Il furgone svoltò l'angolo a mezzanotte e dodici.
Jensen, in piedi sul viadotto, lo guardò avvicinarsi, i grossi fari che dilaniavano la bruma notturna con fasci di fuoco, le moto della scorta simili al ringhio di un mostro infernale. E di mostri, nella Divisione, ne dimoravano parecchi.
«È in ritardo» disse, voltandosi verso i compagni.
Mark regolò il mirino del fucile e spostò l'altra mano sul grilletto. Mesha, al suo fianco, digitò qualcosa sul computer portatile, poi lo girò verso Jensen.
«Ho mandato le videocamere in loop. Tutte quelle dell'isolato. Abbiamo sei minuti, forse sette, prima che se ne accorgano e inizino il riavvio del sistema».
«Ce li faremo bastare» annuì lui. Si calò il passamontagna sulla faccia e controllò l'imbracatura. Mesha ripose il computer nello zaino e fece altrettanto. Si voltarono verso Mark, che continuava a scrutare nel mirino, le labbra cucite, le dita immobili. Jensen fece per chiedergli qualcosa, ma in quel momento il compagno premette il grilletto.
La ruota anteriore sinistra esplose e il furgone sbandò. Il guidatore tentò di riprendere il controllo ma non riuscì a evitare l'impatto con la moto al suo fianco e andò a schiantarsi contro il pilone del viadotto. Un secondo colpo e anche l'altro centauro precipitò a terra, proprio sotto di loro.
«Ora!» disse Jensen. Si sporse oltre il parapetto e si lasciò cadere nel vuoto, la mano guantata che si sosteneva alla corda, l'altra libera di sparare a chiunque si muovesse. Mesha si calò un attimo dopo di lui, seguendolo in quella notte in cui il Fronte di Liberazione Animale avrebbe avuto giustizia.
Jensen atterrò sull'asfalto, sganciò l'imbracatura e avanzò reggendo la pistola con entrambe le mani. Un motociclista si rialzò, tenendosi la testa stordito, e si sfilò il casco. Jensen sparò ma l'altro evitò il dardo e gli scagliò il casco contro, facendogli cadere la pistola, poi scattò verso di lui. Dopo due passi stramazzò a terra, con un tranquillante nel collo; Jensen alzò lo sguardo e vide Mark che spostava il fucile in aiuto di Mesha, alle prese con un paio di guardie. Capì di avere solo quel momento per agire.
Corse verso il furgone, sfilò la spranga che portava dietro la schiena e iniziò a colpire il lucchetto con forza, fino a creparlo. Qualcosa rispose dall'interno, qualcosa di grosso che prese a battere contro il portellone, facendo balzare Jensen all'indietro.
In quella un motociclista gli si gettò addosso e ruzzolarono lungo la strada, mentre attorno a loro i rumori degli scontri si attutivano. Jensen si allungò per recuperare la spranga ma l'altro gli schiacciò la testa sull'asfalto, strappandogli il passamontagna. La botta lo stordì, il sangue gli imbrattò gli occhi e il timer dell'orologio gli ricordò che i rinforzi della Divisione sarebbero arrivati a breve.
Avrebbe dovuto ripiegare ma il Fronte non avrebbe avuto un'altra occasione per liberare gli animali, così si sbarazzò del suo rivale con un calcio e si rialzò, barcollando verso il furgone, ma crollò dopo qualche passo.
Le porte in metallo rinforzato tremarono di nuovo, poi vennero scaraventate lontano. Jensen si chinò appena in tempo per evitarne una, la mano sul dardo che gli spuntava dal collo, i pensieri che faticavano a rimanere lucidi. Gli parve di vedere un'ombra gigantesca uscire dalla gabbia, due corna di fuoco incendiare la notte, chinarsi su di lui e odorarlo, poi qualcosa lo distrasse e fuggì via. Voci, sirene e tutto diventò nero.
***
Quando riaprì gli occhi, Jensen era in gabbia.
Gettato su un pagliericcio umido di piscio, con la tuta nera ancora addosso, ma senza armi. Si sfiorò la nuca, i capelli intrisi di sangue rappreso, poi si alzò e barcollò fino alle sbarre. L'avevano drogato o forse tutta la stanchezza per la missione e la responsabilità di un nuovo insuccesso del Fronte pesavano su di lui come macigni che non era in grado di sollevare? Non adesso, non da solo.
Il pensiero degli amici lo spinse a guardarsi intorno, ma il corridoio era buio e dal suo angolo poteva vedere ben poco, solo le celle di fronte, ove qualcosa di scuro era raggomitolato in terra. Si chiese dove l'avessero rinchiuso, forse nei sotterranei della Flakturm di Humboldthain o nell'irrintracciabile Spirale, sede della Divisione?
«Mesha?» sussurrò più volte. «Mark?»
«Ben svegliato, bell'addormentato» disse qualcuno, prima che le luci si accendessero. Jensen arretrò al centro della gabbia, schermandosi gli occhi con un braccio, e intravide due sagome al di là delle sbarre. Forse altre le circondavano, ma lui aveva occhi solo per una di loro: Dietrich Dietwolf, capo del reparto scientifico della Divisione Speciale per la Lotta contro le Creature Demoniache, occupava spesso i suoi pensieri. E non erano mai pensieri d'amore.
«Brutto bastardo!» gli ringhiò contro, prima di riconoscere il ragazzo al suo fianco. Alto, moro e intento a contare un rotolo di banconote. Anche Dietrich parve infastidito dal suo silenzio.
«Ci sono tutti?»
«Veramente ne manca un centinaio».
«Considerati fortunato, dopo il casino che hai fatto stasera. Dovevi portarcelo prima che aprisse il furgone».
Mark scrollò le spalle e allungò una mano. Dietwolf la fissò per un istante poi ci sputò sopra.
«Ecco il tuo compenso». Due uomini presero Mark per le spalle e, a un cenno di Dietwolf, lo accompagnarono fuori.
Jensen li vide scomparire nell'oscurità e dubitò che l'avrebbe rivisto. Non in quella vita, quantomeno.
«Traditore!» gli gridò dietro comunque.
«Tradire presuppone una parvenza di fedeltà, amico mio, che il tuo compagno non ha mai avuto. Chi credi che mi procuri esemplari di prima scelta?» rise Dietwolf.
«Non sono tuo amico».
«Non sei amico di nessuno, J. Posso chiamarti J, vero? Così ottimizzo i tempi».
«Fai un po' te». Jensen gli diede le spalle e tornò a rincantucciarsi nel suo angolo piscioso. «Quindi, che hai intenzione di farmi?»
«Ti sei mai chiesto perché il Fronte ti mandi sempre in missione? Con tutti gli operativi che hanno a Berlino, scelgono sempre te».
«Perché sono il più bravo?»
«Perché sei un idiota. A loro non importa di te, né degli animali per cui ti affanni ogni notte a lottare. Vogliono soltanto fare casino, riempire le pagine dei giornali e le sedute del consiglio cittadino. Cos'avete ottenuto, in fondo? A parte liberare qualche cane randagio, morto di fame in solitudine qualche giorno dopo?»
«Vai al punto, Dietwolf».
«Il tuo talento. Sei sprecato per il Fronte di Liberazione Animale. Ti ho osservato per mesi, e anche altri hanno parlato bene di te».
«Parli di Mark? Fanculo anche lui».
«Sì, sì, fanculo il mondo, ma pensa alla mia offerta».
«Non lavorerò mai per te. Siete dei macellai!» gridò Jensen.
«Ti sbagli. Nella Divisione non macelliamo animali; li studiamo, cerchiamo di comprendere le loro qualità, per replicarle e donarle agli umani. Ma non chiamarli animali, alcuni non lo sono più».
«No, infatti, sono cavie, schiavi dei vostri esperimenti! Non voglio farne parte, Dietwolf!»
«Tuo padre ne sarebbe dispiaciuto» sospirò l'uomo.
«Che ne sai di mio padre? L'hai ucciso!»
«Oh no, non io. È stato il lavoro. Sì, possiamo dire così. Il lavoro lo ha... cambiato».
Jensen non rispose, si lasciò cadere sul pagliericcio e si voltò verso il muro. Fu solo dopo qualche minuto che capì che Dietwolf era ancora lì, ad aspettarlo.
«Non ti basta un no? Ne vuoi un altro?»
«Voglio te. E ti avrò».
«Non mi spavento per una notte in cella. Non è mica la prima...»
«Chi ha parlato di una notte?» disse Dietwolf. «Starai qua finché non accetterai. Nessuno verrà a cercarti. Il Fronte dovrebbe ammettere di averti dato un incarico ufficiale e sarebbe bollato come movimento sovversivo. Sei solo, J. Con tutti i tuoi fantasmi». Spense le luci e si allontanò.
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Progetto Heimdallr
Fantasy"Progetto Heimdallr" è il racconto che apre l'antologia "Tutta colpa dello zodiaco", dedicato al segno dell'Ariete. Berlino. Prossimo futuro. La città è stata divisa in zone, ciascuna affidata a una delle sette stirpi sovrannaturali. Gli uomini sono...