Capitolo 10

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Un bacio.
Ci sono degli attimi vuoti e silenziosi che possono essere riempiti solo da due bocce che si uniscono per danzare insieme e questo era uno di quei momenti.
Ma il film nella mia testa si inceppò mostrandomi uno schermo bianco pieno di puntini neri con la scritta "Assenza di segnale" lampeggiante.  Mi staccai subito da Christian e mi alzai dalla sedia per andare davanti alla finestra. Non potendo evadere dalla stanza, sperai che guardando fuori mi sentissi almeno un po' lontana da quella situazione ingarbugliata.
-Avrei voluto conoscere Sophia White in tutto il suo splendore senza macchiarla con tutti i miei fantasmi.- sentii alle spalle la sua voce e lo vidi, riflesso nel vetro, mentre guardava a braccia incrociate in alto come se inconsciamente si stesse lasciando sfuggire i suoi pensieri.
-Non hai mai voluto conoscere me.- mi ritrovai a dire con una nota di disprezzo.
Una risposta immediata o una giustificazione era quello che aspettai, ma invano.
Avevo per la prima volta zittito il Professor Miller che sembrava stanco di arrampicarsi su scivolosi specchi e che per la prima volta accettava il fatto di aver fatto un errore, ammettendolo in silenzio.
Dopo qualche minuto eravamo tornati ai nostri posti mangiando le ultime cose rimaste sulla scrivania evitando il contatto visivo e ogni altro tipo di contatto.
Mi si chiudevano gli occhi mentre, poggiata sullo schienale della sedia, guardavo le luci fuori alla finestra, la serie di sfere bianche luminose lungo i viali.
Per un istante lasciai che le mie palpebre pesanti si chiudessero e caddi in un leggero sonno, uno fragile che sarebbe potuto svanire al minimo movimento attorno a me.
Mi sembrò esser durato un minuto quel momento di incoscienza, quando mi svegliaI e trovai su di me la giacca di Christian a coprirmi sbarrai gli occhi.
Era a pochi centimetri da me, mi dava le spalle fissava anche lui il mondo esterno notturno; il mio goffo movimento attirò la sua attenzione e si voltò di scatto inchiodandomi alla sedia.
-Tutto bene?- mi chiese con un espressione preoccupata sul volto.
-Si.. ehm.. grazie per..- cercai di dire stringendo con una mano la giacca che ancora mi scaldava il busto e le braccia.
-Non c'è bisogno che mi ringrazi. È il minimo.- precisò poggiandosi al muro e tenendo uno sguardo quasi...dolce su di me.
Imbarazzata tentai una via di fuga dai suoi occhi smeraldo ma sembrava mi trovassi in un vicolo cieco e nulla mi avrebbe salvato.
-So che non vedi l'ora di andartene..- iniziò amareggiato -..ma a me piace averti intorno, guardati e sentirti. Mi dai pace.-
Sentii andare in cortocircuito i miei neuroni. Blackout totale.
Pensai che era il caso di cogliere la palla al balzo e smetterla di fuggire; parlare di tutto e senza peli sulla lingua così da lasciare per sempre quel macigno che mi pesava sull'anima.
-Penso che per essere un uomo adulto, docente di filosofia alla U.M, tu non sappia dare il giusto peso alle parole che dici. Tu menti, illudi e giochi con le persone.- spiegai con calma, come si fa con i bambini alla scuola dell'infanzia.
-Non faccio nessuna di queste tre cose..- iniziò a dire tentennando. Neanche lui era convinto di ciò che stava negando.
-Forse non intenzionalmente. Ma lo fai Christian.- controbattei.
-Chiamami sempre Christian.- alzò lo sguardo da terra verso di me speranzoso e mi mandò in confusione nuovamente.
-Come, scusa? - chiesi perplessa.
-Mi piace quando mi chiami per nome. Chiami Christian.- apparentemente sembrava una richiesta innocente che però voleva nascondere molto.
-Sei solo il mio docente di filosofia.- sbuffai esausta.
-Sono il tuo docente. Ma fuori dall'aula di filosofia sono Christian per te.-
-Non so chi sia "Christian". Non l'ho mai saputo.- tentai di fargli capire le cose che mi avevano sempre attanagliato l'animo e scombussolato i pensieri.
-Tu sai chi sono..- mi si avvicinò e la sua mano fu subito sulla mia guancia accarezzandola con delicatezza e cautela come se mi potesse ardere il suo tocco.
-So che sei ciò che non voglio.- mormorai con un tono tanto basso da farmi dubitare del fatto che mi avesse sentito.
-Vuoi il dottor Richards?- mi chiese lui con un tono altrettanto basso ma più roco e profondo.
-N..non lo so.- risposi confusa a causa della testa totalmente appannata e fuori controllo.
Ma ormai il suo viso era vicinissimo e il mio cuore martellava fortissimo imprendendo al mio raziocinio di dire la sua, mi fu impossibile trattenere gli impulsi.
La sua bocca prese la mia con avidità e il sapore, che avevo conosciuto e apprezzato tempo prima, era tornanti sulle mie labbra inebriandomi come sempre.
Fu come cadere da un precipizio, sentivo il vuoto nello stomaco e le braccia larghe mi fecero credere per un istante di poter volare come un uccellino che per la prima volta viene spinto giù dal ramo ma in un attimo capii che stavo semplicemente cadendo e che mi sarei solo schiantata al suolo.
Trasalii al pensiero che mi stavo di nuovo facendo del male, mi staccai subito da Christian e provai a cercare con gli occhi una via di scampo.
Come se qualcuno dall'alto avesse sentito le mie preghiere, il mio cellulare squillò liberandomi dall'imbarazzantissimo momento post-bacio.
-Zac!- risposi subito con un tono troppo felice e elettrizzato.
-White! Eccola! La cara..- sentii biascicare dall'altra parte mentre la musica assordante faceva da sottofondo.
-Ma sei ubriaco..- affermai stupidamente. La mia grande perspicacia ogni tanto si volatilizzava rendendomi una deficiente che affermava cose altrettanto poco intelligenti
-Ma cosa dici??- rise lui prolungando ogni vocale molto più del dovuto.
-Sei alla confraternita?- un lampo di genio si accese nella mia testolina. Sperai con tutto il cuore che Bennett si trovasse alla U.M così da potermi salvare, come aveva sempre fatto.
-Si, certo, alla diver...- iniziò lui a canzonare.
-Oh Dio! Ti prego vieni ad aprirmi che sono rimasta bloccata nell'ufficio del Professor Miller ed anche lui...- mi affrettai a spiegare ma le risate dall'altra parte non mi fecero continuare.
Mi sentii pervadere dalla rabbia e strinsi con più forza il telefono all'orecchio evitando di guardare Miller il quale sembrava incenerirmi con gli occhi verde foresta.
-Vieni o no?- ringhiai contro il telefono.
-Sto arrivando.- rispose poi serio dopo aver tossicchiato così da ricomporsi.
Un sospiro di sollievo mi sfuggì e tenendo gli occhi bassi e il telefono all'orecchio attesi il momento della mia liberazione.
In pochi minuti Zac era aldilà della porta di legno intento a scassinare la porta con non so cosa.
Mentre speranzosa attendevo che si aprisse quel varco, che mi avrebbe permesso di scappare, Christian mi si piazzò davanti serio.
La mascella contratta ed i muscoli tesi sotto la camicia mi intimorirono più di quanto era possibile.
-Sophia. Noi non avevamo finito.- mi mormorò affinché nessuno dietro alla porta potesse sentire.
-Invece avevamo proprio finito. - puntualizzai io cercando di mantenere un certo autocontrollo.
-Sophia..- il tono si ammorbidì, sembrava quasi una silenziosa supplica, una gentile e dolce richiesta accompagnata da uno sguardo atterrito.
Per poco le mie gambe persero le loro forze e le ginocchia tremarono, ma in un attimo mi ripresi. Avevo molta più forza di volontà di quanto credevo.
-Professor Miller.- lo guardai fisso negli occhi sperando che recepisse il messaggio, le mura che per stupidità avevo abbassato si stavano alzando nuovamente e più resistenti di prima.
Scattò la serratura e la porta si aprì mostrando il gigante biondo in tutto il suo splendore, nonostante lo sguardo perso a causa dell'alta quantità di alcool in corpo.
-Sei un eroe!- esclamai uscendo dalla stanza senza guardarmi indietro.
-La ringrazio Mr. Bennett.- sentii alle mie spalle la voce roca e bassa.
Provai a non guardare di nuovo la figura nella stanza perché mi sarei sicuramente pentita di non essere rimasta con lui, nelle sue braccia.
-Ora sali sul mio destriero e avviamoci al castello!- scherzò Zac prendendomi sottobraccio e trascinandomi fuori dall'edificio.
Sentire l'aria fresca e il venticello sul viso mi fecero capire quanto mi fosse mancato il respiro in quelle quattro mura; i muscoli doloranti si rilassarono come se fossero stati in tensione troppo allungo e la mia testa era finalmente leggera.
Tutte quelle sensazione insieme mi fecero capire come Mr. Miller mi facesse male al fisico oltre che all'anima e che la decisione più giusta che potessi prendere era proprio quella di allontanarlo una volta per tutte.
Mi incamminai verso i dormitori con Zac al mio fianco e dopo averlo ringraziato lo lasciai tornare alla sua festa.
Caddi sul letto esausta, pregando il mio cervello di non iniziare a dar vita a una serie di film mentali che mi potessero impedire il sonno.
Per la prima volta riuscii nel mio intento e mi addormentai abbracciata al mio cuscino senza che nulla potesse disturbare la mia quiete.
La vibrazione del cellulare sotto il cuscino mi catapultò alla realtà strappandomi via dal mio amato sonno.
Presi il cellulare sbadigliando e controllai chi fosse l'essere insensibile che mi stava torturando in quel modo.
Due messaggi:
"Sarò al campus tra un oretta. -Kath"

"Sento la tua mancanza Sophia. Potrei scappare dai miei impegni e venire alla U.M tra qualche giorno. -J.R"

Sconvolta lessi il secondo sms più di una volta per recepire al meglio il suo significato.
Sentimenti contrastanti mi travolsero già di prima mattinata: gioia, ma anche ansia, sensi di colpa e confusione.
Ficcai la testa sotto il cuscino sperando che questo mi potesse impedire di tornare alla realtà che tanto mi devastava; dormire era l'unica soluzione che in quel momento potevo accettare.
Riuscii nel mio intento e tornai per poco tempo nel mondo dei sogni, finché delle urla non mi svegliarono nuovamente.
-Sophia! Alzati! Cosa fai a letto ancora? - la voce di Katherine oltre il cuscino sembrava una sirena dell'ambulanza.
Irritata non poco mormorai qualche imprecazione sperando che le facesse comprendere quanto desideravo che facesse lasciandomi dormire.
-Non è tempo di entrare in letargo! Dai! Alzati!- mi iniziò a scuotere energicamente aumentando il mio nervosismo.
-Che palle Kath! - urlai esausta e spostando il cuscino permettendo alla luce del giorno di mostrarsi a me.
-Andiamo a mangiare qualcosa!- esclamò lei.
Mi soffermai a guardarla un istante, indossava un paio di jeans bianchi e un maglioncino rosa carne mentre i capelli mossi le incorniciavano il viso tondo. Mi chiesi per un istante se la sua "perfezione" si prendeva mai le ferie.
Riluttante mi alzai dal letto e mi misi a dosso una felpa così da non uscire in pigiama dalla stanza, le proteste di Kath mi scivolarono addosso e questo la portò a gettare la spugna.
Con gli occhiali da sole sul naso mi incamminai al fianco della mia amica verso il bar del campus.
Ordinammo un caffè e ci accomodammo sul terrazzo per stare sotto i raggi del sole di gennaio.
-Raccontami..- dissi in tono pacato alla mia amica.
Non avendo le forze di comunicare preferii ascoltare lunghi monologhi e aneddoti sulla bella vita a San Pietroburgo.
La descrizione delle cene sontuose, dei vecchi facoltosi che ripetevano ogni anno le stesse frasi e gli stessi racconti, mi affascinavano ogni volta, nonostante Katherine trovasse noioso parlare di quegli ambienti.
-Vorrei che venissi con me nel prossimo viaggio. Ai miei genitori farebbe molto piacere.- affermò ad un tratto la bionda davanti a me.
-Io verrei volentieri, lo sai. - dissi cercando di non far trapelare l'emozione che sentivo nel ricevere un simile invito. Viaggiare era stato da sempre un mio sogno, che mai ero riuscita a realizzare e per la prima volta riuscivo a vedere in lontananza la possibilità di avverarlo.
-Bene. Tra un mese devo tornare lì. Verrai con me.- mi comunicò con nonchalance lasciandomi a bocca aperta.

The professor 2 - Rising from the ashesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora