ANNO DOMINI DCCXCII

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ANNO DOMINI DCCXCII


di Simone Feroli 

"Bene fac, Domine, bonis (et) rectis corde"

"Fai il bene, o Signore, ai buoni e ai giusti di cuore".

(Motto medievale della famiglia Barbò)


Rocha de Antiquo, Anno Domini 792. Dove storia, mito, realtà e fantasia si incontrano. E se quanto raccontato fosse veramente accaduto? D'altronde, documenti dell'epoca ve ne sono pochi. E poi, quali certezze si possono avere quando si parla di storia, specialmente quando si narrano avvenimenti accaduti più di 1200 anni fa? Generalmente, si tende a ricostruire con quanto, poco o molto, si riesce a ritrovare. Documenti, oggetti di vita quotidiana, pitture e poco altro. Qui narriamo la storia di Giano Feroli e del suo mulino. Di un chiodo e di una coppa di legno.

Siamo sul volgere del mese di februarii, febbraio. Dies Domini, domenica, 26 febbraio. Tira un vento gelido, qualche fiocco di neve cade sul mio mantello nero. Il freddo mi penetra attraverso il mantello stesso, la tunica chiusa sui lati e aperta in basso davanti e dietro, la camicia, si infila anche nei pantaloni stretti. Le maniche della camicia, per l'umidità, sono aderenti alle mie braccia. Per non parlare del mio panciotto con la pelliccia cucita al suo interno, che ho potuto comprare lungo la strada un veneris dies, un venerdì di qualche tempo fa in un mercato, grazie alla mia condizione di boni homines loci, ovvero sono uno dei pochi privilegiati ad avere un mestiere. Invoco la Misericordia per i pauperes homines, chi ha le proprie braccia come unico possedimento. Non li invidio per nulla. La mia condizione mi ha permesso di poter acquistare, per poco più di 100 soldi, un po' di terra ed il mio mulino. Persino la mia bisaccia è congelata. La cintura attorno alla mia vita è ben stretta, ma nulla può fare per contrastare il gelo. Il pugnale è lì, a fianco delle chiavi, attaccate alla cintura, il vento fa oscillare la bisaccia, le chiavi ed il pugnale. Il freddo è pungente, in questo inverno dell'Anno Domini 792. Attraverso, coprendomi il volto con il mantello, il grande spazio che trovo davanti a me dopo aver percorso il sentiero che arriva nel nostro fundo, percorro a passo veloce la strada che da lì mi divide all'altro sentiero, quello che porta alla mia dimora. 

La strada sterrata è appena in salita. Alla mia sinistra roccia calcarea, alla mia destra il bosco e lo strapiombo, non prima però di aver costeggiato brevemente la chiesa illuminata dalle fioche luci delle poche candele rimaste accese, con quasi la totalità di esse spente a causa delle forti ventate gelide. Deve essere accaduto da poco, perché nell'aria sento un forte odore di cera. Davanti alla piccola chiesa scorgo a malapena la figura di un mendicante piegato su sé stesso, col capo chino quasi tra le gambe ed un largo mantello malconcio che lo copre interamente, lasciandogli fuori soltanto le dita delle mani. La luna è quasi totalmente assente, mi immergo nella penombra. Non ho nulla con me per poter fare luce. Sento il rumore dell'acqua che scorre e capisco che sono quasi arrivato a casa. C'è un ponte che attraversa il torrente, e dopo esso si arriva al mulino, il mio mulino. Pochi passi ancora, forse dieci, e davanti a me si vede la porta di ingresso, alla sua sinistra una finestrella, un'altra piccola finestra alla destra della porta e, ancora più a destra c'è un'altra finestra, più grande. Tutte, hanno le sbarre. E' vero, è buio e la visibilità è pessima, ma conosco la mia dimora a memoria. E poi, dall'interno, si scorge una piccola luce. La luce del mio camino che ho lasciato acceso per tenere la casa un poco calda. In corrispondenza della porta di ingresso, in alto, c'è il tetto di pietre e paglia, sopra al quale si vede un piccolo comignolo dal quale esce il fumo. Giro intorno al mio mulino. Se alla mia destra - dalla parte della finestra più grande - c'è il torrente Scifulente e la ruota della macina, in legno, e dunque il passaggio è alquanto proibitivo, passando a sinistra è possibile recarsi sul retro del mio mulino. Dietro, uno staio di farina coperto da una pelle di capra. Lo so, è inusuale ma, a mio modesto parere, la farina così mantenuta dura di più. 

ANNO DOMINI DCCXCIIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora