luce che avrebbe dovuto bruciargli gli occhi ma che al contrario gli trasmetteva soltanto un vago senso di stordimento. Non distingueva nulla: spazio, tempo, colori...non esisteva niente, niente se non quella melodia che gli riempiva il cuore di calore e di una tenerezza da tempo dimenticata.
Avrebbe potuto rimanere lì, in piedi, con gli occhi chiusi e le orecchie drizzate all'ascolto. Sentiva di poter esser felice con il suono di quella lira; provava un piacere ed una pace tale che non avrebbe desiderato fare altro da lì in avanti, immaginando delle abili dita a pizzicar le corde e dei sottili, lunghi capelli d'oro a stuzzicar la pelle bronzea e liscia.
Ma di colpo l'immagine scomparve, dissoltasi come il fumo di una pira, ed il ragazzo provò d'improvviso un innato, terribile senso di solitudine.
«No, aspetta!» Pensò ancora; un pensiero così intenso che nella sua mente risuonò forte come un urlo supplichevole. «Chi sei tu? Perché stai suonando?»
Ma un'altra domanda si fece subito largo nella sua testa, una freccia sull'acqua calma.
«Chi sono io?»
Gli occhi si posarono sulle sue mani scure, le braccia nude, le dita dei piedi. Ne appurò velocemente le forme, cercò familiarità nelle sue membra ma era come se le stesse guardando per la prima volta in tutta la sua vita. Sapeva che quello fosse il suo corpo, lo sapeva! Era lui, era lui davvero! E allora perché non riconosceva nulla, perché non rimembrava nemmeno il suo volto ed il suo nome?
Fu allora che delle labbra si mossero, scandendo lentamente delle sillabe. Erano labbra piene, dalla forma perfetta, e da esse fuoriusciva una voce splendida che sentiva cara come la musica che ancora risuonava intorno a lui. Non comprese cosa stessero dicendo, né riusciva a definire il volto di quella misteriosa persona. Eppure si sentì invitato dalla calda voce incomprensibile e le membra decisero di muoversi di propria volontà, seguendo un percorso sconosciuto dalla meta incerta.
«Dove mi stai portando?»
Per la prima volta le sue labbra si schiusero davvero. Sentì la sua voce, gentile, profonda seppur non incantevole come quella che lo stava attirando verso di sé.
Fu una sensazione strana, udire il suono delle sue corde vocali, avvertire il modo con la quale la bocca pastosamente si mosse per far uscire quelle semplici parole e si chiese, quasi per riflesso, da quanto tempo non avesse parlato. Se glielo avessero chiesto, egli avrebbe detto di aver la sensazione che fossero passati anni e più volte ebbe la sensazione di sentire l'ombra della morte trapassargli il corpo, sparendo e ritornando con una strana frequenza che paradossalmente non gli incuteva paura alcuna. Il povero ragazzo davvero non aveva idea di nulla e, sebbene sarebbe stato normale raggelarsi dalla paura, in realtà pensava solo alla melodia e alla persona che con tanta maestria stava suonando la lira. Allora si mise una mano sul petto, più volte lo fece, confuso e rintontito, con solo la musica come unica guida in grado di riportarlo verso quella realtà distorta avvolta dal candore più puro.
Chissà dove due occhi verdi stavano guardandolo con affetto: lui spontaneamente sorrise, sentendo il fuoco risalir verso le gote che deliziosamente si colorarono di rosso. Ricordò un giovane imbarazzarsi alla vista di quegli occhi dalle macchie dorate, prima che questi divenissero parte della sua vita e gli facessero sciogliere il cuore con sproporzionati amore e devozione.
Si fermò.
Davanti a lui vi era ora una grotta di pietra rosa, avvolta da alberi in fiore del quale profumo si disperdeva nell'aria, quasi volendo addolcire ulteriormente la magica melodia. Un soffio di vento allontanò alcuni petali dalle chiome e i verdi gambi, petali che lo investirono e gli vorticarono intorno, avvolgendolo da capo a piedi e inebriandolo del loro delizioso aroma, reso dolceamaro dalla malinconia e un confuso ricordo che appesantiva il petto di innata nostalgia.
Le labbra della figura si mossero ancora ma il vento ne coprì il suono, negandogli ancora una volta l'onore di sentir quella voce meravigliosa. Solo poche parole riuscirono a sconfiggere la natura stessa, parole testarde eppure basse e amorevoli che si imposero contro gli avversari per comunicar con lui. E chissà perché proprio lui.
«Perché stai lì? Vieni.»
I piedi ancora una volta reagirono soli; si voltò indietro verso la grotta, sentendo le risa di due ragazzi e la voce profonda e saggia di un uomo. Una fitta al petto allora lo accolse, all'improvviso, violenta e incontrastabile: il fiato venne a mancare e una lacrima disobbediente solcò il suo viso, infrangendosi con il nulla che vi era sotto i suoi piedi.
«Voglio tornare lì...voce, perché non posso tornare lì?» Singhiozzò, le mani strette al petto nudo che traboccava di dolore e tratteneva l'aria, bloccava i polmoni, la gola, il respiro.
«Perché non torniamo a casa
Per un istante l'aria vibrò diversamente e la musica cessò per lasciar spazio ad un sospiro di dolore. Sentì l'odore della sofferenza, dei pianti, della rassegnazione più cruda e infelice: in quello spazio oltre il tempo persino le emozioni facevano rumore e possedevano un proprio aroma.
«Perché non è più quello il nostro posto.» La voce era ora inclinata, cupa; e tuttavia ignorò il suo stato d'animo per riprendere a suonare le dolci note di sempre, mentre il giovane pianse ancora e ancora.
«Ma lì eravamo felici...»
«Lo saremo anche qui, te lo prometto. Ma devi raggiungermi.»
Sapeva che la figura indistinta stava sorridendogli con il suo bellissimo volto ridente, baciato da una meraviglia divina che trasudava purezza e dolcezza. I lunghi capelli biondi accarezzavano le gote perfette e incorniciavano quel volto che tante volte aveva ammirato e studiato con gli occhi, le dita e le labbra. Un viso che però non ricordava. Perché, perché non ricordava?
«Tu sai chi sono, vero?»
«Ha davvero importanza?»
«Per te è importante chi sono?»
«Per me sei importante tu.»
Quell'ultima frase lo convinse definitivamente a riprender il suo percorso ma stavolta non aveva intenzione alcuna di abbandonare il dialogo: voleva nutrirsi di quella voce, voleva riempirsi gli occhi di quegli stralci di immagini.
«Tu chi sei?» Continuò, passando dinnanzi un uomo che cacciava dal regno il proprio figlio gracile e stupido. Storse il naso contrariato e passò oltre, giudicando poco importanti quelle immagini. Inutili. Infelici.
«Per te, chi sono?»
Il ragazzo ci rifletté su e lo sguardo si posò su un bambino in mezzo a re ed eroi che facevano una promessa di sangue per una donna meravigliosa del quale volto gli rimase per sempre sconosciuto. Lo investì poi un forte odore di fichi, pane e formaggio sull'erba profumata. Sentì il fruscio del mare, il suo odore salmastro e la sabbia calda che si appiccicava ai suoi piedi e tra i suoi capelli. Le labbra si impregnarono del dolce sapor di baci mentre la pelle rabbrividiva sotto il tenero tocco di due forti mani che esploravano amorevolmente ogni centimetro del suo corpo.
Ti ho mai detto quanto mi piace questo? Quanto mi piaci qui, e qui, e qui?
«Ti amo. Ed è tutto quello che so.»
La musica della tenerezza e dell'amore, profumo che si espanse nel bianco sostituendo lacrime e dolori per farlo respirare a pieni polmoni un'aria che sapeva di felicità.
«Ti amo anche io. Questo è tutto quello che devi sapere. »
Cominciò a correre.
Superò il sangue, montagne di cadaveri ed occhi vitrei. Superò accampamenti che puzzavano di morte e sudore, campi di battaglia in grado di fargli salire la bile in gola.
E correva, correva, e correva.
Correva nel suo sentiero dei ricordi, dove scorse una dea dalla pelle lucente e la bocca di rosa che alla fine fece lui un regalo inaspettato e meraviglioso dopo tanti anni di sdegni ed insulti. Non sei degno di lui. Parole che scivolavano nel vento, volavano con le anime cadute in battaglia, sparivano con il sorriso di una donna salvata, poi condannata, rifiutata ed uccisa, nonostante l'amore e il sacrificio per la sua felicità. Vi era un eroe che pose fine alla vita dell'uomo sbagliato, pagando col suo sangue l'ardor della vendetta; vi era un centauro che per lui fu il miglior padre che si potesse desiderare. Vi era troppo, troppo e nulla. Ed in quel nulla spiccava lui: lui con la sua tenera ingenuità, la lira di sua madre in mano; lui dalla bellezza divina e le labbra che sapevano di fichi e di sale; lui con i capelli biondi, gli occhi verdi dalle pagliuzze d'oro.
Lui...la sua metà, colui che gli regalò una vita meravigliosa e a cui affidò il suo cuore per sempre.
«Achille.» Disse, con il respiro affannoso e gli occhi che si velavano di lacrime di gioia e dolore, tristezza ed amore. Era dinnanzi a lui, bellissimo come lo ricordava.
Ed ecco, ecco che riuscì a sentire le sillabe cancellate dal vento e lo spazio stesso. Era una sola parola, solo un nome. Ma...oh! Quel nome era meraviglioso se pronunciato da lui, incantevole e magico abbastanza da scaldargli il cuore.
«Patroclo.»
«Sì, sì, sono io. Sono qui. Sono...sono a casa.»
Casa è il luogo laddove risiede il tuo cuore e non importa quanto tempo sarà necessario, prima o poi quel luogo ti richiamerà indietro e non ti lascerà mai più.
Lì, due anime, avevano bisogno di ricongiungersi per essere a casa.
Patroclo si accorse che in realtà tutto intorno a lui era oscuro ed il bianco che lo aveva avvolto era stato solo opera della musica di Achille; Achille che voleva donar lui la luce in quell'oscurità infinita. Eppure, quando le loro mani si intrecciarono, davvero vi fu la luce: una luce così bella come quella del Sole.


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Eccomi con una nuova fanfiction, la prima sulla Patrochille. Per questa oneshot mi sono ispirata al libro"La canzone di Achille" di Madeline Miller e l'ultima frase presente richiama proprio l'ultima frase del romanzo.
Ci tengo a scrivere *coff* di dedicare questo piccolo obbrobrino alla mia betareader di fiducia senza la quale neanche riuscirei a scrivere serena, probabilmente. (Ciao Ire, love ya): penso che in questo campo le dedichi troppe cose in realtà, dovrei smetterla. Comunque, lei non è la sola.
La dedico anche a Deboh, che ha dato il via a questa serie di pianti per la Canzone di Achille e che aspetterà per molto tempo che mi prenda di coraggio per romperle le scatole in chat. Almeno questo glielo devo.
Infine saluto Ga, che so che voleva qualcosa scritto da me sulla Patrochille: Spero possa piacere anche a te!
Basta, non ho altro da scrivere se non che, ovviamente, spero che possa piacere a tutti coloro che leggeranno.
Bye bye, da Alexis J. Frost.
E pregate per me, che ho in progetto altre fanfiction Patrochille ma non ho il tempo per scriverle, attualmente.

And I'm Home. ( Patrochille )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora