Naruto, immerso nella penombra confortante della propria camera, era comodamente disteso a pancia in giù: il respiro regolare e le braccia incrociate sotto al morbido guanciale, un rivolo di saliva macchiava il lato della bocca e i ribelli capelli granturco erano sparpagliati sulla stoffa sgualcita.
Bofonchiò, infastidito, dall'aria gelida che filtrava dalla finestra schiusa. Testardo strizzò con forza le palpebre e cercò di assopirsi ancora, tuttavia dopo qualche secondo, costretto all'evidenza dei fatti, sfregò gli occhi con il pugno e si mise supino. Sbadigliando pesantemente mentre stirava le gambe intorpidite dal lungo periodo d'immobilità.
Alla fine accennò un mezzo sospiro di rassegnazione, osservò il soffitto appannato e ascoltò il suggestivo ticchettio della pioggia che, con brutale dolcezza, s'infrangeva sui vetri trasparenti e, trasportata dal vento, aveva bagnato persino il pavimento di marmo.
In pieno Aprile un temporale così intenso era abbastanza anomalo, specialmente accompagnato dal freddo polare di quella mattina. Rabbrividì e trattenne uno starnuto, come se la pelle tiepida fosse improvvisamente entrata a contatto con del ghiaccio, quando poggiò i piedi a terra, chiudendo poi le ante.
Ormai sveglio e irritato afferrò il cellulare, finito sotto al letto durante la notte, per controllare l'ora sul display luminoso, imprecando nell'accorgersi ch'erano a malapena scoccate le otto. Non riusciva a coltivare la sua pigrizia nemmeno in vacanza!
Dimenticò l'indiscutibile sfortuna che lo aveva colpito e si grattò il capo, intento a leggere diversi messaggi a cui non aveva potuto rispondere, dato che il giorno prima era stato costretto a rimanere sotto stretta sorveglianza di Shizune, al Comune, mentre il padre e Kakashi se n'erano andati al tempio per indagare.
Purtroppo per lui seguirli s'era rivelato infattibile, così, al loro ritorno, aveva provato a sondare il terreno rivolgendo qualche domanda all'apparenza innocente ma, a parte un semplicissimo ed atono 'errore burocratico', non aveva ottenuto nessuna informazione interessante. Come in fondo immaginava.
Doveva pensarci da solo, al solito.
In quel momento, ritornato alla realtà dopo aver tralasciato quei veloci pensieri, notò diverse chiamate perse, tutte da parte di Rock Lee. Al che, vedendolo in linea, digitò, sperando non volesse coinvolgerlo in chissà quale sfiancante allenamento al suo rientro in città.
'Ehilà, Mister sopracciglia. La sveglia suona presto a Kiri? Ti mancavo così tanto?'.
Il ragazzo era partito insieme al padre per un viaggio, durante tutto il periodo delle vacanze primaverili, verso il Paese dell'Acqua. Amanti delle discipline marziali, lui e Gai-sensei ne avevano approfittato per forgiare mente e spirito con un arduo pellegrinaggio di due settimane.
Malgrado fosse passato del tempo dal pessimo scherzo fatto ai danni degli uomini della famiglia Maito, in Naruto il dubbio che fossero forme di vita aliene ancora sorgeva spontaneo in certe occasioni, soprattutto vedendoli allenarsi entusiasti. Eppure da quando Rock Lee e Gaara avevano iniziato a frequentarsi come coppia, prendere bonariamente in giro il primo poteva rivelarsi una pessima idea, oltre che un ottimo metodo di suicidio.
Non che Uzumaki fosse il tipo di persona da mettere in discussione i gusti estetici dei propri amici, oppure basarsi unicamente sull'aspetto fisico, anzi, era stato il primo ad incoraggiare Gaara... Però quelle sopracciglia erano inguardabili, doveva rinchiuderlo in centro estetico.
Prima o poi.
Latrò una risata a quell'immagine mentale, dopodiché si defilò in bagno per lavarsi; udì distintamente le chiacchiere della madre, sempre piena di energie, provenire dalla cucina, mentre lui si spazzolava i denti e cercava di dare un senso al groviglio di capelli biondi. Non riuscendoci.
Alla fine si arrese e si cambiò in fretta, deciso a sfruttare al meglio quella giornata cominciata fin troppo presto per i suoi gusti.
"Hahaue, chichiue, io esco!" Esclamò ad alta voce, infilando il portafogli nella tasca dei jeans, di già arrivato dinnanzi all'ingresso.
Kushina si sporse dall'altra stanza, osservandolo con disappunto "Piove".
"Sarò ben coperto" Alzò l'ombrello davanti a sé.
"Non fai colazione?".
"Scusami, ho delle faccende da sbrigare. Ci vediamo dopo. Scusa ancora" Disse rapido, dandole le spalle.
In un attimo s'era praticamente fiondato fuori dalla porta, ignorando il padre e provando a svincolare dalle insistenti domande della madre. Magari il suo era un comportamento da codardo, ma non gli piaceva mentire, quindi preferiva svignarsela piuttosto che dar vita all'ennesima sterile discussione.
Li capiva. Fosse stato al loro posto, nemmeno lui avrebbe apprezzato un figlio costantemente con la testa fra le nuvole, impegnato nella ricerca di creature mitologiche, considerate solamente frutto di fantasia e superstizione. Proprio per questo motivo gli servivano delle prove concrete.
Il suono del cellulare lo distrasse da quelle elucubrazioni, immediatamente si riparò sotto la tettoia sporgente di una casa e lo estrasse dalla tasca, assottigliando gli occhi chiari per leggere l'ennesimo messaggio dell'amico.
'Posso farti una domanda? Tu lo conosci meglio di me, Gaara... Ti sembra strano, diverso?'.
Naruto s'impensierì, poi scrisse 'Non più del solito, perché?'.
Trascorse qualche altro minuto, non ricevendo altre risposte tornò a correre in direzione del monte Hokage; calpestò le pozzanghere create dalla precipitazione e si bagnò le scarpe di fango. Fortunatamente non distava molto dalla sua abitazione, dato che dopo nemmeno un quarto d'ora di marcia si ritrovò ai piedi della collina che dava sul jinja abbandonato.
Il vento, rispetto al resto della città deserta, soffiava forte in quella zona e, per leggere il nuovo messaggio inviato da Rock Lee, dovette accasciarsi quasi sotto l'ombrello, inzuppandosi completamente la schiena.
'Io sono preoccupato per lui. La notte scorsa mi ha chiesto di rimanere al telefono sino a che non si fosse addormentato e ho esitato a chiudere la chiamata quando l'ho sentito lamentarsi nel sonno. So che in queste ultime settimane è tornato a soffrire d'insonnia, però mi sembrava così agitato, impaurito. Forse sono troppo apprensivo, ma sapere di essere lontano da Gaara, ora che ha bisogno di me, mi spezza il cuore'.
'Lee, stai tranquillo. -Digitò il più velocemente possibile, trattenendo uno starnuto- Probabilmente era solo stanco e stressato, se rinunciassi alle tue vacanze per lui si sentirebbe un peso e mortalmente in colpa, lo conosci'.
'Forse hai ragione. Grazie, Naruto...'.
Malgrado quelle parole gli parve comunque estremamente triste e angosciato. Inconsolabile.
Probabilmente erano normali i sentimenti che scuotevano Rock Lee nel profondo, quel struggersi l'anima per amore, un'emozione che Uzumaki non aveva mai provato e non comprendeva. Anche se lui stesso si sentiva in pensiero e inutile. Razionalmente però sapeva di non poter agire in nessuno modo contro il disturbo del sonno che tormentava Gaara da una vita intera, non si poteva combattere dall'esterno.
Era un mostro senza forma né nome.
Deciso raddrizzò la schiena dalle scapole sporgenti, eppure inquieto si passò una mano fra i capelli umidi. Domandandosi se fosse davvero un buon amico.
Vagò con lo sguardo nel viale desolato, bagnato dall'acqua e il cielo grigio, tinto da minacciose macchie nere, aveva un aspetto triste e malinconico, quasi portasse con sé un lutto inatteso, come se quel freddo atipico provenisse da un luogo lontano, dove persino l'aria riusciva a ferire con la sua rigidità.
Alice moderna, ma meno spaventato della giovane protagonista del romanzo di Carroll, Naruto scrutò l'antica scalinata di cemento che lo invitata a proseguire il pellegrinaggio, la ricerca d'una verità obliterata dal tempo, dagli eventi, mentre gocce di pioggia serpeggiavano sinuose sulla pietra ricoperta di muschio; il peculiare odore di petricore del temporale gli colpì le narici, intanto che il bosco ululava a causa degli alberi straziati dal violento vento. Sembrando un branco di lupi affamati.
Immobile. Era rimasto fermo dinnanzi al paesaggio che, in un attimo, s'era trasformato in quello di una teca di vetro. Un souvenir per turisti, smosso da mani giganti.
Tossì, improvvisamente conscio del fitto miasma che aleggiava in quel posto.
Le gambe bloccate gli impedirono di compiere un singolo passo in avanti, allora, guidato dall'istinto, voltò il capo alla propria destra, stritolando maggiormente il manico dell'ombrello, sin quasi a far sbiancare le nocche tremanti, quando s'accorse della figura sfuggente ed estranea a pochissimi metri da lui.
Oscuro, appannato, quasi fosse tutt'uno con la pioggia.
Il giovanissimo uomo che aveva dinnanzi indossava una giacca sgualcita e una camicia zuppa, ormai incollata alla pelle pallida, similare a quella di una bambola di porcellana; le ciocche nere s'erano appiccicate alla fronte e alcune gli carezzavano il lungo collo, mentre gli occhi pece, sgranati verso l'alto, non sembravano infastiditi dal diluvio che li inumidiva.
Naruto si concentrò sulla coda del giacchino, smossa dal vento: uguale ad ali di rondine, pareva potesse spiccare il volo da un momento all'altro. L'attenzione dello studente venne poi catturata di nuovo dal profilo nobile e dal sorriso che incurvò rapidamente le labbra sottili e nivee. Uggioso, proprio come quello stesso clima.
"Abiti qui, shonen?".
La voce bassa, ma tagliente e fredda come ghiaccio, interrogò Uzumaki. Lo riscosse brutale dai precedenti pensieri e lo fece sentire sull'orlo di un precipizio, ricolmo della primordiale paura del vuoto, quando l'acquoso azzurro dei suoi occhi entrò in contatto con le iridi tempestose.
Lo stomaco divenne un fastidioso groviglio e provò una strana sensazione di vertigine e nausea, immaginando d'essersi lanciato con un paracadute da un elicottero in volo; osservò i piedi ben piantati a terra, rilassandosi, ma poi deglutì pesantemente un grumo di saliva, consapevole che il proprio interlocutore ancora aspettava composto una risposta.
"Al tempio? -Sussurrò pacato- No, sono un semplice visitatore".
"Tera no tonari-ni, Oni ga sumu".
Lui sorrise ammaliante dopo aver recitato quelle parole, mostrò la fila di denti bianco avorio e, alla fine, gli voltò le spalle in silenzio, sollevando un braccio verso il cielo come forma di saluto. Si allontanò lento, intanto che la pioggia ammantava la figura tenebrosa, rendendola sempre meno visibile.
In quell'istante il canto del vento diminuì, sino a divenire una litania inudibile; la bufera calò d'intensità, cessando di scuotere la foresta, come se, per assurdo, proprio quell'estraneo inquietante avesse portato il freddo a Konoha.
Ne fosse la causa, in quella calda Primavera.
Il visino a forma di cuore di Sakura si rabbuiò. Rigida, teneva le braccia strette al petto e i verdi occhi affilati guardavano astiosi in direzione del Tanuki, cercando di fulminare la figura boriosa e irritante, mentre Kurama aveva deciso di accentuarle il mal di testa: correndo in circolo attorno a lei e ripetendo il suo nome allo sfinimento.
Volutamente infantile.
Neji, nel frattempo, era letteralmente invecchiato di cent'anni alla consapevolezza che mai più, sino a quando Haruno sarebbe stata la loro padrona, avrebbe consumato una pacifica e tradizionale colazione. Questione che lo innervosiva oltre il lecito.
"Ripetilo se ne hai il coraggio!" Ordinò la ragazza, feroce, attirando con la sua rabbia l'attenzione dei presenti.
Madara, fonte di qualsiasi disagio, arcuò elegantemente un sopracciglio scuro e in seguito, accennando una buffa riverenza carica di sarcasmo, la sfotté senza pietà "Come desideri. Ti spiegherò una nuova volta perché, adesso che ci siamo liberati dall'ennesimo problema creato a causa della tua ingenuità da bambina viziata, è mia intenzione finalmente istruirti. L'Ujigami di Konoha non può permettersi di oziare, come hai fatto tu, tutto questo tempo, bensì deve cominciare a svolgere le sue mansioni. Hai compreso o necessiti di un info-grafica?" Ghignò, bastardo.
"Uffa! Gioca con Kurama, dai!" Si lamentò il bambino durante tutto il tedioso discorso, trattenendo una maligna risatina; tirò la maglia della giovane e provò a trascinarla lontano dagli altri due yokai, rivolgendo uno sguardo carico di sfrontatezza al demone procione che di conseguenza, più trascorrevano i secondi, più pareva indeciso: continuare a tormentare Sakura, oppure prendere a calci quell'impiastro di Kitsune?
"Oziare... -Sillabò, ignorando la piccola volpe e facendosi più vicina a Madara- Non osare trattarmi da stupida e rivolgerti a me in questo modo! Bifolco!" Picchettò prepotente l'indice contro un suo pettorale, sperando almeno di infastidirlo.
Riuscendo soltanto a divertirlo maggiormente.
"Preferisci procrastinare?".
"Ti odio!".
"L'odio è un sentimento molto forte, sicura ne valga la pena?" Soffiò sadico e masochista, all'interno di sé beandosi di quell'apprezzata vicinanza e di essere il centro di ogni sua emozione, o pensiero, almeno in quel momento.
Lo Yosuzume premette una mano in viso, scacciando l'insopportabile sensazione di pesantezza alle tempie pulsanti, sinceramente esausto delle giornaliere discussioni e di quel rapporto che pareva non voler avanzare sul giusto percorso. Nulla era cambiato dall'intimo abbraccio di cui era stato silenzioso spettatore, anzi, eventualmente sembravano esser peggiorati nelle manifestazioni di cui erano protagonisti.
Neji aveva provato a separarli, donare loro calma con il proprio spirito o, almeno, a non farli litigare ventiquattro ore su ventiquattro, ma pareva impossibile contenere l'isteria di Sakura tutte le volte che Madara la provocava, inventandosi costantemente qualche nuovo motivo per farsi disprezzare.
Non che lui fosse così esperto di determinati sentimenti. Viveva l'amore e l'affetto da spettatore esterno e tale sarebbe volentieri rimasto, fin troppo legato al suo ruolo di stoico famiglio per lasciarsi coinvolgere da qualcos'altro che avrebbe potuto distrarlo. Forse esattamente per questo motivo alcune dinamiche gli erano incomprensibili, ma era certo che, per quanto in Madara bruciasse vivo quell'antico focolare, i suoi modi rasentavano la maleducazione di un Oni delle caverne.
In quell'istante si lasciò sfuggire un sospiro, richiamando poi l'attenzione dei due "Madara-dono sbaglia nei modi, ma non ha tutti i torti. Il custode di Konoha deve saper prima di tutto difendere se stesso, Sakura-sama, e lei è ancora troppo bisognosa di protezione. -Annunciò, stillando in seguito una lunga lista di compiti di cui, prima di allora, nessuno aveva mai discusso seriamente- Inoltre l'Ujigami ha il dovere di occuparsi del cambio delle stagioni, pregare almeno tre ore al dì per i desideri dei fedeli, dare la sua benedizione alle giovani coppie che la richiedono, purificare l'ambiente corrotto dai miasmi degli ayakashi più ostili in modo da mantenere sacro questo luogo, organizzare Matsuri estivi, preparare gli omamori, instaurare un buon rapporto con altri Kami e con i clan di yokai più potenti del Paese del Fuoco...".
"Aspetta! Hashirama si occupava di tutto questo?" Lo interruppe, totalmente sconvolta.
Inaspettatamente scese il silenzio. Profondo e duraturo, pesante come un macigno, che venne subito rotto dalle risate sguaiate della Kitsune, quasi in lacrime a causa di tutto quel divertimento, mentre si reggeva la pancia e scodinzolava convulso.
"Kurama ha sentito che il precedente Ujigami si dilettava a sperperare i risparmi del jinja giocando d'azzardo! Kurama ha sentito tante storie imbarazzanti su tutti loro, ad esempio della passione per l'alcool di Neji-san e di quan...".
Lo Yosuzume tappò fulmineo la bocca della perfida volpe scalciante, scoccandogli uno sguardo che prometteva sofferenza e morte, misto ad un inusuale rossore d'imbarazzo sulle guance di solito pallide e scarne, dopodiché tornò a rivolgersi a Sakura, sorridendo tirato "Hashirama-sama non amava molto le regole, nonostante ciò imparare a gestire il grande potere che proprio lui le ha affidato sarebbe il minimo, padrona".
Pareva così in difficoltà da farle tenerezza.
"Hashirama è un idiota! -Disse Madara, indelicato e sprezzante- Non che tu sia da meno, Tontako".
Sakura sbuffò dalle narici, poi provò in ogni modo a non prenderlo in considerazione, rivolgendosi supplichevole a Neji, che nel frattempo aveva finalmente liberato un imbestialito Kurama, "Mi insegnerai tu, vero?".
"In realtà...".
"Lo farò io, contenta?".
La novella Dea si girò rapida verso il Tanuki. Le aveva circondato le spalle e, come tutte le volte, la stava palesemente prendendo in giro, sogghignando beffardo, felice di infastidirla. L'aria frizzante smosse la lunga e spessa ciocca corvina che celava in parte il viso affilato e, il calore che proveniva dal torace incollato alla sua piccola schiena, le sembrò quasi piacevole. Fin troppo conosciuto.
Indispettita, scoccò la lingua contro il palato, nonostante potesse ben percepire il sangue cominciare di già a concentrarsi sulle gote e la punta del naso; distolse lo sguardo dagli occhi rubino e incrociò le braccia al petto.
"Sono la vostra padrona, o sbaglio? Desidero quindi sia Neji il mio insegnate!" Assunse di propria volontà uno sgradevole tono di comando.
"Purtroppo non possiamo accogliere la sua richiesta. -Dichiarò piatto lo spettro, sotterrando le speranze di Sakura sotto massicci strati di commiserazione- Madara-dono è lo shinki di Hashirama-sama, il compito spetta a lui. È una tradizione immodificabile".
"Shinki?" Ripeté, aggrottando la fronte ampia.
I due yokai si scambiarono una veloce e significativa occhiata, dopodiché lo Yosuzume parlò di nuovo, rassicurandola "Nulla di cui lei debba preoccuparsi adesso. Piuttosto, avevo idea di far visita a Izuna più tardi, se vuole venire assieme a me sarò ben lieto di farle anche questa volta da guida, Sakura-sama".
"Oh, sì! Ti prego!" Si apprestò a rispondere entusiasta. Meno tempo trascorreva con Madara meglio era per la sua sanità mentale.
"Viene anche Kurama! Il cibo degli umani ha un gusto cattivo, Kurama vuole mangiare alla locanda della vecchia Onibaba".
Sakura adocchiò la Kitsune, scodinzolava contento, le orecchie dritte e l'acquolina alla bocca, mentre sicuramente gli stavano tornando alla mente manicaretti che lei, in tutta onestà, non ci teneva per nulla ad assaggiare, o sapere quali fossero i loro ingredienti.
"Se devi seguirci allora inizia lasciando Sakura-sama libera di svolgere la sua lezione" Lo ammonì acre Neji, accennando poi un gesto di commiato in direzione della ragazza e fingendo di non vedere Madara adombrarsi. Non lo avrebbe aiutato a rinchiuderla in una campana di vetro.
"Che spocchioso" Si lagnò il bambino, sbadigliando sonoramente.
Il demone procione, abbastanza sfibrato da quegli inutili siparietti e ancor più nervoso dopo aver appena scoperto che, fra nemmeno qualche ora, quella stupida di Sakura si sarebbe fatta nuovamente trascinare a visitare un mondo pericoloso e oscuro, soltanto con la protezione di un pigro Yosuzume, premette la mano tra le scapole sporgenti della fonte di ogni sua preoccupazione, spingendola in avanti.
A quel gesto, le dita ruvide tremarono e fu invaso dalla malsana voglia di sfiorare il derma delicato, il pallido collo lasciato esposto dalla stretta treccia. Toccarla, languido. Ancora e ancora. Fin quando i suoi palmi non avrebbero ritrovato familiarità con quel corpo mai dimenticato al tatto.
Logorato da quelle emozioni strinse un pugno lungo il fianco, incamminandosi "Muoviti".
"Posso sapere dove stiamo andando?" S'informò lei, seguendolo dubbiosa verso il retro dell'antica struttura.
"Neji ti ha spiegato che uno dei compiti del Kami di Konoha è quello di assistere la fioritura degli alberi in Primavera. Inizieremo proprio da questo".
"In che modo potrei aiutare delle piante?" Continuò imperterrita l'interrogatorio, talmente concentrata sulla schiena ampia e tesa di Madara che, per poco, non finì per sbattere il naso contro questa nel momento in cui lo yokai si fermò d'improvviso.
Sakura avrebbe voluto lamentarsi dello scontro fortuitamente scampato, eppure ogni rimostranza le soffocò in gola quando le iridi smeraldo vennero irretite dal suggestivo panorama, sino ad allora nascosto dall'antiquato jinja.
Il profumo inebriante dei primi fiorellini audaci, germogliati sull'erba rada, si mescolava a quello pungente della terra bagnata; impregnava l'aria, simile alle muffe e i funghi che crescevano incontrollati attorno alle cortecce spesse. Era una fragranza fresca e piacevole, malgrado le facesse prudere le narici e venire voglia di starnutire, si distanziava dal solito odore fangoso, un po' nauseante, del bosco dopo una tempesta.
Davanti a lei numerosi alberi da frutto dominavano il panorama, sicuramente piantati molto tempo antecedente alla sua nascita. Le fronde erano cariche di verdi foglie e minuscoli boccioli non ancora schiusi, che avevano resistito alle improvvise e anomale intemperie; attaccati al ramo attendevano unicamente di poter mostrare i loro tenui colori al mondo.
Il cinguettio degli usignoli s'udiva chiaro, limpido come la superficie di un ruscello. Sakura quasi si sentì una formica, perduta tra i filamenti verdi di quell'Eden, immersa all'apparenza in piacevoli ricordi a cui non riusciva però a dar forma, incapace di aprire la mente e sfiorarli con la punta delle dita.
Sorrise malinconica al sovrano indiscusso di quel posto fatato: l'albero più anziano e maestoso, s'innalzava senza timore verso lo sconfinato cielo, nobile veglia del giardino e dei suoi abitanti, similare alle piante di ciliegio in fiore che aveva veduto sull'arcaica pergamena appesa nell'alcova della Chashitsu, ed a quelli raffigurati sui fusuma in camera di Madara.
Le venne naturale compiere un passo avanti, guidata da un'incontenibile nostalgia.
Madara...
Udì qualcuno ripetere dolcemente quel nome.
Watashi wa betsu no yō ni shitai to omoimasu...
Sakura si paralizzò, disorientata. Perché in quella preghiera incomprensibile aveva riconosciuto la sua stessa voce? Cos'era la soffocante sensazione d'angoscia e annichilimento che le stava pesando sul petto e facendo contorcere il cuore?
Delicata carezzò la gola rauca, avvertendo un prepotente nodo chiuderla; un cappio invisibile la stringeva, e la ragazza si sentì svenire, agitata come le foglie che venivano frustate dal vento. Sempre più forte e indomabile.
"Kotchi ni kite".
Tossì, cercando di immettere aria nei polmoni contratti e si rese orribilmente conto di quanto, ormai, quel tono straziante non fosse più soltanto un lieve sussurro creato dalla sua fragile mente, ma avesse preso consistenza reale.
Ne ebbe irrazionalmente paura.
I luminosi occhi smeraldo s'inumidirono di lacrime cariche di tormento, intanto che due figure umanoidi prendevano forma dinnanzi a lei, ai piedi dell'enorme ciliegio stranamente fiorito.
Oscure sagome, strette in un tragico abbraccio, le labbra fameliche unite e le dita di lui immerse nella chioma rosa.
Spettatrice impotente, Sakura distolse lo sguardo. Codarda.
"Watashitoisshoni te".
Il tono mesto della donna di nuovo nascose una supplica; Sakura non capiva quelle emozioni deleterie, non anelava comprenderle, seguitando però rapita ad osservare i loro colori mischiarsi, mentre si sfioravano l'anima con baci struggenti.
Piano, e allo stesso tempo intensa, s'afferrò la testa fra le mani; la fronte pulsò, il fiato s'appesantì oltremisura e il dolore al torace si acutizzò vertiginosamente. Non voleva più vedere. Immergersi in quegli strani ricordi...
"Ti sei addormentata, Tontako?! Abbiamo appena iniziato e già non mi stai ascoltando, credi sia un gioco..." Madara la richiamò brusco, eppure concluse a malapena la frase, dovendo istantaneamente afferrarle il polso, in modo da sostenerla, quando il suo equilibrio divenne precario e le gambe percorse da tremiti. Pareva star per svenire.
Preoccupato dal pallore scorto sul viso magro, avvicinò delicato il corpicino saturo d'agitazione di Sakura a sé, cercando di regalarle conforto.
"No, sto bene! -Esclamò d'un fiato, mantenendosi a distanza e rifiutando qualsiasi contatto fisico- Io... Io ho avuto un capogiro, gomen" Biascicò in imbarazzo, poi sfregò il dorso della mano sugli occhi arrossati e gonfi.
Stanca di piangere, di sentirsi così sola, vinta dalla tremenda sensazione di aver perduto un enorme pezzo di se stessa. Una parte di cui avvertiva la folle mancanza.
Madara assunse un'espressione stizzita a causa del suo comportamento, simile ad una smorfia. Successivamente però si rese conto della consuetudine con la quale Sakura adocchiava il grande albero al centro del giardino così, adeguandosi alla lontananza fisica da lei richiesta, disse "Questo ciliegio ha all'incirca quattrocento anni e per più di un secolo non è riuscito a fiorire. Neppure Hashirama è stato in grado di forzarlo quindi, giacché ora sei tu la nuova Dea, ho intenzione di affidarti proprio questo compito: superare il tuo predecessore".
Sakura sollevò il naso al cielo, osservando i rami più alti mentre ondeggiavano docili. Procurandole infinita mestizia, raccontavano una storia che lei non era pronta ad ascoltare.
"Perché vuoi costringerlo? Magari è ancora troppo doloroso per lui".
"...Se fossi tu a chiederlo non lo sarebbe. -Bisbigliò inudibile il Tanuki, dopodiché accennò un mezzo sorriso rassegnato e continuò, facendo finta di nulla- Con il dolore si deve imparare a convivere. A differenza di ciò che voi umani sostenete, la vita, il reikon, esiste in qualsiasi creatura vivente od oggetto. Piante, animali, le infinitesimali forme organiche e inorganiche visibili al microscopio. Qualsiasi cosa possiede un'anima, dei sentimenti, ricordi...".
Sakura si mordicchiò il labbro inferiore, poi lo fermò sconclusionata "L-le piante ricordano, quindi? Possono... Possono m-mostrare...? Io, credo di... Non riesco a capire".
Madara rimase sconcertato da quell'arrancare, dalle parole che si susseguivano una dietro l'altra, per poi dissolversi nel nulla. Lo studiava arrossendo e subito dopo fuggiva al suo sguardo, continuando a martoriarsi la bocca con i denti, finché non si chiuse in profondo silenzio, desiderosa di scappare, o sotterrarsi, a causa della brutta figura fatta.
"L'albero ti ha mostrato qualcosa?" Gli venne spontaneo informarsi; il corpo possente circondato da un'improvvisa sensazione di gelo e, forse, timore.
"No..." Mentì, concentrandosi sul terreno erboso.
"Meglio così. -Il demone riacquistò il solito tono profondo, poi scacciò la terribile sensazione di angoscia e speranza, miste insieme, che minacciava anche quel giorno di riaprire vecchie ferite sanguinanti, legate alla perdita- Ci siamo persi fin troppo in chiacchiere. Il mio dovere è quello di istruirti e tu sei debole, Sakura! Mortale, priva di qualsiasi talento naturale, agisci stupidamente d'istinto e provochi solo confusione... -Prese una breve pausa e sogghignò quando lei rialzò il viso paonazzo di rabbia, offesa- Ma sei anche intelligente, acuta e volenterosa. Per questo confido nel fatto che riuscirai ad occuparti, in modo responsabile, di questo" Aggiunse morbido, facendo apparire dal nulla un mini-bonsai e porgendolo poi alla giovane.
Sakura analizzò il piccolo albicocco. Simbolo di fortuna, fioriva anche nei mesi più freddi e, i fiori bianchi e puri, formavano uno splendido contrasto con il tronco scuro e rugoso; peccato che i boccioli di quella piantina fossero chiusi, per nulla intenzionati a mostrare la loro corolla.
"Come dovrei occuparmene? Cosa devo fare?".
"Il tuo corpo non ha assimilato ancora completamente la condizione di Divinità, e dovrai sforzarti molto, sia cerebralmente che fisicamente, per accontentare le mie richieste. Prima del Hanami, che ti ricordo cade fra meno di una settimana. -La stuzzicò sarcastico, dopodiché le carezzò delicato il capo e si sporse verso di lei- Hai le capacità per riuscirci".
Le dita ossute si strinsero sulla ceramica celeste, tremando un poco "Adori mettermi in difficoltà, vero?".
Madara non rispose e continuò ad osservarla in silenzio, mascherando l'amarezza con l'indifferenza, o almeno provandoci.
Prepotente, le impedì di scostare le iridi luminose e verdi, affogando in quel prato sconfinato; si beò del visino lievemente imbronciato e delle labbra piene, invitanti come pesche mature, ripiegate all'ingiù. I capelli pastello s'erano scarmigliati ma, rinchiusi alla bene e meglio nella solita treccia, parevano fili di raso sui polpastrelli, lisci come la pelle delle guance rosate.
Abbassò le palpebre pesanti, cercando di riprendersi. Sfortunatamente il respiro di lei, così vicino, e i loro cuori che ormai martellavano all'unisono, gli rendevano impossibile la sola idea di distanziarsi. Liberarla dalle catene immaginarie con cui aveva legato la sua anima.
Desiderava... Bramava il sapore afrodisiaco dei suoi baci.
Non gli interessava morire avvelenato da questi, finché Sakura gli era accanto riusciva a sentirsi vivo.
Percepì la gola inaridirsi, allora parlò rauco "Il simbolo che ti riconosce come Kami... -Riguardoso posò un caldo tocco sulla fronte spaziosa, sostenendola per la vita mentre la ragazza, a quel gesto, sospirava appesantita contro il collo ipersensibile dello yokai- È qui che risiede la tua forza, le volontà dello spirito. Tu sei...".
"Cosa? -Lo bloccò soave. Percorse lenta la giugulare e sostò sul mento squadrato, premendo un sorriso sottile e timido su questo- Essere un Kami, oppure no, non mi è mai importato. Io... Voglio sapere cosa significhino queste carezze, cosa sono per te" Coraggiosa liberò quella richiesta, quel peso che follemente le comprimeva il petto da sempre.
Poteva lasciarsi andare? Sperare di veder svanire ogni paura, l'oscurità che dimorava nei suoi incubi, volare via in quell'istante... Con un bacio.
Madara però aveva perduto qualsiasi brandello di lucidità lo tenesse ancorato alla realtà, al presente. Intossicato da lei, continuava a carezzarle la gota morbida con il pollice e guardarla, ammaliato. Simile ad un ateo dinnanzi alla realizzazione di un vero miracolo.
"Harumi...".
Bastò la pronuncia di quel nome a far crollare l'intero castello di vetro.
La sensazione provata da Sakura fu la stessa che, immaginò, poteva esser avvertita colpiti da un fulmine. Violenta. Dolorosa. Nauseante. Ingiusta.
Spontaneamente si allontanò da lui, sostenendo con fin troppa forza il bonsai che, in realtà, avrebbe tanto voluto sbattere a terra, mentre urlava la sua frustrazione.
I tratti del viso divennero algidi, inespressivi e fu soltanto quando gli occhi rossi di Madara si sgranarono, consapevole del tremendo errore compiuto, che fermò qualsiasi tentativo di parola con una semplice frase, ferendolo volontariamente "Io mi chiamo Sakura".
Gli diede le spalle, correndo via senza aggiungere altro. Non desiderava in alcun modo concedergli il perdono, o conoscere le motivazioni di quello sbaglio, sapere, ricordare.
Non le importava trovare delle risposte a ciò di cui era stata spettatrice forzata.
L'oblio era confortante e lei... Lei voleva soltanto essere Sakura.
Il Tanuki si portò la mano alle labbra, premendola con violenza e maledicendosi per esser stato così idiota. Meschino.
Era conscio fin dall'inizio che, se fosse rimasto al tempio, le avrebbe fatto del male, eppure da bravo egoista aveva pensato soltanto al benessere di se stesso. Tormentandola, come un fantasma vendicativo, quando in realtà l'anima dell'amata meritava null'altro che pace.
Percepì una leggera pressione sulla spalla e, seppur ancora a capo chino, riconobbe subito dopo il tocco comprensivo di Neji, odiando la pietà che gli rivolse.
Sicuramente aveva assistito alla scena, come al solito spettatore silenzioso di quella rappresentazione sempre uguale e ugualmente dolorosa. Uno spettro che sapeva, vedeva e rimembrava ogni fatto, strazio, errore commesso...
"La colpa non è tua, Madara-dono".
Uno spettro bugiardo.Note ♫
Tera no tonari-ni, Oni ga sumu: 'vicino al tempio, il diavolo abita'.
Watashi wa betsu no yō ni shitai to omoimasu: 'Vorrei essere diversa/vorrei cambiare me stessa'.
Kotchi ni kite: 'vieni qui'.
Watashitoisshoni te: 'rimani con me'.
Kiri: la capitale del Paese dell'Acqua (Ricordo: la geografia è quella del manga).
Hahaue e chichiue: mamma e papà.
Matsuri: tipico festival estivo Giapponese, dedicato a varie divinità.
Omamori: amuleti porta fortuna.
Shinki: strumento divino, qui anche 'Messaggero degli dei'. Ci si tornerà nei prossimi capitoli sugli Shinki e su cosa sono in realtà ^^
Onibaba: "Demone strega", è un oni del folclore giapponese, uno yokai affamato di carne umana, che cela la sua vera identità sotto le sembianze di una donna anziana, dall'aspetto trasandato e una bocca enormemente grande. È solitamente raffigurata mentre impugna un coltello o mentre fila seduta.
Reikon: lo spirito, l'anima degli esseri viventi.
Hanami: è un termine giapponese che si riferisce alla tradizionale usanza di godere della bellezza della fioritura primaverile.
Harumi: un nome proprio femminile, che significa 'Bellezza primaverile'.
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Percorrendo il sentiero tracciato dall'incontro fra terra e cielo.
Fanfiction[MadaSaku | Accenni: GaaLee, SasuNaru, NejiHana, altre | Yokai!AU | Fantasy. La storia è ancora in corso, quindi avrà aggiornamenti lenti] La trasmigrazione degli spiriti era uno spettacolo unico e inenarrabile, a cui lei aveva assistito con lo ste...